Skip to main content

«I talebani non sono cambiati»

|

POLIZIA E DEMOCRAZIA • n. 215 • Maggio – Giugno 2022 – Gianni Verdoliva 18 agosto 2022

donneediritti

“Grazie, sono contenta di avere l’opportunità di raccontare la mia esperienza». Con un dolce sorriso che arriva in tutta la sua autenticità Sahar comincia l’intervista per Polizia e Democrazia. Collegata via Skype da una città del centro Italia, in cui studia, Sahar alterna l’italiano (che pure parla e comprende bene) con un impeccabile inglese. Digita il nome al pc quando le chiedo il significato in italiano. Alba è la traduzione. Almeno, vista la situazione, un nome di buon auspicio. Ovviamente non può fornire, per ragioni di sicurezza per la famiglia che è rimasta in Afghanistan, le sue vere generalità.

«Sono arrivata in Italia nel marzo del 2021 per un Master. Sarei dovuta rientrare nell’autunno dello stesso anno, esattamente quando la situazione nel mio Paese è precipitata. E ho deciso di restare in Italia. Sinceramente non mi aspettavo che i talebani riprendessero il potere, almeno non così velocemente e non in maniera così totale. Ormai ho fatto domanda di asilo politico».

I contatti con la patria di origine Sahar li tiene, grazie alla tecnologia. “Sento tutti i giorni la mia famiglia e in  particolare mia mamma. Inoltre ho parlato con le mie colleghe a Kabul e mi raccontano che la situazione,già molto brutta e pericolosa, sta peggiorando. Lavoravo per una clinica dentistica e anche se le donne possono continuare a lavorare, sono  sottoposte a limitazioni e divieti di ogni tipo. Ad esempio devono essere vestite col velo secondo l’interpretazione dei talebani, non possono mangiare assieme ai colleghi uomini e devono entrare da ingressi separati. Comunque malgrado i problemi di connessione sento sempre  mia sorella e mia mamma».

donne copia

Quindi una situazione che non lascia sperare nulla di buono quella  riferita da Kabul da parte della famiglia e dalle colleghe di Sahar, A triste corollario delle immagini, riportate dai media di tutto il mondo   delle studentesse afghane che rientravano a casa, in lacrime, dopo che i talebani avevano ordinato la chiusura per le scuole femminili di istruzione superiore. Quindi, ancora una volta le promesse dei talebani della seconda ondata che, almeno nelle dichiarazioni, si erano presentati “morbidi”, si sono rivelate senza fondamento.

«Ho 31 anni – prosegue Sahar – e ho solo memorie lontane dei talebani che avevano comandato il mio Paese fino all’arrivo delle truppe americane ed occidentali. Con la mia famiglia eravamo andati in Pakistan per poi rientrare a Kabul. Ho un ricordo vivido, di quando ero bambina. Ero in strada con mia nonna e un talebano ci ha fermate per dirci che c’era la preghiera islamica e dovevamo pregare e tornare a casa e mia nonna aveva risposto che io ero solo una bambina e lei una donna anziana ma lui non ha sentito ragioni e l’ha picchiata, di fronte a me, con una frusta. Quella volta mia nonna è tornata a casa camminando con difficoltà. Quella ferita ci ha messo tanto tempo a guarire e la cicatrice l’ha avuta fino alla sua morte».

Si commuove Sahar e le lascio il tempo di riprendersi. Dopo essersi asciugata le lacrime, riprende con determinazione: «Sono a posto, possiamo andare avanti». E allora le chiedo come vive la sua situazione  in Italia, come le pare la sua vita qui ora facendo il paragone di cosa accade in Afghanistan. «In Italia la vita è dura, certo, e ci sono problemi anche seri. Alcune persone hanno difficoltà ad arrivare a fine mese. Ma devo dire che la situazione è davvero imparagonabile. C’è la sicurezza, c’è l’istruzione, la libertà di fare una passeggiata e di sentire gli uccelli, l’aria, guardare gli alberi. Per le donne c’è la libertà, imperfetta ma libertà. Possono vivere da sole. Sposarsi chi vogliono, andare in moto, in macchina, in bicicletta, non sono controllate a vista. Nessuno qua muore di fame. Certo la classe politica sarà corrotta ma qualcosa fa per la sanità, le infrastrutture, il cibo…».

