Afghanistan, i gironi dell’inferno talebano
Globalist, 24 settembre 2023, di Umberto De Giovannangeli
Oltre 1.600 casi di abusi e torture nel corso di arresti e detenzione sono avvenuti in Afghanistan negli ultimi sette mesi ad opera dei talebani. Un rapporto delle Nazioni Unite.
Abusi, torture, lapidazioni, detenzioni di massa. I tanti gironi dell’inferno dell’Afghanistan talebano.
Oltre 1.600 casi di abusi e torture nel corso di arresti e detenzione sono avvenuti in Afghanistan negli ultimi sette mesi ad opera dei taleban. È quanto documenta un rapporto presentato alle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani nel Paese. Il rapporto, redatto dalla Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), rileva che questi trattamenti crudeli, inumani o degradanti sono avvenuti in luoghi di detenzione sotto la giurisdizione del ministero dell’Interno e della Direzione generale dell’intelligence de facto.
Si tratta «di percosse, scosse elettriche, torture con l’acqua, così come minacce contro gli individui e le loro famiglie» ha spiegato Volker Türk, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il rapporto, che documenta casi avvenuti in 29 delle 34 province dell’Afghanistan, parla della tortura utilizzata al posto delle indagini. «Nel tentativo di estorcere confessioni o altre informazioni, i detenuti sono sottoposti a gravi sofferenze, tra cui percosse, scosse elettriche, asfissia, ingestione forzata di acqua, nonché bendaggi e minacce» riferisce il rapporto. «Le violazioni delle garanzie del giusto processo, incluso il rifiuto di accesso all’avvocato, sono la norma», aggiunge il documento.
Inoltre, si sottolinea, queste violazioni avvengono nonostante l’emissione di linee guida da parte delle autorità de facto volte a salvaguardare i diritti umani dei detenuti e a regolare il comportamento del personale di sicurezza. Linee guida, tra cui un codice di condotta emesso nel gennaio 2022 e istruzioni ad hoc simili, che «non sono state sufficientemente seguite».
La storia di Wesa
“Siamo a settembre e le aule delle scuole sono ormai piene. C’è chi aspettava questo momento con entusiasmo, chi con insofferenza. A 4mila chilometri dall’Italia però, c’è chi aspetta e basta perché non potrà proprio andarci a scuola: parliamo delle ragazze afghane, private da due anni del loro fondamentale diritto all’istruzione. E c’è una persona che si è sempre opposta al fanatismo dei talebani. Il suo nome è Wesa Matiullah, ha poco più di 30 anni e nella sua vita ha sempre fatto l’educatore. Con altri attivisti, ha girato in lungo e in largo l’Afghanistan aprendo scuole, biblioteche, facendo lezioni all’aperto e svolgendo campagne per il diritto all’istruzione. Azioni intollerabili per i talebani, che lo hanno sbattuto in cella senza pensarci due volte”. Così scrive in una nota Amnesty International, che conclude con un appello: “Chiediamo l’immediata liberazione di Wesa e la riapertura delle scuole per le donne di tutte le età”.
L’oppressione non conosce limiti
Ne dà conto, con la consueta perizia documentaria e sensibilità, Antonella Alba per Rai News: “Troppe segnalazioni sull’uso del velo messo male oppure non utilizzato, mentre ci si rilassa al parco. E’ così che Kabul ha deciso per l’ennesima stretta da imporre sui diritti delle donne, vietando l’ingresso al meraviglioso parco nazionale Band-e-Amir nella provincia centrale di Bamyan. Il parco, il primo istituito nel 2009, è costituito da una mezza dozzina di laghi “creati naturalmente con formazioni e strutture geologiche speciali, nonché con una bellezza naturale e unica”, scrive l’Unesco.
Ad annunciare ai media il provvedimento “de facto” il Ministro per la Propagazione della Virtù e la Prevenzione del Vizio Mohammad Khalid Hanafi, dopo un incontro con i leader religiosi locali, secondo cui le donne non rispettano le regole relative allo stretto codice vestimentario islamico. “Le donne e le nostre sorelle non possono andare a Band-e-Amir finché non raggiungiamo un accordo di principio. Le agenzie di sicurezza, gli anziani e gli ispettori dovrebbero agire. Andare in visita turistica non è un dovere”, ha ammonito dopo l’incontro con il capo del Consiglio degli Ulema sciiti di Bamyan, Sayed Nasrullah Waezi.
La notizia arrivata a pochi giorni dall’anniversario dei talebani di nuovo al potere dal 15 agosto 2021, ha suscitato una nuova ondata di indignazione internazionale.
“Non contenti di privare le ragazze e le donne dell’istruzione, del lavoro e della libertà di movimento, i talebani vogliono anche privarle dei parchi, degli sport e ora anche della natura”, ha dichiarato in una nota l’Ong per i diritti umani Human Rights Watch. Nel paese è stata reintrodotta la lapidazione, la fustigazione e la sepoltura sotto un muro per le donne che non seguono i rigidi dettami della Sharia.
