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Kabul, vita da talebano

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Enrico Campofreda dal suo Blog – 8 marzo 2023

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Nei mesi scorsi Sabawoon Samim, studente della provincia di Zabul, ha avvicinato alcuni talebani presenti a Kabul raccogliendone le impressioni poi pubblicate dai ricercatori dell’Afghanistan Analysts Network. Ne scaturisce uno spaccato parzialmente inedito poiché anche nella presunta arretratezza dell’Emirato il miliziano cambia ruolo, diventando più impiegato che combattente.

Il focoso passato è ancora vivo, ma sedimenta nei ricordi mentre il presente è fatto d’impegno amministrativo al fianco di comandanti trasformati in ministri o peggio in burocrati.

Poi: studio di lingue e nozioni informatiche per quel che le attrezzature possono offrire, inurbamento, possibili trasferimenti familiari nella capitale prima temuta quindi accettata, necessità d’ulteriori guadagni sempre in funzione del mantenimento di moglie e figli. E graduale trasformazione estetica con acconciature meno ribelli, barbe più curate, addirittura uso di divise e minore ostentazioni di armi in pubblico (almeno come buon proposito).
Omar padre di cinque figli, dal distretto di Paktika, dove torna appena può perché lì ha la famiglia, ha raccontato a Samim d’essere originario del Waziristan (regione pakistana che nel concetto mai morto del Pashtunistan va oltre i confini ‘imperialisti’ di Afghanistan e Pakistan). Ricorda d’avere avuto undici anni nell’ottobre 2001, quando iniziò l’Enduring Freedom statunitense.

Furono quei bombardamenti indiscriminati a spingerlo verso la jihad contro gli occupanti. Ha combattuto nelle provincie di Laghman, Nangarhar, Paktia, Paktika, Ghazni prima di diventare rappresentante e poi comandante del suo gruppo. Ora è stanziale a Kabul, con un impegno lavorativo dalle otto alle sedici che non gli lascia spazio per frequentare conoscenti e compagni d’armi d’un tempo. Solo il venerdì, se non torna a casa, c’è il relax a Zazai Park, luogo di svago dei kabulioti, oppure al castello di Paghman, un posto a suo dire impossibile da trovare in tutta la provincia di Paktika. Di Kabul apprezza la relativa pulizia e il modo in cui le strutture sono state modernizzate e migliorate (sic): gli edifici, le strade, l’elettricità, la connessione internet e tanto altro. Si stupisce di trovare taxi anche a mezzanotte, apprezza la fruibilità di ospedali e scuole (magari non per le studentesse, ndr), centri educativi e madrase. Altro pregio della capitale è la sua diversità etnica. Omar incontra uzbeki, pashtun, tajiki che vivono in un edificio e vanno alla stessa moschea. Non cita gli hazara, ma magari non passa per Dasht-e-Barchi… Aggiunge che parecchi hanno un’immagine negativa di Kabul, ma lui ha visto che differentemente dai villaggi, dove molti vanno in moschea per stupire la comunità, la gente di Kabul ci si reca solo per il bene di Allah. 

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Il più giovane (ventiquattrenne) Huzaifa, originario della provincia sudorientale di Paktia, è sposato e padre di due figli, in guerra ha ricoperto l’incarico di cecchino (…) Frequentava la madrasa dall’età di tredici anni e rivela come la famiglia abbia cercato di fargli lasciare l’Emirato. Ma nella lotta e nel gruppo lui trova amore, sincerità e sete di martirio. Durante la jihad la vita era semplice, dovevano solo pensare ai piani d’attacco e a ritirarsi. Ora è tutto più complesso: chi ha fame li ritiene responsabili dell’aggravamento delle condizioni di vita. Trasferitosi a Kabul, che ha visto per la prima volta due anni or sono, pensava di trovarla colma di malfattori, dopo mesi di permanenza ha cambiato opinione. Certo, in città vivono anche criminali, provenienti da tutto l’Afghanistan, e ha costatato frequenti casi di ferocia contro le donne. Racconta all’intervistatore che quest’ultime si approssimano alla ḥawza(letteralmente la sede della conoscenza, una sorta di seminario) per chiedere lumi sui problemi che le affliggono. Il capo della ḥawza ha insegnato a lui e ad altri mujaheddin che la Shari’a permette di parlare alle donne per orientarle e aiutarle. E’ l’unico interessamento di genere scaturito dai colloqui. Un suo prossimo passo è portare la famiglia in città, dove la gente vive a contatto di gomito ma non interagisce come nei piccoli centri. Una tendenza contraddittoria e positiva al tempo stesso: a differenza del villaggio nessuno s’interessa a ciò che fai, infastidendoti o interferendo nell’altrui vita (Ipse dixit, ndr).Kamran, 27 anni, proveniente dalla provincia di Wardak, è egualmente sposato e due volte padre. Diplomato in una scuola governativa a 19 anni ha abbandonato gli studi “Per il bene della jihad” ed è all’ottavo anno di militanza islamista. Ricorda d’aver partecipato a parecchie battaglie, proprio nella zona d’origine, Sayedabad, dove gli americani lasciavano decine di cadaveri. Negli ultimi tre anni è diventato vicecomandante e responsabile della maggior parte delle attività quotidiane. Fra le paure passate gli si ripresenta il fantasma dei droni che inseguivano il suo manipolo e lo bombardavano. Negli ultimi due anni di guerra precedenti all’estate 2021 i reparti americani e di Ghani erano scomparsi dai campi di battaglia, solo gli attacchi dal cielo potevano colpirli. Si esalta ancora perché non è più braccato, loro (i taliban) possono andare dove vogliono: sono liberi e c’è libertà in tutto il Paese per questo  loda Allah.

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