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Prima di prendere l’Afghanistan i talebani hanno preso Internet

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Questo articolo risale all’agosto 2021 ma è ancora utile per capire in che modo la propaganda digitale dei talebani ha contribuito a  determinare e diffondere la mentalità che ha portato una parte della popolazione afghana a dare credibilità ai talebani e ad appoggiare la loro avanzata

Emerson T. Brooking, Atlantic Council, 26 agosto 2021

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Gli insorti talebani che hanno conquistato quasi tutto l’Afghanistan in sole due settimane hanno annoverato i social media tra le loro armi. Hanno utilizzato Facebook e WhatsApp per prevalere sui loro avversari sul campo di battaglia. Hanno rilasciato centinaia di dichiarazioni prima della vittoria via Twitter, utilizzando lo spam per amplificare i loro messaggi e creare un senso di inevitabilità. I loro smartphone si sono rivelati altrettanto utili dei loro fucili quando sono entrati a Kabul il 15 agosto, consentendo loro di filmare le prime immagini di propaganda della loro occupazione.

Molti osservatori occidentali hanno espresso sorpresa per la sofisticatezza di queste operazioni informatiche talebane. Alcuni hanno ipotizzato che questa nuova abilità mediatica segni la nascita di un movimento fondamentalmente diverso: i “Talebani 2.0”.

Ma si tratta di una semplificazione eccessiva. Un esame più attento della storia del gruppo e del conflitto in Afghanistan rivela che i Talebani hanno condotto – e ora vinto – un’unica, mirata, ventennale guerra dell’informazione. Le piattaforme e i metodi di questo conflitto si sono evoluti, non gli obiettivi fondamentalisti islamici dei Talebani.

Questo articolo esamina l’evoluzione delle operazioni informatiche dei Talebani, concentrandosi in particolare sullo sfruttamento aggressivo di Internet da parte del gruppo. Traccia tre periodi: le origini della propaganda talebana e la prima strategia digitale (2002-2009), l’adozione di moderne piattaforme di social media e tecniche di distribuzione (2009-2017) e la rapida ascesa e la legittimazione diplomatica (2017-2021) che hanno ampliato enormemente l’accesso a strumenti e servizi online.

Per una generazione i Talebani hanno articolato chiaramente lo scopo del loro regime di propaganda. Questa strategia informativa ha aiutato i Talebani a prendere il potere in Afghanistan. Probabilmente continuerà a guidare le loro azioni nei mesi a venire.

Passaggio al digitale (2002-2009)

I Talebani sono saliti alla ribalta nel 1993, nel corso della decennale guerra civile seguita al ritiro dell’Unione Sovietica dall’Afghanistan. Molti di questi militanti provenivano dai campi profughi afghani nel Pakistan occidentale, dove erano stati educati in scuole dedicate a una setta profondamente fondamentalista dell’Islam (talib significa “studente” in arabo).

Nel 1996 i Talebani avevano consolidato il controllo su una parte del Paese sufficiente a dichiarare la creazione dell'”Emirato islamico dell’Afghanistan”. Sebbene la rigida legge della Sharia non fosse mai stata particolarmente popolare in Afghanistan, sotto il governo del gruppo essa arrivò a governare ogni aspetto della vita quotidiana. Le donne e le ragazze venivano trattate come proprietà, le minoranze religiose venivano perseguitate, coloro che non appartenevano alla maggioranza etnica pashtun venivano uccisi in massa.

All’inizio il fondamentalismo islamico dei Talebani aveva poco in comune con il jihadismo panislamico e antioccidentale predicato da gruppi come Al-Qaeda. I Talebani non volevano rifare il mondo: volevano governare l’Afghanistan. Infatti, per diversi anni hanno cercato di ottenere una rappresentanza alle Nazioni Unite. Pur avendo vietato la fotografia, la televisione e Internet in patria, i Talebani hanno cercato di farsi ritrarre positivamente dai media occidentali, arrivando a lanciare il loro primo rudimentale sito web (www.taliban.com) nel 1998. Tuttavia, il gruppo non è riuscito a nascondere le prove delle sue evidenti atrocità. La decisione dei Talebani di dare rifugio al virulentemente anti-occidentale Osama bin Laden nel 1996 e di sostenere la sua fatwa antistatunitense due anni dopo è stata una presa d’atto del fallimento della sua strategia di coinvolgimento.

Dopo gli attentati dell’11 settembre e l’invasione statunitense dell’Afghanistan nel 2001 i Talebani furono temporaneamente distrutti. Ricostruendo le loro forze nella relativa sicurezza delle regioni tribali occidentali del Pakistan, si sono preparati a un’insurrezione lunga decenni. Il successo del gruppo sarebbe stato in gran parte deciso dalla sua capacità di plasmare l’ambiente informativo e di diffondere rapidamente narrazioni per promuovere la propria benevolenza e mettere in cattiva luce gli Stati Uniti e le forze afghane sostenute dagli USA.

Nel 2002 i Talebani hanno fondato un braccio mediatico rinnovato che si è concentrato sulla conquista della legittimità, sia tra la popolazione locale che agli occhi della comunità internazionale, e sull’indebolimento del governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti. Nello stesso anno, i Talebani hanno anche sospeso il divieto di “immagini viventi”: il peso propagandistico di fotografie e video di civili afghani morti, presumibilmente uccisi per mano dell’occupazione statunitense, era troppo grande per essere tralasciato.

Inizialmente, il gruppo non ha investito molto in una presenza formale sul web. Si è invece concentrato su materiale di propaganda che potesse essere diffuso nelle aree prevalentemente rurali in cui operavano i combattenti talebani. Spesso si trattava di shabnamah (“lettere notturne”), consegnate di nascosto con il favore delle tenebre, che esaltavano il potere dei Talebani e minacciavano violente ritorsioni contro chiunque aiutasse le forze statunitensi o il governo afghano. I Talebani distribuivano anche audiocassette, adatte a una popolazione in cui l’alfabetizzazione degli adulti era ancora una relativa rarità.

Già in queste prime fasi i Talebani hanno dimostrato interesse nello studiare ed emulare la propaganda di altri gruppi terroristici e insurrezionali. Quando Al-Qaeda in Iraq balzò agli onori della cronaca internazionale decapitando ostaggi e diffondendo i filmati su DVD, i Talebani hanno provato a fare la stessa cosa. Ma quando la reazione dell’opinione pubblica è cresciuta, i Talebani hanno deciso che le decapitazioni stavano alienando il popolo afghano, quindi hanno ricominciato a sparare ai loro prigionieri.

Il sito web ufficiale dell’insurrezione talebana, Al Emarah (L’Emirato), è stato messo online nel 2005. Pubblicava in cinque lingue: inglese, arabo, pashto, dari e urdu. La maggior parte dei suoi contenuti si presentava sotto forma di brevi e rapidi comunicati stampa che rivendicavano varie vittorie sulla Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) guidata dalla NATO o contestavano i dati sulle vittime. In seguito, questa costellazione di siti web sarebbe cresciuta fino a includere propaganda audio e video scaricabile. Curiosamente – e forse perché il suo unico obiettivo era di conquistare il territorio afghano – i Talebani non hanno cercato di coltivare la stessa cultura dei web-forum e delle chatroom che caratterizzava i movimenti terroristici islamici globali di quel periodo.

Tuttavia, anche se cercava di influenzarli e manipolarli, il gruppo ha mostrato una profonda rabbia nei confronti dei media. In una dichiarazione in lingua pashto del 2006 i Talebani si  lamentavano della diffusa parzialità dei notiziari, minacciando violenza se la situazione non fosse migliorata. “Molte fonti di informazione trattano crudelmente i Talebani”, si leggeva nella dichiarazione. “Non mandano in onda i nostri servizi… Uccideremo chiunque ci tratti in questo modo”. Allo stesso tempo il gruppo stava diventando abile nel diffondere rapidamente le sue narrazioni preferite. In un’intervista del 2008 l’allora ministro dell’Informazione dei Talebani si vantava del fatto che il governo afghano impiegava ventiquattro ore per diffondere un comunicato stampa ai giornalisti, “mentre noi possiamo dare le informazioni attraverso i telefoni satellitari in tempi record”.

Le operazioni informatiche del gruppo, tuttavia, erano tutt’altro che prive di intoppi. L’etichetta di “Talebani” è stata a lungo rivendicata da una coalizione mutevole di gruppi militanti islamici, guidati da signori della guerra con background e aspirazioni diverse. Questa confusione organizzativa si è estesa all’apparato propagandistico dei Talebani: per anni i funzionari talebani hanno alternato furia e frustrazione nel gestire una marea di portavoce falsi o non autorizzati.

