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Afghanistan, Radwa e le altre perseguitate: “Noi bloccate da un cavillo e l’Italia ci ha dimenticato”

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L’Afghanistan ormai dimenticato ha lasciato ancora molte persone in un limbo e si chiede al nostro governo di adoperarsi perché almeno per queste donne ci sia una sollecita risposta.

La Repubblica, 16 maggio 2022, di Alessandra Ziniti

Afghanistan, Radwa e le altre perseguitate: "Noi bloccate da un cavillo e l'Italia ci ha dimenticato"

Centinaia di donne selezionate per i corridoi umanitarie sono sepolte vive in rifugi in Iran e Pakistan. Nelle nostre sedi diplomatiche mancano le macchinette per le impronte digitali. E così i voli che dovrebbero portare in Italia 1.200 persone a rischio di morte nel loro Paese non sono mai partiti. Ecco le loro testimonianze.

Roma – Il disperato grido di Radwa arriva dall’ultimo dei rifugi segreti che ha cambiato da quando è fuggita da Kabul con le sue due bambine. “Non ho casa nè sicurezza né soldi, le mie figlie si sono ammalate e non posso portarle dal medico. Abbiamo dormito per due settimane nei parchi, poi di casa in casa. La polizia iraniana cerca afghani con il visto scaduto per deportarli. Se mi prendono e mi rimandano in Afghanistan ci uccideranno. Il corridoio umanitario è la mia unica speranza, sono otto mesi che aspetto il volo. Chiedo al governo italiano di salvarci la vita”.

Radwa, attivista di un movimento femminile, Zawira, ragazza omosessuale, Ghaada, calciatrice, Faiza, magistrata, Safyha e Maha, giornaliste, sono alcune delle centinaia di donne i cui nomi sono da otto mesi sulla lista di persone in pericolo di vita da evacuare con il corridoio umanitario che dovrebbe portare in salvo in Italia 1.200 persone. Aspettano sepolte vive in alcune safe house tra Iran e Pakistan, con visti in scadenza o ormai scaduti, e temono di essere state dimenticate. Non sanno che la loro vita è appesa a un macchinetta, quella per il rilevamento delle impronte digitali, che non è disponibile nelle sedi diplomatiche italiane dei due Paesi e che la burocrazia italiana non riesce a far arrivare.

Riunite in una chat, lanciano attraverso Repubblica il loro appello. Zawira: “Sono una lesbica, ho tenuto nascosto questo segreto per anni perché avevo paura. Potrei anche essere lapidata se non sarò portata in salvo”. Ghaada, la calciatrice: “Il mio visto è scaduto, vivo in una casa di quattro mura senza tetto, i soldi stanno finendo. Sono rattristata che il mondo abbia dimenticato le donne dell’Afghanistan e pensi solo all’Ucraina”. Faiza, la magistrata: “Come pubblico ministero donna, ho processato centinaia di terroristi talebani e sono dovuta fuggire da Kabul. Spero che il governo italiano non ci lasci sole”. Safyha, la giornalista: “Il Pakistan per me è una stanza in cui vivo da nove mesi. Cosa sta bloccando i corridoi umanitari? Per qualsiasi dio, religione e principio in cui l’Italia crede, facciamo appello affinché salvino le nostre vite”.

A tenere il filo della comunicazione con queste donne disperate, gli operatori di Caritas, Arci, Sant’Egidio, Tavola Valdese che il 4 novembre, al Viminale, hanno firmato con la ministra Luciana Lamorgese il protocollo per il corridoio umanitario. “Sono passati sei mesi ed è rimasta un’intenzione. Per di più – dice Valentina Itri dell’Arci – 15 giorni fa ci hanno richiamato al Viminale per la firma di un addendum che prevede che anche i costi dei voli per queste 1.200 persone (che avrebbero dovuto essere a carico del governo) dovremo sostenerli noi perché, dicono, al momento non c’è disponibilità. E abbiamo detto sì, ma non basta: senza queste macchinette per le impronte digitali, le persone, che pure sono tutte selezionate e già portate via dall’Afghanistan, non possono partire”. Le macchinette-fantasma, ma non solo: “Le nostre rappresentanze diplomatiche in Iran e Pakistan e le autorità locali non erano neanche informate della firma del protocollo – denuncia Oliviero Forti di Caritas – Ci siamo persino offerti di comprare noi queste apparecchiature. Basterebbe far partire le persone in deroga e prendere loro le impronte all’arrivo”.

Dalla Farnesina, il funzionario addetto, Stefano Bianchi, conferma: “La deroga è stata consentita ad agosto in piena crisi, ora si devono seguire le procedure di sicurezza. Garantiamo lo sforzo delle nostre sedi e ci stiamo facendo parte attiva con il Viminale per le macchinette per le impronte”. Fonti di governo assicurano che le procedure sono partite. Radwa e le altre aspettano sepolte vive.

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