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Afghanistan, sei mesi dopo: un’apocalisse oscurata

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Un sondaggio di Save the Children condotto ha rilevato che, dal crollo dell’ex governo l’82 per cento di esse ha perso il reddito e il 18 per cento ha dichiarato di non avere altra scelta che mandare i propri figli a lavorare.

Umberto De Giovannangeli – Globalist – 15 febbraio 2022

Afghanistan, sei mesi dopo. Storia di una tragedia immane. E colpevolmente dimenticata.

PRC 206876341Sei mesi dopo

Sono trascorsi sei mesi da quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan a due settimane dalla data prevista per il completamento del ritiro delle truppe Usa, dopo una guerra iniziata 20 anni fa all’indomani dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York.  Mentre i talebani entravano a Kabul, il presidente Ashraf Ghani lasciava il Paese dicendo che aveva scelto di andarsene per evitare ulteriori spargimenti di sangue e le forze di sicurezza addestrate ed equipaggiate da Stati Uniti e alleati si dissolvevano. Le immagini di migliaia di persone in fuga verso l’aeroporto della capitale, la folla che sulle piste prendeva d’assalto gli aerei in partenza hanno fatto il giro del mondo. E poi, il silenzio. 

La denuncia di Save the Children

Dopo anni di guerra, paura e sofferenza, dallo scorso agosto le condizioni dei bambini in Afghanistan sono ulteriormente peggiorate. Due milioni di minori già soffrivano di malnutrizione e nel giro di poche settimane centinaia di migliaia di loro sono stati costretti anche a fuggire dalle loro case.

Un sondaggio di Save the Children condotto su 1.400 famiglie in sette province dell’Afghanistan ha rilevato che, dal crollo dell’ex governo e dalla transizione del potere lo scorso agosto, l’82 per cento di esse ha perso il reddito e il 18 per cento ha dichiarato di non avere altra scelta che mandare i propri figli a lavorare.

Negli ultimi sei mesi, circa un quinto delle famiglie in Afghanistan è stato costretto a mandare i propri figli a lavorare e sono circa un milione i bambini ora coinvolti nel lavoro minorile.

Oggi la situazione è gravissima. 5 milioni di bambini sono sull’orlo della carestia e la grave crisi economica minaccia di lasciare più del 95 per cento della popolazione in condizioni di povertà e con un sistema sanitario al collasso.   

Le cliniche in tutto il Paese sono state costrette a chiudere poiché non c’è più denaro per pagare i salari degli operatori sanitari. Il crollo dei servizi sanitari è una delle conseguenze dirette del congelamento delle risorse globali e della sospensione degli aiuti allo sviluppo. Quando i bambini malati hanno bisogno di cure, trovano solo porte chiuse e farmacie vuote.   

Le famiglie che vivono nelle città sono state le più colpite, metà di quelle di Kabul ha affermato di aver perso l’intero reddito.

Mentre le famiglie sprofondano ulteriormente nel debito e nella povertà, un afghano su 13, circa il 7,5 per cento degli intervistati, ha affermato di chiedere già l’elemosina o di fare affidamento sulla carità per sfamare i propri cari.

La storia di Laila

Laila, 12 anni, vive con sua madre e quattro fratelli in un campo profughi nella provincia di Balk. Da quando suo padre è stato ucciso e prima che Save the Children l’aiutasse, Laila puliva le case per l’equivalente di circa 10 centesimi di dollaro al giorno. Sua sorella di 15 anni sta ancora andando a lavorare. ”Cosa posso provare quando un pezzo del mio cuore si spegne e lavora per gli altri? – ha raccontato la madre di Laila, Shugofa, 36 anni a Save the Children – Ma cosa potrei fare? Mi addolorava vedere mia figlia lavorare pulendo i rifiuti e lo sporco delle persone. Senza un capofamiglia e con cinque figli senza un padre, si può immaginare quanto sia difficile… A volte mangiamo solo una volta al giorno, e altre volte mangiamo il pane da solo, tre volte al giorno. Faccio mangiare meno i bambini o una volta al giorno in modo che il cibo duri un giorno in più. E cuciniamo quantità minori, per evitare di rimanere senza cibo per il giorno successivo. I miei figli sono deboli e magri”.    

Questo inverno 14 milioni di bambini affronteranno probabilmente livelli di fame potenzialmente pericolosi per la vita e i tassi di malnutrizione stanno aumentando vertiginosamente.