Nel 2008, tuttavia, le comunicazioni talebane si erano consolidate sotto il controllo di pochi individui. Uno di questi uomini (o gruppo di uomini, secondo le speculazioni dei media), indicato pubblicamente come “Zabihullah Mujahid”, sarebbe diventato la voce online dei Talebani per i successivi tredici anni. Nell’agosto 2021 un uomo che affermava di essere Mujahid tenne la prima conferenza stampa dei Talebani nella città conquistata di Kabul, sedendosi sulla sedia dell’ex ministro dell’Informazione afghano, assassinato dai Talebani solo qualche settimana prima.

Sfruttare i social media (2009-2017)

Nel 2009 i Talebani hanno pubblicato sul loro sito web un messaggio in lingua inglese sulla posta in gioco e sugli obiettivi della loro guerra dell’informazione. In breve, accusava l’Occidente di una campagna di disinformazione concertata:

“[I] media di parte pubblicano costantemente la storia ufficiale e la gente, sotto l’influenza di resoconti parziali, è confusa e talvolta [sic] giudica male gli eventi perché non sa distinguere i fatti dalle bugie. Inoltre, i media mainstream non pubblicano la posizione dei mujahideen su ogni evento, temendo che gli americani invasori li accusino di aiutare i cosiddetti terroristi. In realtà, il mondo è stato preso in ostaggio dal soffocamento mediatico scatenato dal colonialismo. 

“Il Pentagono [sic] ha un dipartimento di guerra psicologica. Questo dipartimento è incaricato di diffondere menzogne contro i mujahidin. Spendono milioni di dollari per cercare di fare in modo che le bugie fabbricate dal Pentagono arrivino a tutte le orecchie del mondo”.

I Talebani hanno anche offerto una soluzione: “I giornalisti che si impegnano per la dignità umana, la liberazione e la giustizia dovrebbero formare gruppi di sostegno ai Mujahidin”, continuava il messaggio. “Devono condurre una campagna costante e incrollabile contro la propaganda nera lanciata dai colonialisti”.

Non bastava più bombardare i giornalisti occidentali con comunicati stampa: i militanti avevano bisogno di una rete online di sostenitori e sostenitrici. La risposta era nei social media.

Cercando di ampliare la portata dei propri video di propaganda, nel 2009 i Talebani si sono uniti a YouTube. Hanno anche aggiunto un pulsante di “condivisione” su Facebook al loro sito web. Nel 2011 i Talebani pubblicavano regolarmente aggiornamenti su Facebook e Twitter. Il gruppo, mentre un tempo era rimasto in gran parte isolato, ora coltivava una rete di blogger amici. A loro volta queste voci digitali si sono adoperate per associare più direttamente i Talebani alle cause panislamiche e panarabe, cercando di collegare la loro missione a movimenti popolari come la Primavera araba.

Mentre l’apparato propagandistico dei Talebani si espandeva, si assisteva anche a un’inversione di tendenza sul campo. Gli insorti avevano ristabilito efficaci governi ombra in diverse province afghane ed erano diventati militarmente più aggressivi, spesso impegnando direttamente i soldati statunitensi e della NATO. La presenza del gruppo su Twitter sembra essere stata concepita appositamente per capitalizzare questa situazione, condividendo dettagli su varie battaglie – e fornendo persino commenti ai giornalisti occidentali – ore prima che l’ISAF o il governo afghano potessero fare un annuncio formale. Un’indagine sull’attività dei Talebani su Twitter nel 2012 ha trovato sorprendentemente poche prove del fatto che stessero gonfiando il numero di truppe ISAF o afghane uccise. Ma i Talebani non hanno mai riconosciuto le migliaia di morti civili che hanno causato.

Quando l’orrore della guerra civile siriana ha dato origine allo Stato Islamico, a partire dal 2013, i Talebani hanno osservato con attenzione. Pur non amando il gruppo – i Talebani avrebbero infine combattuto il franchising dell’ISIS in Afghanistan – hanno apprezzato l’efficacissima propaganda virale dello Stato Islamico. Hanno anche apprezzato il modo in cui le forze della coalizione statunitense hanno sfruttato l’uso incessante dei social media da parte dei combattenti dell’ISIS per rintracciarli e ucciderli. Nel 2015 i Talebani hanno annunciato il lancio di canali Telegram e WhatsApp. Questa mossa non solo ha migliorato gli sforzi di sensibilizzazione del gruppo ma ha anche portato le comunicazioni su piattaforme criptate e al di fuori della portata dell’intelligence militare statunitense.

