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L’insanguinata Ashura degli hazara sciiti nell’Afghanistan dei talebani

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Huffpost – 9 luglio 2022 – di Luciana Borsatti

ascuraGli ultimi giorni dei riti religiosi in onore dell’Imam Hussein, ucciso con il suoi seguaci a Kerbala nel 680 d.C., sono stati accompagnati da gravi attentanti nei quartieri sciiti di Kabul. E ricordano come la persecuzione di questa minoranza non sia mai finita, insieme al nostro dovere di dare asilo a chi lo chiede.

È stata una lunga scia di sangue la celebrazione dell’Ashura per gli sciiti afgani, minoranza religiosa composta in prevalenza da quella etnica degli hazara, spesso riconoscibili da quegli occhi a mandorla di origine mongolica. I riti religiosi, conclusisi ieri anche in Iran e in Pakistan, in Afghanistan sono stati infatti accompagnati da una successione di attentati contro la comunità sciita, gli ultimi di una serie che continua a colpire gli Hazara anche dopo il ritorno dei talebani a Kabul. Talebani che pur avevano garantito di voler proteggere la loro sicurezza, dopo averli perseguitati sia ai tempi del loro primo governo, dal 1996 al 2001, sia con attacchi e violenze nel successivo ventennio repubblicano, nonostante la presenza degli Usa e dalle forze occidentali.

Oltre120 persone sarebbero state uccise o ferite negli ultimi giorni secondo le Nazioni Unite, la cui Missione di assistenza in Afghanistan (Unama) ha esortato il governo talebano de facto a fornire maggiore sicurezza alle minoranze nelle loro cerimonie religiose. Parole di esplicita condanna anche dall’ambasciata Usa a Kabul (con sede in realtà a Doha, dopo la fuga dei suoi diplomatici nell’imminenza del ritorno dei talebani in agosto), che ha condannato l’Isis-Khorasan per gli attentati nelle zone a maggioranza hazara e sciita della capitale. L’Isis ha rivendicato gli attacchi avvenuti venerdì e sabato in quartieri sciiti a Kabul, mentre domenica ve ne è stato un terzo.

Tutto questo mentre ci si avvicinava al culmine dei riti dell’Ashura, che per dieci giorni ricordano l’uccisione dell’Imam Hussein, nipote del profeta Muhammad, nella piana di Kerbala nel 680 d.C.: un atto fondante della frattura tra musulmani sunniti e sciiti, i quali rappresentano circa il 10% della comunità islamica nel mondo. Dopo il ritorno dell’Emirato talebano, gli sciiti hanno potuto continuare a celebrare i loro riti, ma l’Ashura non è più considerata una festa nazionale, come invece accadeva con il precedente governol. Il ripetersi degli attentati ha spinto gli apparati di sicurezza talebani a vietare ieri le celebrazioni pubbliche,  a chiudere al traffico le zone a rischio e a bloccare i segnali dei cellulari: misure che confermano ancora una volta  le loro difficoltà nel controllare il territorio e contrastare le attività terroristiche.

Del resto, secondo un rapporto della stessa Unama, nel periodo 15 agosto 2021-15 giugno 2022 vi sono state almeno 2.106 vittime (700 morti e 1406 feriti) di attentati prevalentemente attribuiti al ramo afgano del sedicente Stato islamico. Il quale, come in passato gli stessi talebani,  ha nel mirino proprio la minoranza hazara, che si stima rappresenti il 20% della popolazione. Il ventennio repubblicano è stato vissuto dagli hazara come una grande occasione per rafforzarsi e distinguersi in termini di crescita culturale e professionale, anche da parte delle donne, ma la minaccia nei loro confronti non è venuta meno. Le persecuzioni degli hazara in Afghanistan sono del resto di vecchia data,  tanto che il loro inizio è  storicamente associato alla nomina di Abdur Rahman Khan ad emiro da parte degli inglesi nel 1880, e alla prima pulizia etnica di quel gruppo. Un’altra grande tragedia fu quella del 1998 a Mazar-i Sharif, dove furono migliaia gli hazara uccisi dai talebani  e dove fu attaccato anche il consolato iraniano, con la morte di nove diplomatici e un giornalista.  Alle violenze si aggiungono anche espropri forzati e l’allontanamento degli hazara dalle loro case e terre, come accaduto nel settembre scorso ai danni di migliaia di sfollati interni, in particolare nelle regione centrale di Daikundi.

Secondo un comunicato della diaspora degli hazara in Italia – diffuso il giorno dopo la strage di studenti in una scuola maschile e in un centro educativo di Kabul il 19 aprile scorso -, negli ultimi cinque anni vi sono  stati almeno 35 attentati nei luoghi più frequentati dagli hazara, dagli ospedali ai matrimoni e alle moschee. Ed è sempre frequentato in rete l’hashtag #StopHazaraGenocide, che richiama anche l’aspettativa di un riconoscimento, davanti alla Corte penale internazionale, di quanto accaduto agli hazara come di un vero e proprio genocidio.

Prevedibilmente, gli hazara sono un gruppo molto numeroso fra i profughi afgani fuggiti in Occidente dopo il ritorno dell’Emirato Islamico del 15 agosto. E il loro bussare alla nostre porte – dall’Afghanistan o dai vicini Pakistan o Iran, dove molti hanno trovato precari rifugi da immigrati irregolari – chiama ancora una volta in causa non solo il nostro dovere a rispettarne il diritto all’asilo e alla protezione internazionale, ma anche le nostre responsabilità nell’ingloriosa fine di un ventennio di democrazia repubblicana.

Con l’accordo del 2020 con i talebani a Doha, gli Usa non hanno evidentemente ottenuto sufficienti garanzie né  sull’esclusione dal territorio afgano di gruppi terroristici come Al Qaeda e l’Isis, né sulla tutela e l’inclusione delle minoranze etniche e religiose. Ancora una volta, gli incerti destini afgani chiamano direttamente in causa tutti i Paesi occidentali che hanno giocato un ruolo prima nella nascita e poi nel tracollo di quella breve stagione democratica. Anche all’Italia, come a tutti i Paesi Ue, spetta dunque il compito di dare risposte adeguate.

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