Il mese scorso Save the Children ha riferito che il numero di bambini pericolosamente malnutriti che visitano le sue cliniche è più che raddoppiato da agosto. “Non ho mai visto niente di simile alla situazione disperata che abbiamo qui in Afghanistan. – ha dichiarato il direttore di Save the Children in Afghanistan, Chris Nyamandi. – Trattiamo ogni giorno bambini spaventosamente malati che da mesi non mangiano altro che pane. I genitori devono prendere decisioni impossibili: a quale dei loro figli daranno da mangiare? Mandano i figli a lavorare o li lasciano morire di fame? Queste sono scelte strazianti che nessun genitore dovrebbe fare. Qui il cibo non manca, i mercati sono pieni, eppure i bambini muoiono di fame perché i loro genitori non possono permettersi di pagare il mangiare. Ciò avrebbe potuto, e dovuto, essere evitato. Ma non è troppo tardi per impedire ulteriori tragedie se agiamo ora. Stiamo facendo tutto il possibile per fornire alle famiglie l’aiuto di cui hanno bisogno. Ma la verità è che gli aiuti umanitari possono arrivare solo fino a un certo punto. Questa è una crisi economica e ha bisogno di una soluzione economica. I governi devono trovare un modo per sbloccare fondi vitali e le attività finanziarie per evitare che la crisi si sviluppi ulteriormente”.

Save the Children sta fornendo alle famiglie denaro e kit invernali con articoli essenziali per superare i rigori della stagione. Da settembre 2021 Save the Children ha raggiunto 763mila persone, inclusi 430.800 bambini, e ha fornito a più di 127mila persone trasferimenti di denaro per i loro bisogni e denaro contante per il cibo.  

Per far fronte a questa drammatica situazione, Save the Children lancia una petizione per chiedere al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale di sbloccare i finanziamenti vitali per il Paese. Perché un bambino non dovrebbe andare a lavorare invece che a scuola, così come un genitore non dovrebbe mai trovarsi di fronte alla decisione di rinunciare a un figlio perché non sa come sfamarlo o curarlo. Si può accedere e firmare la petizione per assicurare ai bambini afghani l’aiuto umanitario di cui hanno urgente bisogno alla pagina: savethechildren.it.

Un paese fallito

Oggi l’Afghanistan è un paese sull’orlo del fallimento in cui l’economia si è ridotta in sei mesi del 40 per cento. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha detto il mese scorso che l’Afghanistan è “appeso a un filo”: milioni di persone soffrono la fame, l’istruzione e i servizi sociali sono in condizioni disastrose, e la mancanza di liquidità, con le code davanti alle banche per ritirare contanti, limita anche la capacità delle Nazioni Unite e delle organizzazioni umanitarie di raggiungere le persone in difficoltà. In tutto questo sono ancora molti gli afghani che avevano collaborato con il precedente governo bloccati nel Paese e a rischio di ritorsione. Nonostante il tentativo dei talebani di rassicurare la comunità internazionale che l’esperienza del primo regime, rovesciato nel 2001 dall’intervento militare guidato dagli Usa, non verrà ripetuta, rimane intatta la preoccupazione per il mancato rispetto dei diritti umani e delle donne in particolare. Quello che segna maggiormente il Paese oggi è la povertà. Anche chi ha soldi fa fatica ad accedervi. Davanti alle banche, si formano lunghe code per poter ritirare al massimo 200 dollari alla settimana. Dal ritorno dei talebani i finanziamenti internazionali all’Afghanistan sono stati sospesi e miliardi di dollari che erano depositati all’estero, principalmente negli Stati Uniti, sono stati congelati. In particolare, nel sistema bancario statunitense sono stati congelati 7 miliardi di dollari di fondi afghani, soldi della Banca Centrale afghana depositati negli Stati Uniti dall’ex governo afghano.

Emergenza umanitaria

23 milioni di persone sono ridotte alla fame, quasi la metà della popolazione totale del Paese. È l’allarme di Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati,  che ha lanciato nei giorni scorsi una campagna di solidarietà per aiutare il popolo afghano, sottolineando che ai margini delle città, nei villaggi e negli alloggi di fortuna, milioni di persone sono esposte al rigido inverno. “Migliaia di famiglie rischiano di non sopravvivere senza aiuti immediati”, sottolinea l’agenzia Onu per i rifugiati. 

Profughi e rifugiati

“Nel 2021 quasi 700mila afghani sono fuggiti dalle loro case per via degli scontri armati. Ma la cifra complessiva delle persone che negli ultimi anni sono state costrette a spostarsi all’interno dei confini nazionali – dichiara Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per l’Italia, la Santa Sede e San Marino – è molto più alta essendo pari a circa 9 milioni. Sei milioni sono invece i rifugiati in Pakistan e in Iran, la maggioranza dei quali vive da anni in questi Paesi, e molti altri si trovano in Europa. Dallo scorso agosto in poi non si sono registrati nuovi flussi di portata paragonabile a quelli degli anni passati ma, se la crisi economica e sociale del Paese non sarà rapidamente affrontata e risolta – avverte Cardoletti – questi movimenti aumenteranno una volta finita la stagione invernale”.

Balzo indietro

Il 15 agosto 2021, sottolinea Amnesty International, l’Afghanistan è entrato in una nuova fase storica. I talebani hanno conquistato la sua capitale Kabul. Hanno rovesciato il governo civile. E hanno preso il controllo del paese. Venti anni dopo esser stati estromessi dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Al contrario delle loro affermazioni sul rispetto dei diritti umani i talebani si sono subito macchiati di un lungo elenco di violazioni e di crimini di diritto internazionale. Come l’uccisione di civili e di soldati già arresisi. E il blocco degli aiuti umanitari nella valle del Panshir. Inoltre hanno nuovamente imposto limitazioni nei confronti delle donne. Della società civile. E della libertà d’espressione. “I talebani hanno mostrato che non sono affidabili quando parlano di rispetto dei diritti umani – annota l’organizzazione non governativa internazionale-. Abbiamo verificato numerosissime violazioni. Dalle rappresaglie agli attacchi alle donne. Fino alla repressione delle proteste. E ai giri di vite contro i giornalisti e la società civile”. Le donne sono state escluse dai loro posti di lavoro. E le ragazze (al di sopra della sesta classe) non sono state autorizzate a tornare a scuola. I talebani hanno introdotto l’istruzione divisa per genere nelle università. Con l’imposizione di indossare un velo. Un obbligo che deve essere rispettato da studentesse, docenti e dipendenti degli atenei.

I finanziamenti internazionali all’Afghanistan sono stati sospesi e miliardi di dollari di beni del Paese che erano depositati all’estero, principalmente negli Stati Uniti, sono stati congelati. In particolare, nel sistema bancario statunitense sono stati congelati 7 miliardi di dollari di fondi afghani. Per essere chiari, soldi della Banca Centrale afghana depositati negli Stati Uniti dall’ex governo afghano.

L’ultimo schiaffo americano

Scrive Martina Stefanoni su Radiopoplare.it :“Ora il presidente Biden ha annunciato che di questi 7 miliardi, la metà – 3,5 miliardi – verranno ridistribuiti tra le famiglie – americane – delle vittime dell’11 settembre, per aiutarle nei procedimenti legali.

Questa decisione è l’ennesimo schiaffo che il popolo afghano riceve dagli Stati Uniti.
La questione è sempre la stessa: l’occidente, con il ritorno dei talebani, si è trovato scisso tra la necessità di aiutare il popolo afghano e il tentativo di evitare che i soldi finissero nelle mani dei talebani. Ma in questi sei mesi l’amministrazione USA ha fatto ben poco per colpire i talebani, mentre gli unici che continuano a subire le ripercussioni Usa sono gli Afghani. Quest’ultima azione ne è la prova emblematica.

Alcuni attivisti afghani hanno pubblicato una lettera aperta in cui chiedono a Joe Biden di non privarli della metà dei loro fondi: “Condividiamo il dolore lasciato dall’11 settembre e dalle vite perse, sia americane che afghane – si legge nella lettera – ma crediamo che la decisione presa dal Paese più potente al mondo sulle risorse del Paese più povero al mondo sia estremamente ingiusta”.

La lettera continua ricordando che durante i 20 anni di occupazione Usa, il popolo afghano ha lavorato spalla a spalla con gli americani lottando tanto quanto loro contro il terrorismo. “Quei fondi appartengono al popolo afghano – si legge – non siamo noi i responsabili degli atti terroristici di Al Qaeda o dei talebani”.
Questo è un punto fondamentale. Quanti afghani erano su quegli aerei che nel 2001 hanno colpito le torri gemelle? Zero. Eppure a pagare sono loro. Biden, in questo contesto, si comporta esattamente come un Robin Hood al contrario, un ricco che tiene per sè i soldi dei più poveri.

In aggiunta a tutto questo l’altra metà dei fondi, gli altri 3,5 miliardi che Biden ha promesso al popolo afghano, potranno fare ben poco se prima l’amministrazione Usa non abolirà le sanzioni che hanno paralizzato il sistema bancario afghano.

La situazione economica afghana è già tremendamente grave, e se gli Stati Uniti decidono di prendersi metà dei loro fondi, non può che peggiorare. Inoltre, come ha fatto notare John Sifton, direttore Asia di Human Rights Watch, “la decisione creerebbe un pericoloso precedente di l’accaparramento di ricchezze di un paese sovrano”.

La lettera degli attivisti afghani si conclude chiedendo a Biden di riconsiderare la sua decisione: “Appropriarsi dei soldi dal popolo afghano è la decisione più inappropriata che si possa prendere nei confronti di un paese che sta affrontando la peggiore crisi umanitaria nella sua storia. È la stretta di una mano ferita”.

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