Col passare del tempo la propaganda talebana ha assomigliato sempre di più ai contenuti che escono dalla Siria e dall’Iraq controllati dall’ISIS. La qualità dei video è notevolmente aumentata e l’enfasi è stata posta sull’azione, tipicamente scontri a fuoco o attacchi suicidi, accompagnati da canti islamici (nasheed) e talvolta ripresi da droni.

Durante una serie di assalti alla città di Kunduz nel 2015 e nel 2016 un numero sorprendente di combattenti talebani portava con sé uno smartphone. In un caso i militanti hanno condiviso selfie trionfali mentre i civili afghani twittavano per chiedere aiuto a pochi isolati di distanza. In un altro caso hanno conquistato un importante incrocio del centro e hanno issato la bandiera bianca dei Talebani, mantenendo il posto per diverse ore. Mentre i propagandisti talebani e i residenti di Kunduz inondavano Twitter di prove video, l’account del portavoce dell’ISAF continuava a insistere sul fatto che non c’era stato un grande attacco.

Man mano che l’apparato di propaganda dei talebani si espandeva godeva anche di un capovolgimento di fortuna sul campo. Gli insorti avevano ristabilito efficaci governi ombra in diverse province afgane e divennero militarmente più aggressivi , spesso coinvolgendo direttamente i soldati statunitensi e della NATO. La presenza del gruppo su Twitter sembrava pensata appositamente per capitalizzare su questo, condividendo dettagli su varie battaglie, fornendo anche commenti ai giornalisti occidentali ore prima che l’ISAF o il governo afghano potessero raccogliere un annuncio formale. Un sondaggio sull’attività dei talebani su Twitter nel 2012 ha trovato sorprendentemente poche prove che stesse gonfiando il numero di soldati ISAF o afgani uccisi. Ma i talebani non hanno mai riconosciuto le migliaia di morti civili che ha causato.

Per anni, le operazioni digitali dei talebani sono fiorite in mezzo alla relativa inerzia delle società di social media. Facebook, YouTube e Twitter hanno cancellato solo sporadicamente i contenuti talebani quando sono diventati troppo espliciti o hanno attirato la rabbia dei politici statunitensi. Ma dopo il 2014, quando quelle piattaforme hanno aderito alle pressioni dell’opinione pubblica per smettere di ospitare la propaganda dello Stato islamico, i talebani sono stati travolti dalla conseguente repressione. 

Quando i Talebani hanno lanciato un’applicazione Android in lingua pashto alla fine del 2016, ad esempio, l’applicazione è stata quasi immediatamente ritirata dal Google Play Store. Sebbene i Talebani non siano mai scomparsi da questi servizi, è diventato più difficile per il gruppo mantenere account e reti di distribuzione persistenti. Invece di spammare Facebook con propaganda vistosa, i militanti talebani erano più propensi a usare il servizio per individuare possibili bersagli di rappresaglia, in parte identificandoli e rintracciandoli attraverso i loro profili pubblici.

Per anni, le operazioni digitali dei talebani sono fiorite in mezzo alla relativa inerzia delle società di social media. Facebook, YouTube e Twitter hanno cancellato solo sporadicamente i contenuti talebani quando sono diventati troppo espliciti o hanno attirato la rabbia dei politici statunitensi. Ma dopo il 2014, quando quelle piattaforme hanno aderito alle pressioni dell’opinione pubblica per smettere di ospitare la propaganda dello Stato islamico, i talebani sono stati travolti dalla conseguente repressione. 

Quando i talebani hanno lanciato un’app Android in lingua pashtu alla fine del 2016, ad esempio, l’app è stata quasi immediatamente ritirata dal Google Play Store. Sebbene i talebani non siano mai scomparsi da questi servizi, è diventato più difficile per il gruppo mantenere account e reti di distribuzione persistenti. Invece di inviare spam a Facebook con propaganda ad alto volume, era più probabile che i militanti talebani utilizzassero il servizio per individuare possibili obiettivi di rappresaglia, in parte identificandoli e rintracciandoli attraverso i loro profili pubblici.

Dopo anni di imbarazzo per la presenza sempre più abile dei Talebani su Internet, anche il governo afghano era determinato a distruggere questo apparato di propaganda. Con la fine delle missioni di combattimento dell’ISAF e la partenza di molte truppe statunitensi, Kabul ha ereditato maggiori poteri in materia di trasparenza pubblica, relazioni pubbliche e politica dell’informazione. Ma non avrebbe usato bene questo potere.

Vincere la guerra dell’informazione (2017-oggi)

Nel 2017 il governo afghano sostenuto dagli Stati Uniti stava diventando meno disponibile riguardo alle operazioni di combattimento e più disposto a impegnarsi nella censura. Per anni, le forze armate statunitensi hanno periodicamente divulgato cifre relative alla forza, alle prestazioni e al logoramento delle forze afgane, nonché stime delle vittime militari e civili statunitensi e afghane. Entro la fine del 2017, su richiesta del governo afghano, queste cifre sono state nascoste al pubblico afghano e statunitense. 

Allo stesso tempo, Kabul ha ordinato una chiusura di venti giorni di WhatsApp e Telegram all’interno del Paese, adducendo “ragioni di sicurezza” non specificate. I giornalisti afgani sono esplosi di rabbia, sostenendo che il divieto era incompatibile con la garanzia costituzionale della libertà di parola. Di fronte alla crescente indignazione pubblica, il governo afghano ha invertito la rotta. Ma il danno alla sua credibilità era stato fatto. 

Naturalmente i Talebani si sono divertiti a sostenere di essere più accessibili e trasparenti dei portavoce del governo afghano. Anzi, hanno fatto di tutto per ostacolare ulteriormente i funzionari. Come parte dei preparativi per la battaglia, i combattenti talebani hanno iniziato a sabotare le torri dei cellulari nelle vicinanze, limitando la capacità del governo afghano di comunicare con i cittadini locali e di emettere aggiornamenti tempestivi. Come ha spiegato Zabihullah Mujahid al New York Times in un’intervista del 2016, lo scopo era creare un vuoto di informazioni, che i talebani potessero riempire da soli .

Nel 2018, l’allora presidente Ashraf Ghani ha annunciato un cessate il fuoco incondizionato di tre giorni con i talebani, portando alla prima (breve) tregua nel paese dal 2001. Fondamentalmente, la notizia del cessate il fuoco è arrivata prima tramite la pagina Facebook di Ghani , un’indicazione di quanto sia cambiato drasticamente l’ambiente informativo dell’Afghanistan. Al tempo dell’invasione statunitense, Internet e i cellulari erano praticamente inesistenti. Entro il 2018, circa il 40% delle famiglie afgane aveva accesso a Internet e il 90% a un dispositivo mobile. I social media, non più solo una novità o un giocattolo dei ricchi, erano diventati un pilastro della vita civile afghana. 

Nel 2019 la propaganda digitale dei talebani era completamente maturata. Emetteva rapidamente avvisi di notizie in lingua inglese sulle battaglie in corso, spesso accompagnati da infografiche pronte per la condivisione e brevi videoclip. L’account Twitter di Zabihullah Mujahid, che aveva goduto di una presenza stabile sulla piattaforma dal 2017, con il primo accenno di colloqui di pace informali tra afghani e talebani, era ora regolarmente amplificato da una rete di account spam destinati ad aumentare la sua portata. 

Secondo uno studio del 2020 sull’uso di Twitter durante il conflitto, l’account di Mujahid ha twittato più frequentemente, cioè più di quindici volte al giorno, rispetto all’account del Ministero della Difesa afghano rivale. Inoltre, ha avuto circa il doppio dei follower.

Anche i Talebani sembravano  moderare i toni, almeno quando si rivolgevano alla comunità internazionale. In un comunicato stampa in lingua inglese a seguito dell’attacco terroristico antimusulmano del 2019 a Christchurch, in Nuova Zelanda, i Talebani chiedevano un’indagine, non la jihad. “Chiediamo al governo della Nuova Zelanda di impedire il ripetersi di tali eventi [e di] svolgere un’indagine completa per trovare causa [sic] di tale terrorismo”, hanno affermato i talebani. Le sue parole contrastavano nettamente con le dichiarazioni dei leader di al-Qaeda e dell’ISIS, che invocavano una sanguinosa vendetta contro l’Occidente.