Non solo parchi, i divieti riguardano quasi tutta la sfera sociale delle donne: niente scuola o università, niente lavoro, hanno chiuso perfino i centri estetici, niente viaggi da sole, ma solo con un accompagnatore maschio possibilmente fratello, marito o padre. Il regime, racconta Bbc, ora vieta loro anche di lasciare il paese per vedere garantito il diritto all’istruzione: decine di studentesse afgane sono state fermate all’aeroporto di Kabul mentre volevano imbarcarsi per la vicina Dubai dove le aspettava un corso di studio dedicato.
Borse di studio per le donne afghane negli Emirati Arabi Uniti, iniziativa avviata già dal dicembre 2022 grazie a facoltosi uomini d’affari dopo che i talebani hanno bandito le donne dalle loro università. Un centinaio quelle che sono riuscite a ottenerle, fino a quando a luglio scorso una studentessa è stata fermata all’aeroporto: “Alcuni funzionari talebani hanno detto che nonostante il visto studentesco, non è permesso lasciare l’Afghanistan”.
Restrizioni che sono il segno della gravissima crisi umanitaria in cui versa il Paese e che stanno mettendo a serio rischio la salute mentale e fisica delle cittadine afgane. Secondo il Guardian, da quando i talebani hanno preso il controllo del Paese nell’estate del 2021, c’è stato un aumento preoccupante del numero di donne che si sono tolte la vita o hanno tentato di farlo. Il quotidiano britannico ha raccolto i dati dagli ospedali pubblici e dalle cliniche per la salute mentale in un terzo delle province del paese, nonostante le autorità talebane non abbiano mai reso ufficiali i dati su queste tragiche morti, che portano il paese a segnare un primato tra i suicidi femminili, maggiori rispetto a quelli maschili.
Le cifre si riferiscono alle province dove dominano i principali gruppi etnici dell’Afghanistan, dai deserti del sud alle montagne del nord, e aree in gran parte rurali e altre intorno alle principali città. Le Nazioni Unite e gli attivisti per i diritti umani lanciano l’allarme: “Stiamo assistendo a un momento in cui un numero crescente di donne e ragazze vedono la morte come preferibile alla vita nelle circostanze attuali”, ha affermato Un Women, l’entità delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne”.
Ragazze e donne afghane: loro sono la rivoluzione!
“A tutte le ragazze che sono spaventate per i talebani: dovete avere coraggio, essere determinate e non mollare. La vostra istruzione deve andare avanti!”.Khalida* 14 anni studentessa di Kabul
Dal 20 settembre 2021- rimarca in un report Amnesty International – le ragazze afghane al di sopra dei 12 anni non possono andare a scuola, mentre le rigide restrizioni alla segregazione di genere nelle università hanno gravemente ridotto le possibilità per molte giovani donne di perseguire un’istruzione universitaria significativa. Alcune università private hanno istituito aule segregate per genere, ma molte università pubbliche hanno deciso che le donne non possono lavorare né frequentare fino a quando non saranno stabilite classi separate per donne e uomini.
Il 22 marzo le scuole afgane riapriranno le porte dopo la pausa invernale. È arrivato il momento di fare pressione sui talebani affinché tutte le ragazze possano tornare nelle aule e riprendere la propria vita.
Oltre a perdere l’accesso all’istruzione e al lavoro, le donne ora affrontano crescenti minacce di violenza di genere e gravi restrizioni ai loro diritti alla libertà di movimento, libertà di riunione e di espressione, compresa la scelta dell’abbigliamento.
Nonostante l’instabilità politica e i conflitti, le donne afgane hanno ottenuto molto negli ultimi 20 anni, ora, sotto le attuali autorità talebane si trovano ad affrontare il rischio imminente di perdere tutto.
La comunità internazionale si è assunta diversi impegni per continuare a sostenere i diritti delle donne in Afghanistan. È tempo di tradurre queste parole in azioni!
Testimonianze dall’inferno
Ne danno conto, per Euronews, Ilaria Cicinelli e Anelise Borges: “Pace non significa solo assenza di guerra. Per me, pace significa avere il diritto di essere se stessi, il diritto di scegliere”.
Ragazza afghana in anonimo per motivi di sicurezza
Lo racconta bene con il suo lavoro la corrispondente di Euronews, Anelise Borges, che ha intervistato alcune donne afghane per raccontare com’è la vita ai tempi dei talebani.
Questi ultimi hanno sempre giustificato la legittimità del loro governo rivendicando di aver posto fine a oltre 40 anni di conflitto. Eppure, molte delle donne in Afghanistan si chiedono: a quale prezzo?
Secondo una delle donne, intervistate da Borges, la pace “Non significa solo assenza di guerra. Per me, pace significa avere il diritto di essere se stessi, il diritto di scegliere. Noi – ha proseguito la ragazza, che deve rimanere anonima per motivi di sicurezza – siamo la popolazione di questa società che è emarginata dalla stessa società, che non ha alcun diritto in questo Paese. La situazione non è buona per noi e peggiora di giorno in giorno”.
