Skip to main content

Le voci dei rifugiati afghani che il Pakistan costringe al rientro: “Io nato esule, neanche parlo la lingua”. “Noi donne fuggite dai talebani e ancora prigioniere”

|

Mustafa Nikzad, Il Fatto Quotidiano, 19 novembre 2023  Deportazione afghani Pakistan

La recente repressione del Pakistan contro i rifugiati afghani ha scatenato grande caos e una nuova crisi umanitaria tra coloro che erano fuggiti dal Paese dopo la presa del potere da parte dei Talebani. Le deportazioni forzate hanno fatto registrare un picco nei primi giorni di ottobre. La storia turbolenta dell’Afghanistan ha spinto milioni di rifugiati afghani a cercare rifugio nel vicino Pakistan nel corso dei decenni.

Hasibullah Mazlumyar (nome di fantasia per preservare la sicurezza del giovane che ha parlato a Ilfattoquotidiano.it) è un rifugiato afghano di 29 anni nato e cresciuto in Pakistan. Mazlumyar spiega che le radici della sua famiglia in Pakistan sono antiche di decenni, con i suoi nonni immigrati nel Paese molti anni fa. Le generazioni successive, compresi i suoi genitori, zie, zii e fratelli, sono nate tutte in Pakistan. Possiedono carte d’identità fornite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) che vengono aggiornate annualmente. Ma la recente politica di deportazione annunciata dal Pakistan li ha lasciati in uno stato di incertezza: le loro carte non sono più considerate valide e attendono una potenziale decisione sulla loro deportazione.

“Sebbene la politica affermi di mirare a coloro senza la necessaria documentazione per rimanere nel Paese, in particolare a coloro che sono arrivati dopo il crollo del governo repubblicano dell’Afghanistan, la verità è che la decisione colpisce ingiustamente milioni di afghani che hanno vissuto per tutta la loro vita in Pakistan”, racconta. “Queste persone sono cresciute nella società pakistana, frequentando scuole locali, stringendo amicizie e considerando il Pakistan la loro casa. La prospettiva di tornare in Afghanistan, un Paese che conoscono appena, presenta non solo sfide logistiche, ma anche un grande sconvolgimento emotivo”. Mazlumyar condivide la storia di un amico nato e cresciuto in Pakistan, proprio come lui, che aveva lo status di rifugiato rilasciato dall’UNHCR. Tuttavia, queste carte sono state confiscate dalla polizia durante il loro arresto. L’amico ha manifestato profonda preoccupazione riguardo al ritorno in Afghanistan, poiché il Pakistan è diventato la loro casa, e ora sarebbero rifugiati in entrambi i Paesi. Lasciare la vita che hanno costruito in Pakistan e affrontare un futuro incerto in Afghanistan è una prospettiva intimidatoria per queste famiglie, molte delle quali non conoscono nemmeno le lingue locali dell’Afghanistan.

“La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che molti rifugiati afghani in Pakistan hanno stabilito imprese di successo dal valore di milioni di dollari. Tornare in Afghanistan significherebbe abbandonare queste imprese e sarebbe una sfida significativa per il loro sostentamento”, dice. Mazlumyar sottolinea il netto contrasto tra il trattamento che ricevono in Pakistan, dove rimangono rifugiati per decenni, e le potenziali opportunità di ottenere uno status regolare o persino la cittadinanza in paesi occidentali se solo vi fossero stati per decenni. Aggiunge inoltre che “con l’avvicinarsi dell’inverno, le circostanze affrontate dai rifugiati afghani sono aggravate dalla minaccia di essere espulsi senza beni di prima necessità come cibo e acqua, e questo è un grande momento per il Pakistan per ballare sulla miseria degli afghani e dell’Afghanistan. E’ un atto malvagio”.