Nel 2019 gli Stati Uniti hanno avviato colloqui di pace formali con i Talebani. Un anno dopo i rappresentanti statunitensi e talebani hanno raggiunto un accordo formale, concordando il ritiro di tutte le forze statunitensi e internazionali entro il maggio 2021 in cambio della garanzia talebana che i gruppi terroristici islamici non avrebbero operato dal suolo afghano. I Talebani hanno inoltre cessato gli attacchi contro il personale statunitense in seguito all’accordo del febbraio 2020, segnando la fine delle morti in combattimento degli Stati Uniti in Afghanistan.

Questo accordo ha notevolmente aumentato il potere apparente e la legittimità internazionale dei talebani. Un funzionario talebano ha persino pubblicato un editoriale sul New York Times, promettendo una “pace duratura” attraverso la quale “gettare le fondamenta di un nuovo Afghanistan”. Allo stesso tempo, i talebani hanno intensificato i loro attacchi alle postazioni militari afghane. Un processo di pace separato all’interno dell’Afghanistan si è rivelato infruttuoso.

Alla fine del 2020 era chiaro che il governo afghano stava perdendo la guerra dell’informazione, grazie alle istituzioni vacillanti e all’incessante pressione talebana. Nell’ottobre 2020 funzionari locali hanno riferito che un attacco aereo afghano errato su una scuola religiosa rurale aveva ucciso undici bambini e il loro responsabile della preghiera. Ma il governo afghano ha contraddetto le notizie, insistendo sul fatto che nessun civile era morto. Quando un portavoce locale che aveva visitato i bambini sopravvissuti in ospedale si è rifiutato di fare eco alla posizione del governo centrale è stato arrestato e imprigionato. Il portavoce si sentiva “stretto tra due pietre”, come spiegò in seguito al New York Times: stretto tra il governo afghano e i Talebani.

Il diffondersi di questo atteggiamento avrebbe segnato la campana a morto per il governo afghano. Per due decenni i Talebani si erano presentati come il legittimo pretendente dell’Afghanistan, non più corrotto o violento dell’amministrazione di Kabul sostenuta dagli Stati Uniti. Un numero crescente di afghani si è avvicinato a questa visione del governo sostenuto dagli Stati Uniti e, quando i Talebani hanno iniziato la loro offensiva lampo nell’agosto 2021, molti difensori avevano esaurito i motivi per combattere. 

Questo tipo di incidenti non ha fatto altro che erodere ulteriormente la lealtà del popolo afghano verso il governo sostenuto dagli Stati Uniti, contribuendo a una significativa perdita di fiducia nei suoi confronti.

Non “Talebani 2.0”

Le convinzioni e gli obiettivi dei militanti talebani che si sono riversati a Kabul questo agosto sono poco cambiati rispetto a quelli dei membri del gruppo fuggiti dalla città vent’anni prima. Invece, ciò che è cambiato è la loro volontà di utilizzare la tecnologia moderna per realizzare i loro fini medievali. 

I talebani di oggi sanno come diffondere la loro propaganda su larga scala e velocemente. Hanno imparato ad apprezzare come la loro propaganda in lingua inglese possa essere utilizzata per disarmare e distrarre la comunità internazionale, proiettando un volto “moderato” che aiuta a oscurare i massacri e le violente punizioni che sono già iniziate sotto il loro regno. 

Questo conflitto di informazioni non finirà con il controllo dell’Afghanistan da parte dei Talebani. I combattenti antitalebani stanno già facendo appello all’Occidente per ottenere aiuti militari. Utilizzando pseudonimi, i cittadini afghani hanno dato vita ai primi vagiti di un movimento di resistenza online, intenzionato a smentire le pretese di moderazione e clemenza dei Talebani e a rivelare la realtà sempre più selvaggia del loro dominio. Nei prossimi mesi si assisterà a una raffica di narrazioni online in competizione tra loro sull’Afghanistan, che si estenderanno su numerose piattaforme di social media e coinvolgeranno attori di tutto il mondo.

Nel 2021 i Talebani sono pronti a combattere questa guerra.

[Trad. automatica.  Nella foto: Il cerchio di Maiwand Road nel 1993 in seguito alla distruzione causata dalla guerra civile afghana – Rawa]

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