Le misure sono state legittimate e inquadrate come un ritorno ai tradizionali valori islamici ma di fatto sono uno strumento di oppressione e repressione, che ha solo peggiorato la vita delle donne nel Paese. Secondo quanto riporta l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), il precedente capo della Commissione indipendente sui diritti umani in Afghanistan – smantellata dai talebani – Shaharzad Akbar, ha sottolineato come i talebani “Hanno trasformato l’Afghanistan in un cimitero di massa delle ambizioni, dei sogni e del potenziale delle donne e delle ragazze afghane”.
Le tappe dell’oppressione
Nella prima conferenza stampa, dopo aver preso il potere, i talebani affermavano che avrebbero consentito alle donne “di studiare e lavorare all’interno della nostra struttura. Le donne saranno molto attive nella nostra società”. Il risultato è stata invece la completa rimozione delle donne dalle attività della società civile. Dopo appena un mese, nel settembre 2021, l’Emirato islamico ha vietato alla popolazione femminile di ricominciare a frequentare le lezioni nelle scuole di secondo grado, con il pretesto della sicurezza, per cui sarebbe stato per le ragazze pericoloso frequentare luoghi che non garantivano la separazione di genere.
In concomitanza, il sindaco di Kabul ha ordinato alla componente femminile dello staff dell’amministrazione comunale di rimanere a casa. Se questa sembrava una misura temporanea, le speranze delle ragazze afghane sono state infrante quando nel marzo del 2023 il governo ha annunciato che gli istituti secondari per l’istruzione femminile non sarebbero stati riaperti.
Prima del ritorno dei talebani più di 100mila donne erano iscritte a università pubbliche o private in Afghanistan. In mancanza di alternative molte di loro hanno optato per soluzioni online, come l’”Università del popolo”, nel tentativo di completare la loro educazione. L’Università al momento ha accettato 2500 domande di iscrizione da parte delle donne, ma le richieste arrivate sono più di 21mila.
Nel dicembre 2021 una nuova imposizione ha contribuito a minare la libertà delle donne afghane e a discriminarle. Nessuna donna da quel momento può percorrere lunghi viaggi, più di 72 chilometri, senza essere accompagnata da un parente maschio.
Nel maggio del 2022 il governo ha emanato dei codici di abbigliamento, decretando che le donne non troppo anziane o giovani devono coprirsi integralmente il viso, a esclusione degli occhi.
I sogni spezzati delle donne afghane, niente istruzione per loro
A novembre del 2022 un portavoce del Ministero per la promozione della virtù ha annunciato che alle donne era stato interdetto l’accesso ai parchi e ai giardini pubblici, nonché a palestre, piscine e bagni pubblici, in conformità con la legge islamica, la Sharia. Ma il divieto più eclatante e con le peggiori ripercussioni sul lungo termine, è arrivato il 20 dicembre del 2022. In questa data il Ministero dell’istruzione ha ordinato a tutte le università, pubbliche o private, di sospendere l’istruzione femminile. Appena qualche giorno dopo, alle donne è stato vietato anche di lavorare in organizzazioni, locali e internazionali, non governative, inclusa l’Onu. Questo ha reso impossibile, alle Nazioni Unite, sapere con certezza se gli aiuti umanitari arrivino anche alla popolazione femminile.
E se, fuori e dentro la popolazione, si pensava di aver raggiunto il fondo, il colpo di grazia è arrivato nel luglio del 2023, quando il governo ha imposto la chiusura di parrucchieri e saloni di bellezza, gli ultimi luoghi dove le donne potevano incontrarsi lontano dagli uomini e dai talebani. Circa 60mila donne hanno perso il lavoro e molte di loro sono l’unica fonte di sostentamento per i figli e per la famiglia, per l’ assenza o la morte del marito, in numerosi casi.
Sono scarse le opzioni aperte per chi tra loro vuole continuare a lavorare, tra cui la sanità pubblica, dove le dottoresse sono necessarie perché non è consentito a un medico maschio di visitare una donna, e l’artigianato. Ma anche in questi casi l’accesso al lavoro non è facile e le donne sono costrette a subire innumerevoli pressioni dal governo e dalla controparte maschile.
Molte sono state le proteste nelle città più grandi come Kabul, eppure la voce di chi si vuole opporre al regime viene zittita con violenza tramite la detenzione e, come testimoniano molti casi, la tortura.
Purtroppo, nel futuro prossimo, non sembra esserci speranza che la presa del governo su questo cappio soffocante posto al collo delle donne venga allentato. Al contrario le parole del leader dei talebani, Haibatullah Akhundzada, pronunciate il 25 giugno scorso, sembrano far presagire nuove nuvole all’orizzonte e nuove imposizioni. “Gli aspetti negativi degli ultimi 20 anni di occupazione legati all’hijab delle donne e alla cattiva guida finiranno presto”.
Afghanistan, così l’Occidente ha tradito un popolo consegnandolo, dopo venti anni di una guerra fallimentare, ai suoi carnefici.
Lascia un commento