Mazlumyar ricorda un paio di video inquietanti che circolano sui social media che mostrano il brutale trattamento dei rifugiati afghani, con anziani, bambini e giovani uomini vittime di abusi fisici da parte della polizia di frontiera pakistana. Picchiati a morte fino a perdere parti del corpo. Mazlumyar sostiene che la politica di deportazione potrebbe essere anche dovuta a una pressione politica da parte dei talebani e dal desiderio di rimpatriare i rifugiati afghani. Le ragioni, dice, sono “politiche, sociali e governative” e non da ultimo può essere un tentativo di alleviare la crisi finanziaria dell’Afghanistan riportando in patria anche chi ha affari o imprese con l’Occidente. Tuttavia, sottolinea che sono i membri più vulnerabili della società a subire il peso di queste politiche, mentre coloro con influenza economica vengono risparmiati.

Le donne afghane rifugiate in Pakistan. Lotte per la sopravvivenza contro il probabile ritorno nel caos dei talebani – Samina Hafizi e Zuhal condividono storie di sfollamento e incertezza come donne afghane rifugiate in Pakistan. In un mondo che sembra cambiare costantemente, la vita delle donne afghane rifugiate è stata segnata da grande incertezza. Samina Hafizi, laureata in Archeologia e Antropologia, e Zuhal, una ragazza di 27 anni, si sono ritrovate entrambe a cercare rifugio in Pakistan dopo il crollo del governo della Repubblica dell’Afghanistan.

Hafizi, nata in una famiglia di otto persone, ha affrontato avversità fin da giovane quando il padre è morto. Insieme alle sorelle ha lavorato instancabilmente per costruire una vita migliore. Hanno avuto successo nelle loro carriere, lavorando nei media e in vari uffici governativi. Tuttavia, le loro vite hanno preso una svolta drammatica quando il governo è crollato e le donne sono state confinate nelle loro case. Samina e la famiglia hanno affrontato discriminazioni mentre cercavano una casa: nessuno voleva affittare loro un’abitazione dal momento che non c’è una figura maschile in famiglia e temendo ritorsioni dai talebani. Costrette a cercare rifugio a casa della loro nonna, hanno vissuto nella paura e nell’incertezza. Alla fine, il 5 aprile 2022, Samina, le sorelle e la madre hanno preso la difficile decisione di fuggire in Pakistan attraverso il confine di Spin Boldak. Una speranza di fuga che però si è dissolta una volta arrivate nel nuovo Paese. A causa della mancanza di documenti e delle molestie da parte della polizia e dell’esercito pakistano, si sono trovate di nuovo prigioniere in casa.

Una situazione simile a quella vissuta dalla famiglia di Zuhal: il fratello e la sorella erano pubblici ministeri e sono tutti diventati un bersaglio sotto il nuovo governo. Interrogatori costanti e perquisizioni nelle loro case li hanno fatti temere per la loro vita. Per questo, Zuhal e la sua famiglia hanno deciso di emigrare in Pakistan. Dopo un anno di lunga attesa e incertezza, il padre di Zuhal ha deciso di tornare volontariamente in Afghanistan, dopo aver assistito al trattamento disonorevole e disumano delle forze dell’ordine pakistane nei confronti delle comunità di rifugiati afghani. “Ha detto che tornerà in Afghanistan e preferisce essere ucciso piuttosto che essere trattato così”, ha aggiunto Zuhal parlando del padre. Zuhal ha aggiunto di vivere attualmente in Pakistan insieme alla sorella. E attualmente vive nell’ansia sul futuro della propria famiglia.

Il viaggio emotivo e la speranza collettiva che emerge anche nella disperazione – Il dolore e la miseria dei rifugiati afghani che affrontano la deportazione forzata dal Pakistan è una realtà straziante. Privati di sicurezza e riparo, sono costretti a tornare in una patria segnata da incertezza, conflitto e sconvolgimenti. Le loro vite sono in bilico mentre lottano con l’angoscia di lasciare l’unico briciolo di sicurezza che conoscevano. In questi momenti, il mondo non sembra curarsi di assistere al profondo costo umano dello sfollamento e degli echi inquietanti dei sogni infranti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *