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Ricordi: l’8 marzo, dal 2002 al 2018

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hambastagi 8 marzoAnna è stata in Afghanistan con tre delegazioni e ha partecipato ad altrettante manifestazioni per l’8 marzo.

Anna, oggi, lascia fluire i suoi ricordi.

2002, la prima volta. Ho partecipato alla manifestazione organizzata dal Ministero per la condizione femminile allora guidato da Sima Samar. Era stato organizzato all’interno di un cinema bombardato, sprovvisto del tetto che era stato sostituito da teli di paracadute.

Un evento pieno di retorica, come organizzato appositamente per mostrare all’occidente che la situazione stava cambiando e generando le premesse per una stabilità che potesse essere sostenuta con gli aiuti promessi.

Ma, quanto ricordo di più sono le aspettative delle donne presenti, arrivate con il burqa tolto subito all’interno del cortile: avevano gli occhi traboccanti di speranza.

Il contesto non era sufficientemente sicuro perché RAWA potesse partecipare pubblicamente, così l’8 marzo avevano preferito onorarlo distribuendo cibo all’orfanotrofio di Kabul: un’iniziativa indubbiamente più valida e concreta della parata governativa.

2007, a metà. L’aspettativa di cinque anni prima era già stata tradita: la scelta degli occupanti di appoggiare governi guidati da signori della guerra e loro alleati, non dava spazio a una concreta autodeterminazione del popolo afgano. Ciò nonostante Rawa era sempre attiva e continuava a lavorare in clandestinità con la sua rete capillare, estesa in tutto il paese.

Questa volta, sono state loro ad organizzare la funzione, come la chiamano. Le donne arrivavano da ogni provincia e traspariva con veemenza la felicità del loro incontro e degli abbracci, affetto destinato anche a noi.

2018, indubbiamente l’ultima. Abbiamo partecipato alla manifestazione dell’8 marzo organizzata da Hambastagi, il Partito della Solidarietà, in una sala con centinaia di attiviste e attivisti. Era palpabile quanto la situazione fosse sempre più pericolosa: siamo state scortate all’interno della sala, ogni partecipante è stato meticolosamente perquisito e, finito l’incontro, ci hanno fatte uscire tanto velocemente da non poter terminare i saluti.

Sentivamo, ripartendo, eppure ci negavamo, promettendoci un prossimo incontro, che non ci saremmo più riviste. Almeno per un po’.

Se la Giornata Internazionale della Donna in Italia, forse in Occidente, a molte donne ha lasciato un po’ di amaro in bocca, per la poca adesione con un messaggio di forza politica, l’Afghanistan ce ne ha restituito il senso.

Oggi, alla luce di quello che è accaduto e deve ancora accadere, al già consumato ritorno dei talebani al potere e all’incertezza dei prossimi eventi, il senso di nostalgia è forte. Impossibile non condurre il pensiero a se e quando potremo tornare a ritrovare le nostre coraggiose compagne.

E la rabbia lo è ancora di più, per aver depredato un paese per 20 anni per poi abbandonato al suo destino di sempre crescenti violenza ed instabilità.

A pochi giorni dall’8 marzo, non possiamo non ringraziare loro, le donne afghane, per averci dato la determinazione con cui ci impegniamo a sostenerle, per tenere accesa in noi la speranza di un mondo diverso, per averci restituito il più profondo significato di sorellanza.

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