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Nel Rojava bersagliato dai droni, dove i curdi temono l’assalto della Turchia di Erdogan.

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Il presidente turco Erdogan continua indisturbato l’invasione del Rojava reportage della situazione sul campo

La Repubblica, 16 giugno 2022, di Daniele Raineri Repubblica 16 06

Il reportage: i Bayraktar che in Ucraina aiutano a combattere i russi, nel Nord della Siria sono l’arma utilizzata dagli invasori per spingere la resistenza ad abbandonare le terre lungo il confine. Il timore dei curdi è di essere abbandonati come gli afghani a Kabul.

Hasakeh (Rojava) – “Fino alla chiesa distrutta non ci possiamo arrivare – dice l’ufficiale delle forze di sicurezza curde – perché i droni ci seguono dall’alto e osservano tutte le macchine. Ormai non ci sono quasi più civili in questa zona, quindi fanno attenzione anche ai singoli veicoli. I droni seguiranno la nostra macchina, vedranno dove andiamo e così scopriranno dove sono i nostri soldati. Finisce male. O ci bombardano adesso oppure ci bombardano dopo assieme ai soldati”. L’ufficiale è uno smilzo in borghese, parla dal sedile posteriore di un Suv civile mentre il guidatore sbircia dal finestrino se ci sono droni in cielo. Siamo parcheggiati in una piazzola nel Rojava, la regione autonoma dei curdi nel nord della Siria. Il presidente turco Erdogan ha annunciato due volte, prima il 23 maggio e poi il primo giugno, che ordinerà un’operazione militare per occupare un altro pezzo di territorio curdo – dopo che già nel 2019 i soldati turchi si erano presi con la forza una trentina di chilometri di terreno – e tutti si aspettano che l’invasione riprenda da un momento all’altro.

Nel Rojava, come già nel Donbass ucraino semi dimenticato per otto anni, la guerra a bassa intensità tra curdi e turchi sta accelerando. La chiesa da vedere è quella di Tal Tawil, un paesino a cinque chilometri di distanza, ed è stata bombardata una settimana fa. Un colpo ha centrato una parete in fondo e ha fatto volare calcinacci per tutta la navata fino ai piedi dell’altare, per ora la zona è inaccessibile. Troppa sorveglianza turca, troppi bombardamenti con i droni, si rischia di compromettere la posizione dei soldati curdi.

I droni che il curdo menziona con timore reverenziale sono i Bayraktar, il best seller dell’industria bellica della Turchia, di recente celebrati sui social e con canzoncine pop perché nella guerra in Ucraina danno un contributo fondamentale contro l’invasione russa. Qui nel nord della Siria però i Bayraktar non fanno venire in mente storie di resistenza gloriosa. Sono l’arma dell’invasore turco e sorvolano tutti i giorni un territorio che sembra fatto apposta per facilitare le operazioni di caccia dall’alto: una pianura di stoppie e senza ripari, dove è possibile inquadrare un bersaglio da distante. Siccome non si può proseguire verso Tal Tawil e non si può stare fermi nello stesso posto, come a questo punto si sarà già capito, l’ufficiale dice al guidatore di infilarsi nelle vie di Umm el Keif, che in tempi normali è un paese di campagna abitato da cinquemila arabi ma adesso è un luogo deserto. Tra le case e nei campi non c’è nessuno. All’ingresso c’è una base dell’esercito siriano del presidente Bashar el Assad – i militari assadisti possono stare qui nel nord della Siria grazie a un accordo con i curdi e non fanno nulla. Due giorni fa davanti alla base sono arrivati alcuni colpi di artiglieria turca, “ma loro non hanno risposto, non possono muovere un dito”, dice l’ufficiale.

“Ecco, là c’è il mio paese, al Kasimiye, adesso è occupato dai gruppi di ribelli siriani che stanno con i turchi. È da lì che sparano”. Indica un gruppetto di case nella piana a due chilometri. Non c’è nessun fronte a dividere la zona turca da quella curda. Per convenzione, la linea di separazione è l’autostrada M4 che procede da est a ovest, parallela al confine con la Turchia, “per 160 km in quella direzione”, punta il dito verso ovest. È deserta. In fondo ci sono Tal Rifat e Manbij, le due città che Erdogan ha annunciato di voler prendere in questo round di conflitto. Poi ce ne saranno altri. Un soldato delle forze di polizia curde Asaysh a piedi viene incontro al Suv, dietro di lui c’è una casa con il tetto sfondato e due muri crollati. Un drone, due giorni fa. A cinquanta metri: altre macerie, stessa cosa ma quattro giorni fa.

Erdogan vuole conquistare altro terreno nel Rojava per riversarci dentro i milioni di sfollati siriani che da anni sono fermi in Turchia. Deve fare in fretta perché gli elettori detestano gli sfollati e fra un anno esatto ci sono le elezioni presidenziali. Sarebbe un’operazione di ingegneria etnica: mettere milioni di arabi siriani al posto dei curdi e cacciare i curdi più a sud. In teoria con un colpo solo Erdogan si libererebbe degli sfollati e cancellerebbe il Kurdistan siriano. Per un allineamento degli astri, in questo momento il presidente turco può mettere il veto all’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato e quindi in queste settimane quando parla con Washington e con Mosca riceve il massimo dell’attenzione. Prima o poi russi e americani, che sono in quest’area con piccoli contingenti militari, se ne andranno e la Turchia vorrà estendere la propria influenza sul nord e sull’est della Siria. I curdi temono che Erdogan abbia fatto un accordo sottobanco con la Russia: bloccare le nuove adesioni alla Nato in cambio del via libera alla guerra nel Rojava. Ieri i russi hanno smentito con tono sdegnato. L’ufficiale curdo strizza l’occhio: “Avevano anche detto che erano soltanto esercitazioni, quelle al confine ucraino”.

Un colpo di cannone ha fatto saltare una conduttura dell’acqua, che ora singhiozza in mezzo al paese. C’è movimento in una via, passano quattro lavoratori con gli stivali, “sono qui per scavare pozzi per l’acqua” dice il soldato curdo. È un’espressione in codice. Lo sanno tutti, si occupano di scavare tunnel difensivi in vista dell’invasione turca, unica salvezza contro i caccia e i droni. Si vedono scavi dappertutto e cumuli di terra fresca. Nelle città di Qamishli e di Hasake i tunnel hanno creato una seconda rete viaria che scorre sotto la pavimentazione delle strade. L’idea è quella di rendere molto costosa e difficile un’avanzata turca, sul modello della resistenza ucraina contro la Russia. C’è un tono di disperazione in più: il timore è che se l’invasione turca comincia, i governi occidentali e l’Amministrazione Biden tratteranno il Rojava più come Kabul, lasciata nelle mani dei talebani, che come Kiev, aiutata in ogni modo.

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