Forse come, paradossalmente, un tempo era in Afghanistan, le  chiedo? «Nella prima metà degli anni ’70 i sovietici hanno invaso l’Afghanistan. La libertà era relativa, ci sono state tante uccisioni di oppositori al nuovo regime, almeno 500 intellettuali uccisi secondo le stime ufficiali. In questo modo sono state eliminate le menti, chi poteva avere idee. Purtroppo gli americani hanno armato i talebani contro i russi».

Quindi le chiedo se gli interventi esterni, animati o meno da buone intenzioni non abbiano peggiorato la situazione. «Purtroppo si, è una lotta per il potere. La corruzione che si era generata con il precedente governo è stata una delle cause che hanno portato al ritorno dei talebani in modo così rapido. È anche vero che gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali hanno salvato parecchie persone ma in questo modo hanno contribuito a creare una fuga dei cervelli che va a discapito del nostro Paese. Se a questo aggiungiamo che ormai le donne, metà della popolazione, non possono nemmeno studiare, il futuro per noi è davvero triste».

protesta donne agosto 22

Quale potrebbe essere una possibile via d’uscita per un miglioramento per la condizione femminile  allora? «Ci vuole tanto coraggio e tanta determinazione. Rispetto alla situazione della prima ondata, ora molte donne non solo sono istruite ma hanno anche acquisito consapevolezza dei loro diritti. Ci sono state già diverse  manifestazioni femminili per le vie di Kabul e anche in altre città e i talebani, anche se assolutamente ostili, non sono stati, almeno non se filmati con i cellulari, estremi nella loro risposta. Un altro discorso è cosa accade quando i cellulari e le telecamere sono spente. I talebani uccidono senza rimorsi. Eppure   sono fiduciosa che un cambiamento arriverà. Non presto, però».

A questo punto mi interrogo  e domando anche a Sahar sul fatto che i talebani, pur nella loro ideologia misogina, hanno figlie, mogli, madri, sorelle. Sono, queste donne, legate a loro da vincoli di famiglia tutte concordi con le posizioni dei talebani? «Non è facile. C’è la povertà. Sicuramente ci sono delle donne che hanno legami famigliari con i talebani che concordano con le loro idee, molte altre comunque, anche se non condividono il loro modo di agire, non hanno la possibilità di esprimersi. Da questi uomini dipende completamente la loro vita e il loro sostentamento economico. Posso dire che le figlie dei capi dei talebani, di famiglie ricche, studiano in altri paesi arabi. In questo caso non vedono nulla di contraddittorio per i loro cosiddetti valori islamici».

Da poco, tra l’altro, era arrivata la notizia riportata da varie agenzie di stampa che i talebani avevano  ufficialmente imposto di nuovo l’uso del burqa per le donne, infrangendo di nuovo le promesse fatte alla comunità internazionale. «I talebani e gli altri gruppi fondamentalisti disumani del passato, non hanno mai avuto un piano valido per fare fronte ai disastri che hanno colpito la nostra Nazione come la povertà,  la carestia estrema e il terrorismo ma obbligano all’uso dell’odioso velo le donne e le ragazze con tutta la loro forza perché credono che questo sia l’unico modo per bloccare e spezzare la loro lotta per la giustizia, la pace, la libertà e la democrazia».

Le forze progressiste del mondo intero dovrebbero condannare con la massima fermezza questa regola odiosa e sapere che le donne non si arrenderanno e continueranno a lottare! Il valore di una donna non può essere ridotto a un pezzo di tessuto nero ma è caratterizzato dalle idee, dai valori e dalla lotta per la sopravvivenza. L’altra parte triste di questa notizia è che rivela la vera natura e la faccia dei talebani. Molti politici occidentali hanno cercato di presentarli sotto una luce positiva dicendo che erano “moderati”, o comunque “cambiati”, e hanno anche usato le loro tirapiedi femminili come Fauzia Koofi, Habiba Sorabi, Malalai Shinwari, per farci credere che i talebani sono “davvero cambiati”. Ma oggi abbiamo visto come la maschera demagogica è caduta e realizzato che le iene non possono diventare mansuete. Comunque, se i talebani continuano ad imporre le loro leggi barbare e medioevali, alla lunga questo contribuirà alla loro caduta.

Parola di un’afghana, esule, istruita e che non indossa il velo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *