Makhmour sotto assedio, Unhcr in silenzio
Dinamo press, 25 maggio 2023, di Baran Qamişlo
Il 20 maggio 2023 l’esercito iracheno si è presentato all’alba alle porte di Makhmour, cittadina di profughi curdi in un pezzo di deserto tra Erbil, Mosul e Kirkuk. L’UNCHR è tutore del campo. Makhmour è una di quei posti come Şengal e il Rojava che ha combattuto contro ISIS e che ora si trova sotto pressione da parte del governo Turco e in dialogo con le autorità irachene per mettere fine all’assedio del campo
È difficile collocare l’inizio degli attacchi a Makhmour (in curdo Mexmûr) in un preciso momento nel tempo, la storia stessa di Makhmour inizia con un attacco, quello che nel 1994 lo Stato turco ha lanciato contro centinaia di villaggi nel Bakur, il nord del Kurdistan occupato dalla Repubblica di Turchia.
In quella occasione decine di villaggi i cui abitanti erano accusati di sostenere o simpatizzare per il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) furono dati alle fiamme e decine di migliaia di persone furono costrette a fuggire attraverso le montagne in una delle innumerevoli operazioni con cui la Turchia tenta ancora oggi di disperdere e assimilare il popolo curdo.
Ad attendere gli sfollati dall’altra parte della catena montuosa dello Zagros c’era il regime Ba’th di Saddam Hussein che a sua volta tentò di disperdere i circa 10.000 rifugiati proponendo loro di essere divisi e inviati in vari campi. Quando la proposta fu rifiutata, il governo iracheno iniziò a spostare la carovana da un angolo all’altro del deserto iracheno, in aree disabitate e inospitali che provocarono la morte di decine di persone in quei primi anni, fino ad approdare nel 1998 nei pressi del villaggio di Makhmour, in un pezzo di deserto tra Erbil, Mosul e Kirkuk.
Mentre il governo iracheno in questo modo sperava di spezzare la volontà di rimanere un popolo unito dei curdi in esilio, il campo di Makhmour si è invece trasformato in una cittadina. Gli abitanti hanno portato l’acqua al campo, sostituito le tende con costruzioni stabili, sono state aperte scuole, cliniche e centri di arte e cultura, oggi se si parla di Makhmour nessuno ricorda il villaggio semi-deserto, la mente va immediatamente alla cittadina costruita dai profughi scampati alle persecuzioni della Turchia e sopravvissuti anche allo stesso Saddam.
Makhmour è stato uno dei primi luoghi ad adottare il paradigma del Confederalismo Democratico, ben prima che questo venisse applicato in Rojava.
L’implementazione di questo sistema ha portato il campo a essere una sorta di oasi autogestita fuori dal controllo instabile del governo centrale iracheno e dall’autorità del clan Barzani che amministra il governo regionale del Kurdistan con sede nella vicina Erbil. Contestualmente questa scelta ha reso il campo un bersaglio preferenziale per le potenze regionali e i gruppi radicali nell’area.
Il 6 agosto del 2014 dopo aver occupato Mosul e compiuto il massacro di Şengal lo Stato Islamico aveva posto la sua attenzione su Makhmour, ultimo ostacolo sulla via per Erbil, ormai ritenuta aperta dopo la fuga dei peşmerga di Barzani che tre giorni prima avevano abbandonato gli ezidi di Şengal al loro destino. ISIS a Makhmour non arriverà mai: sul poco distante colle di Qarachok troverà ad attenderlo le donne e gli uomini del campo in armi affiancati da due Tabur (unità militari) del Partito dei Lavoratori del Kurdistan scesi dalle montagne per supportarli, e verrà respinto.
Dalla sconfitta di ISIS, Makhmour e Şengal condividono la stessa situazione di pressione, la Turchia ha pubblicamente dichiarato di voler “ripulire” entrambi i luoghi che ritiene “avamposti del terrorismo” in quanto autorganizzati secondo il paradigma del Confederalismo Democratico.
Al contrario del Rojava o delle aree in Sud Kurdistan/Nord Iraq come Avaşin, Metina e Zap, in cui l’esercito turco può operare direttamente, Şengal e Makhmour si trovano a centinaia di chilometri dal confine turco, per questo motivo il governo turco prova a raggiungere i suoi obiettivi stringendo accordi e facendo pressione sulle due principali autorità che hanno a loro volta interesse nel contenere l’espansione del Confederalismo Democratico, ovvero il Partito Democratico del Kurdistan della famiglia Barzani e il governo centrale iracheno. Inoltre, entrambe le popolazioni presentano particolarità per cui un attacco diretto è più difficilmente giustificabile agli occhi dell’opinione pubblica e della comunità internazionale. Il popolo ezida che abita Şengal solo 9 anni fa è stato sottoposto a un genocidio, riconosciuto come tale dalle Nazioni unite, mentre il campo di Makhmour è sotto tutela formale dell’UNHCR dal 1998.
Parallelamente a una campagna di bombardamenti indiscriminati e omicidi mirati di personalità di spicco delle due aree autonome da parte dell’aviazione turca, esercito iracheno e peşmerga del KDP tentano ininterrottamente di isolare e disperdere le popolazioni di Makhmour e Şengal attraverso azioni volte a spaventare la popolazione.
Nel 2020 è stato firmato tra governo iracheno e governo regionale del Kurdistan il cosiddetto “Accordo di Sinjar” (Nome di Şengal in lingua araba), che prevede lo scioglimento dell’Amministrazione Autonoma locale e il ritorno in città dello stesso KDP che nel 2014 era fuggito lasciando gli ezidi soli contro ISIS. Nel tentativo di implementare questo accordo, rigettato dall’Amministrazione Autonoma che dichiara di non accettare alcun accordo preso senza il consenso degli ezidi, il 2 maggio 2022 l’esercito iracheno si è presentato alle porte di Şengal e delle cittadine limitrofe con tanto di carri armati intenzionati a entrare in città, trovando di fronte a sé la popolazione ezida scesa in strada per fare da scudo alla propria amministrazione autonoma. La tensione è montata finché l’esercito non ha tentato un intervento armato. Le forze di autodifesa di Şengal hanno risposto al fuoco. Nella resistenza durata tutto il giorno, che ha costretto alla ritirata l’esercito, è caduto il comandante delle Unità di Resistenza di Şengal (YBŞ) Şervan Êzidxan.
Il 20 maggio 2023 l’esercito iracheno si è presentato all’alba alle porte di Makhmour, come aveva fatto a Şengal un anno prima.
I soldati hanno schierato attorno al campo mezzi blindati e macchinari da costruzione, con il progetto dichiarato di circondare il campo con filo spinato e torrette d’osservazione, trasformandolo di fatto in una prigione a cielo aperto. Il progetto ha trovato la forte opposizione degli abitanti del campo che hanno immediatamente occupato le strade impedendo all’esercito di avvicinarsi.
Mentre la gente di Makhmour impediva il passaggio dei blindati, i portavoce del campo invitavano gli ufficiali iracheni a risolvere la questione diplomaticamente. Per tutta risposta l’esercito ha tentato un’incursione nel campo ma è stato costretto alla fuga. A seguito di questo rovinoso tentativo, l’esercito ha iniziato a sparare sui manifestanti provocando diversi feriti, tra cui un ragazzo ferito al petto in modo molto grave, continuando a sparare fino a sera inoltrata per poi ritirarsi di qualche decina di metri, chiudere le strade e iniziare a scavare trincee.
Tre giorni di resistenza hanno in fine costretto l’esercito iracheno ancora una volta alla ritirata e all’inizio di una serie di incontri formali che si spera possano portare alla fine dell’assedio sul campo.
Makhmour infatti è già sotto embargo da parte del KDP da quando nel 2019 un alto funzionario del MiT, il servizio di intelligence nazionale turca, è stato ucciso in un ristorante di Erbil. Nei giorni successivi il KDP ha arrestato due ragazzi presentandoli come abitanti del campo e indicandoli come esecutori, per poi accodarsi alla narrazione turca di Makhmour come “avamposto terroristico” e iniziare così un embargo volto a spingere gli abitanti a lasciare il campo. Alla situazione di emergenza creata dall’embargo si aggiunge la sempre più pressante presenza di droni turchi sul campo che occasionalmente colpiscono abitazioni e infrastrutture interne.
In questa situazione lascia perplessi il silenzio dell’UNHCR, formalmente tutore del campo, che il 23 maggio ha visitato Makhmour per la prima volta dopo 12 anni di assenza. In questi 12 anni l’unico “contatto” tra il campo e l’agenzia ONU per i rifugiati non era certo stato positivo. L’anno scorso in seguito all’ennesimo attacco aereo, l’amministrazione di Makhmour aveva lanciato un appello all’UNHCR tramite twitter affinché prendesse posizione. L’agenzia piuttosto che rispondere aveva bloccato l’account gestito dal campo per poi sbloccarlo in seguito a un’ondata di indignazione.
Nonostante l’inizio di una serie di incontri tra portavoce del campo e autorità irachene sia senza dubbio un buon segnale, così come la visita dell’UNHCR, resta in dubbio l’effettiva volontà da parte del governo iracheno, per non dire possibilità, di risolvere la questione per vie diplomatiche.
Anche dopo gli scontri di Şengal il governo iracheno aveva annunciato la volontà di aprire un dialogo con rappresentanti dell’amministrazione autonoma, salvo poi accettare silenziosamente gli attacchi con droni dello Stato turco contro la città ezida, che hanno assassinato, tra gli altri, una delle figure chiave dell’Amministrazione Autonoma nei colloqui con il governo centrale, il comandante YBŞ Pîr Çeko.
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