Afghanistan, la fine delle bambine: figlie cedute in cambio di cibo
Corriere.it/sette/esteri Marta Serafini 7 gennaio 2022
In un Paese dove la metà della popolazione è così povera da non avere i beni di prima necessità, le famiglie le vendono per matrimoni. In cambio di cibo. Storia di Benazir e delle sue sorelle, cedute per 2 mila dollari. Il prezzo medio per una sposa bambina.
30 novembre 2021, campo di Bagrami, vicino a Kabul. Fatima, 13 anni, si è sposata un mese e mezzo fa. Suo padre, Wali Khan, che ha 4 mogli e 15 figli, l’ha venduta per 400.000 afghani (foto di Véronique De Viguerie)
Schiva, con lunghe ciocche di capelli color ruggine tinti con l’henné, Benazir, accoccolata sul ciglio della strada, stringe nel palmo della mano una manciata di ghiaia. Quando le viene chiesto se sa di essere stata promessa in sposa, guarda a terra e affonda la testa tra le ginocchia. Nessuno ha spiegato a Benazir cosa le accadrà. «È troppo giovane per capire», spiega alla Nbc suo padre, venditore ambulante di Shaidai, un villaggio nel deserto, ai margini delle montagne di Herat, nell’Afghanistan occidentale. Benazir ha 8 anni. Ed è stata venduta per duemila dollari. Il prezzo medio per una sposa bambina in Afghanistan.
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ToggleUSCITO CON LA FAMIGLIA DA UN CAMPO SFOLLATI DI BADGHIS, ABDUL, PADRE DI PARWANA MALIK SI GIUSTIFICA: «SIAMO IN OTTO: VENDO LEI PER SALVARE GLI ALTRI»
Parwana Malik ha nove anni. L’uomo che l’ha comprata racconta alla Cnn di avere 55 anni, ma per Parwana è solo «un vecchio» che la picchierà e la costringerà a lavorare nella sua casa. I suoi genitori affermano di non avere avuto scelta: vivevano in un campo di sfollati nella provincia nordoccidentale di Badghis, sfamandosi solo grazie agli aiuti umanitari e a lavori umili con una paga da pochi dollari al giorno. «Siamo in otto. Devo vendere mia figlia per mantenere in vita gli altri membri della famiglia», racconta Abdul, padre della bambina. Parwana ha sperato fino all’ultimo di far cambiare idea ai suoi genitori: sognava di studiare per diventare insegnante. Poi il 24 ottobre, quel “vecchio”, di nome Qorban, è arrivato a casa sua e ha consegnato pecore, terra e contanti al padre di Parwana per un valore di 200 mila afghani, l’equivalente di 2.200 dollari. «Era a buon mercato e suo padre è molto povero e ha bisogno di soldi», ha dichiarato Qorban.
«NON SO CHE COSA FARE» DICE IBRAHIM «ANCHE SE NON GLI DO LE MIE FIGLIE, LE PRENDERÀ». «SE MI FANNO ANDARE, MI UCCIDO», SI DISPERA LA PICCOLA MAGUL
Magul, un’altra bambina di 10 anni della provincia di Ghor, piange ogni giorno al pensiero di essere venduta a un uomo di 70 anni. I suoi genitori hanno preso in prestito 200 mila afghani da un abitante del loro villaggio, ma senza un lavoro non possono saldare il debito. Il creditore ha trascinato il padre di Magul, Ibrahim, in una prigione talebana, minacciando di farlo incarcerare. «Non so cosa fare», si dispera Ibrahim. «Anche se non gli do le mie figlie, le prenderà». «Davvero non lo voglio. Se mi fanno andare, mi uccido», singhiozza Magul, seduta sul pavimento della sua casa. «Non voglio lasciare i miei genitori».
