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L’Onu si riunisce sul dossier Afghanistan. Ma l’Italia rimane ai margini

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it.insideover.com  Mauro Indelicato 3 maggio 2023

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Lo scenario è quello di Doha: qui, in una delle più grandi sale conferenze sulle sponde del Golfo Persico, l’Onu ha organizzato una riunione avente a tema l’Afghanistan. La scelta della sede non è stata casuale: il Qatar infatti ha mediato, durante il quadriennio di presidenza di Donald Trump, tra gli Stati Uniti e i talebani. A Doha quindi conoscono da vicino il dossier afghano e conoscono da vicino gli studenti coranici, i quali da queste parti hanno da anni una propria sede diplomatica. Eppure proprio i talebani non sono stati invitati. Un gesto forse necessario, visto che i leader del nuovo emirato afghano non hanno mantenuto le promesse di “moderazione” dell’agosto 2021, mese in cui sono tornati a Kabul.

Ma c’è un’altra assenza importante, almeno per quel che ci riguarda: l’Italia. Nessun rappresentante del governo di Roma è stato invitato nella capitale qatariota. Eppure anche il nostro Paese ha una vasta conoscenza del dossier. I nostri soldati sono stati in Afghanistan per 20 anni, hanno gestito la sicurezza nella provincia di Herat e in 53 sono morti adempiendo al loro dovere. L’esclusione dell’Italia è un colpo importante per la nostra diplomazia, la cui unica consolazione è data dall’esito della riunione di Doha. Il vertice infatti si è rivelato inconcludente, al pari a dire il vero di gran parte dei vertici convocati dall’Onu. L’unica decisione presa è stata quella di rinviare la questione a un nuovo vertice. 

La riunione voluta da Guterres

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Certo, le intenzioni del Palazzo di Vetro erano tra le più nobili. Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, è stato allarmato dagli ultimi dati riguardanti l’Afghanistan. L’Onu è consapevole che il 97% della popolazione afghana vive sotto la soglia di povertà. Ci sono 28 milioni di persone bisognose di assistenza, sei milioni invece patiscono la fame. Per dare un primo sollievo servirebbero almeno 4.6 miliardi di Dollari, ma a Kabul ben che vada entro i prossimi mesi di dollari ne arriveranno solo 294 milioni. Un effetto quest’ultimo dovuto alla presenza dei talebani. 

Gli studenti coranici, da quando hanno ripreso il potere, non hanno avuto alcun formale riconoscimento internazionale del proprio governo. A dispetto delle promesse fatte quando i primi combattenti talebani hanno messo piede a Kabul, il nuovo emirato afghano ha preso le stesse pieghe del primo, quello cioè durato dal 1996 al 2001 e sbaragliato dall’intervento Usa subito dopo l’11 settembre. Le donne subiscono di nuovo preclusioni nello studio e nel lavoro, la sharia viene interpretata in modo molto rigido, le condizioni di vita generali sono peggiorate. Washington, al pari dei Paesi occidentali, nell’agosto del 2021 aveva già chiuso le sedi diplomatiche e inoltre aveva congelato i fondi sovrani dell’Afghanistan. Si tratta di svariati miliardi di dollari che la Casa Bianca non vuole finiscano in mano talebana. 

Un embargo de facto che, come tutti gli embarghi, fa patire le peggiori conseguenze alla popolazione. L’atteggiamento dei talebani di certo non aiuta. Il ritorno al periodo precedente al 2001 impedisce l’apertura di canali di dialogo ufficiali. Kabul ha provato a virare verso Mosca, da parte sua il Cremlino ha stipulato accordi per la fornitura di benzina e grano all’Afghanistan. Ma si tratta di ben poca cosa rispetto alle necessità del Paese. Inoltre la stessa Russia non ha riconosciuto ufficialmente il governo talebano. 

Difronte a questa situazione, Guterres ha provato a fare il punto. E a cominciare a far affluire fondi per evitare un disastro umanitario. A Doha sono così stati convocati i rappresentanti di 21 Paesi, più i rappresentanti dell’Unione europea e dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica. Tra i 21 ci sono tutti i governi che condividono i confini con l’Afghanistan, compresa la Cina. Ci sono poi gli altri 4 membri permanenti del Consiglio di sicurezza, ossia Russia, Usa, Gran Bretagna e Francia. Spiccano anche il Qatar, padrone di casa dell’incontro, e gli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, a Doha erano seduti al tavolo i rappresentanti di Germania, Norvegia e Turchia. Mancano i diretti interessati, ossia i talebani. Ma questo è possibile spiegarlo con il mancato riconoscimento del loro emirato. Manca però, per l’appunto, anche l’Italia. E qui le spiegazioni appaiono politicamente meno convincenti. 

L’esclusione dell’Italia

Repubblica ha chiesto i motivi del mancato invito a Roma al portavoce del Palazzo di Vetro, Stephan Dujarric. Quest’ultimo ha spiegato che la riunione di Doha doveva contenere un numero “gestibile” di partecipanti. Non potevano esserci tutti, in poche parole. E allora è stata fatta una selezione. In Qatar sono stati invitati i membri permanenti del Consiglio di sicurezza, i Paesi confinanti con l’Afghanistan, i governi che hanno qualche influenza su Kabul, quindi Russia e Turchia. Infine per garantire un certo equilibrio politico, sono stati invitati i principali donatori. Questo spiega la presenza della Germania e della Norvegia. Oslo, in particolare, oltre a dare molti soldi ha anche ospitato un incontro tra rappresentanti occidentali e talebani nel gennaio 2022. Roma quindi è stata scartata in quanto ritenuta “sacrificabile” e comunque rappresentata tramite l’inviato dell’Ue a Doha. 

Uno strappo non indifferente

Il dato politico è però netto. L’Italia non solo ha dato un contributo importante alla missione che per vent’anni ha supportato il passato governo di Kabul. Ma, al tempo stesso, si ritrova a essere uno dei Paesi più esposti alla crisi umanitaria afghana. Lungo le nostre coste sono sbarcati, dal 2021 in poi, migliaia di profughi afghani partiti dopo l’arrivo talebano e approdati poi in Turchia e in Libia da dove hanno provato la traversata del Mediterraneo. 

La missione italiana all’Onu ha rimarcato l’importanza per Roma di essere convocata quando si parla di Afghanistan. Dal Palazzo di Vetro hanno risposto con la promessa di coinvolgere il nostro Paese quando ci saranno dei piani operativi sul dossier afghano. Sempre se ci saranno. Perché, come detto, per l’Italia c’è una parziale consolazione in tutto questo: due giorni di riunioni a Doha sono servite unicamente ad aggiornarsi a un’altra riunione. Se non altro, alla Farnesina sono stati risparmiati i soldi per una trasferta che si sarebbe rivelata poi inconcludente. Appare però importante premere affinché anche l’Italia venga coinvolta nel dossier. Diversamente, lo strappo politico sarà lampante e difficile da digerire. 

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