(Foto di Madina, 9 anni. Sua madre, vedova, l’ha venduta quando ne aveva 6. Da suo marito si rifiutava di mangiare. Così è stata restituita alla madre, che dovrà però rendere i soldi per poterla tenere)
Il commercio comincia quando sono ancora in fasce
«Abbiamo ricevuto rapporti credibili di famiglie che offrono figlie di appena 20 giorni per un futuro matrimonio in cambio di una dote». Le parole di Henrietta Fore, direttore generale dell’Unicef, pesano come pietre. Matrimoni infantili, matrimoni forzati e spose bambine. Il fenomeno non è certo nuovo in Afghanistan. «Anche prima della recente instabilità politica, i partner dell’Unicef avevano registrato 183 matrimoni di bambini e 10 casi di vendita di bambine nel corso del 2018 e del 2019 solo nelle province di Herat e Baghdis. Le bambine avevano un’età compresa tra i 6 mesi e i 17 anni», ha spiegato ancora Fore. Cifre dietro le quali si nasconde un fenomeno ben più esteso. Nonostante la legge afghana vieti di sposare minori sotto i 15 anni (ben al di sotto dello standard di 18 raccomandato a livello internazionale), il commercio è ampiamente praticato dalle famiglie. Unicef stima che il 28% delle donne afghane tra i 15 e i 49 anni si siano sposate prima dei 18 anni.
La ong e il «badalè», matrimonio basato sullo scambio
«Le nozze forzate in Afghanistan possono assumere forme diverse», spiega a 7 il program manager di Hawca, ong afghana che collabora con l’italiana Cospe, e che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza. «Nella cultura pashtun il badalè un matrimonio basato sullo scambio, in cui due famiglie si mettono d’accordo per dare in sposa una figlia a un uomo dell’altro gruppo, appianando così i costi della dote. Il baad è invece un matrimonio compensatorio, nel senso che una donna di una famiglia viene data all’altra per riparare un torto subìto da questa seconda famiglia. Il baad teoricamente è vietato dalla legge, ma non si ha notizia di persone denunciate o di processi istruiti per questa pratica. In una società fortemente dominata dagli uomini, una cosa sono le leggi scritte, un’altra le consuetudini che ostacolano l’applicazione della legge. E ora che i talebani sono tornati al potere, nessuno si azzarda a denunciare queste unioni». Agli inizi di dicembre, i talebani hanno emesso un “decreto speciale” col quale si vietano i matrimoni precoci e si afferma che «nessuno può costringere una donna a sposarsi con la coercizione o la pressione». Tuttavia sono in pochi a credere che le cose cambieranno.
(28 novembre 2021: Aklima, 15 anni, sposata a 10 e già madre di quattro figli, è così denutrita che le è impossibile allattare. Per pagare l’ospedale e le cure mediche suo marito ha promesso in sposa la figlia di 3 anni)
«I TALEBANI FINGONO DI ESSERE PIÙ LIBERALI E RISPETTOSI DEI DIRITTI DELLE DONNE PER AVERE IL RICONOSCIMENTO INTERNAZIONALE E OTTENERE COSÌ LO SBLOCCO DEI FONDI»
«I talebani stanno fingendo di essere più liberali e rispettosi dei diritti delle donne per avere il riconoscimento internazionale e ottenere così lo sblocco dei fondi», spiega il dottor Bahar Jalali, ex professore all’Università americana dell’Afghanistan. «Ma non sono sinceri. È solo uno stratagemma per cercare di apparire più moderati». A peggiorare la situazione, come avvertono anche le Nazioni Unite, è «il divieto alle donne di svolgere la maggior parte dei lavori retribuiti. Un provvedimento che ha colpito proprio le famiglie dove le donne erano le colonne portanti. Anche nei settori in cui le donne possono ancora lavorare, come l’istruzione e l’assistenza sanitaria, molte hanno deciso di lasciare per paura di rappresaglie». Ma non solo.
«LE RAGAZZE AFGHANE STANNO DI FATTO DIVENENDO IL PREZZO DA PAGARE PER IL CIBO. SENZA LA LORO VENDITA, LE FAMIGLIE MORIREBBERO DI FAME»
Il Covid-19, l’attuale crisi alimentare e l’inizio dell’inverno hanno ulteriormente acuito la situazione per le famiglie afghane. Già nel 2020, quasi la metà della popolazione era così povera da non avere beni di prima necessità come l’alimentazione di base o l’acqua pulita. Tutto ciò, affermano da Unicef, «sta spingendo sempre più famiglie nella povertà e le costringe a fare scelte disperate, come far lavorare i bambini e far sposare le ragazze in giovane età». Ora secondo i dati dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura, più di 18 milioni di afghani non sono in grado di nutrirsi ogni giorno. Questo numero è salito a quasi 23 milioni alla fine del 2021. E, a causa della fame, donne e bambini stanno diventando merce di scambio. Tra i casi peggiori restituiti dalle cronache locali c’è la vendita di una bambina di 6 anni e di un piccolo di 18 mesi, dati via rispettivamente per 3.350 dollari e 2.800 dollari. «Le ragazze afghane stanno di fatto diventando il prezzo da pagare per il cibo», spiega l’attivista per i diritti delle donne afghane Mahbouba Seraj. «Senza la loro vendita, le famiglie morirebbero di fame».
«Tutte le cose che finiscono con il dolore»
A portare all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dei matrimoni infantili in Afghanistan è stata nel 2016 Zahra Yaganh. Trentanove anni, divorziata, due figli, e oggi passata in Maryland grazie ad un ponte aereo, in quello che è diventato uno dei libri più venduti in Afghanistan Yaganah ha raccontato la sua vita. Una straziante oppressione di cui, secondo lei, soffrono quasi tutte le donne. In Light of Ashes , scrive: «Odiavo il matrimonio, la prima notte di nozze, il concetto di marito e moglie e tutte le cose che finivano con il dolore. L’odio era un vestito che si adattava perfettamente al mio corpo. Di notte, quando fummo in camera da letto, senza alcuno scambio di parole tra di noi, mi trovai Sultan al mio fianco. Subito dopo un forte dolore trafisse il mio corpo. Non riuscivo a ricordare nulla dopo. Quando ho aperto gli occhi, mi sono ritrovata in un letto d’ospedale».
Le questioni di salute gestite dalla suocera
Il matrimonio precoce ha conseguenze devastanti sulla salute di una ragazza per via degli abusi fisici e sessuali ed equivale a una forma di schiavitù moderna. Quelli combinati intrappolano le donne in un ciclo di povertà. Molte sono troppo giovani per essere in grado di acconsentire al sesso e affrontano complicazioni durante il parto a causa dei loro corpi non sviluppati. I tassi di mortalità legati alla gravidanza per le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni sono più del doppio del tasso per le donne di età compresa tra i 20 e i 24. «Per molte di loro il problema è anche la scarsa conoscenza del loro corpo. Le questioni di salute femminile vengono gestite all’interno delle famiglie dalla suocera», racconta Eleonora Selmi, ostetrica di Medici Senza Frontiere che ha lavorato in Afghanistan. Il risultato è che, senza accesso alla contraccezione o ai servizi di salute riproduttiva, quasi il 10 per cento delle ragazze afghane di età compresa tra 15 e 19 anni ha già avuto un figlio, secondo i dati delle Nazioni Unite.
SECONDO L’ONG ‘GIRLS NOT BRIDES’, LE GIOVANI SENZA ISTRUZIONE HANNO PROBABILITÀ TRE VOLTE MAGGIORI DI SPOSARSI ENTRO I 18 ANNI RISPETTO A QUELLE CON UN’ISTRUZIONE SECONDARIA
«Ed ecco perché è particolarmente importante che le giovani abbiano accesso a buone strutture sanitarie, dove possano essere seguite da un’ostetrica». A complicare il quadro, la credenza che la prima mestruazione renda una ragazzina pronta per avere rapporti sessuali o per essere madre. «In realtà, soprattutto dove l’età del primo ciclo è molto bassa, come in Afghanistan, questo non dovrebbe essere assolutamente un parametro ma purtroppo lo diventa», conclude Selmi. A favorire i matrimoni infantili, il sempre più difficile accesso delle giovani afghane all’istruzione. Secondo Girls not Brides, un’organizzazione focalizzata sulla fine dei matrimoni precoci, le ragazze senza istruzione hanno tre volte più probabilità di sposarsi entro i 18 anni rispetto a quelle con un’istruzione secondaria o superiore. E, non a caso, il 60 per cento delle donne afghane di età compresa tra 20 e 24 anni senza istruzione si è sposata prima dei 18 anni.
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