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Tre bellissimi fiori

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Il 9 gennaio è la ricorrenza dell’assassinio, a Parigi, da parte dei servizi segreti turchi, di Sakine Cansiz, Leyla Saylemez e Fidan Dogan, tre splendide compagne del movimento delle donne kurde. Il Cisda le vuole ricordare con questo articolo di Dilar Dirik, ripreso dal sito di ReteJin e pubblicato su “The Kurdistan Tribune” a pochi giorni dalla loro scomparsa.

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Dilar Dirik, Rete jin, 9 gennaio 2021

 

“Terroristə” in un sistema terroristico

Sakine Cansiz è storia. È l’incarnazione del volto femminista del movimento di liberazione curdo. È la donna che ha sputato in faccia al suo aguzzino, quando era in prigione. È la donna che non ha gridato quando le hanno tagliato il seno. “In quanto militante per una giusta causa, mi vergognavo di dire ‘ah’”, ha detto.

È la donna che non ha tradito lə suə compagnə, anche sotto le torture più severe. È la donna dai capelli rosso scarlatto. Era inondata di vita, una fontana d’amore. Si allenava ogni mattina, era una vegetariana etica. È la donna che, dopo tutto quello che ha passato, passerà alla storia come una convinta sostenitrice della giusta causa del movimento curdo, una persona che non ha mai rinunciato alla libertà.

È la donna la cui morte ha causato il dolore più profondo nella vita di mio padre. Non l’ho mai visto piangere così prima. Non è una terrorista. Lei è un’eroina. È la donna rispettata persino dai suoi nemici. I suoi occhi gentili e il suo bel sorriso, nonostante tutto l’orrore che ha attraversato, sono stati fonte di incoraggiamento e forza per un’intera nazione. La sua morte è una perdita per l’umanità. Com’è triste che il mondo l’abbia conosciuta solo nella morte. L’ultima volta che l’ho vista è stato come un addio. Sono orgogliosa di aver conosciuto un pezzo di storia e non dimenticherò mai le ultime parole che mi ha detto…

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Fidan Dogan

Non conoscevo Fidan Dogan, perché per me era Rojbin. L’ho incontrata per la prima volta quando ero alle elementari. Io e la mia famiglia ci siamo subito innamoratə di lei! Era così energica, sorrideva sempre. La sua voce è ancora nelle mie orecchie. L’abbiamo chiamata “heval troptisha“, perché ha insegnato a me e mia sorella una filastrocca francese chiamata “Trois petits chats“, tre piccoli gatti. Non sapevamo cosa significassero le parole, ma la gioia più grande era battere le mani e ridere istericamente al suono divertente della parola “somnambule“, ogni volta che giocava con noi. Il mio cuore perdeva un battito, ogni volta che la vedevo.

L’ultima volta che ci siamo incontrate è stato durante lo sciopero della fame a Strasburgo nell’aprile 2012. Era sempre così energica, incredibilmente intelligente e, naturalmente, il suo sorriso era contagioso. L’avrei abbracciata più forte, l’avrei baciata e le avrei detto che non dimenticherò mai il suo sorriso, se avessi saputo cosa le sarebbe successo in questa città che tanto amava.

È stata sepolta il giorno del suo compleanno. Ma questo significa solo che la sua morte ha dato alla luce migliaia di Rojbin che la ammireranno e la manterranno in vita. Non è una terrorista. Lei brilla. Lei è la nostra Rojbin…

 

 

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Mi dispiace di non aver mai avuto modo di incontrare Leyla, o Axin, come la chiamavano. Aveva solo pochi anni più di me e ogni singola persona che conosco che l’aveva incontrata parla assai bene di lei. Anche lei non è una terrorista. Lei è una di noi. Mi dispiace non aver potuto condividere alcun ricordo e mi dispiace tanto che sia morta così giovane…

La mattina dopo l’omicidio, mi sono svegliata con la terribile notizia che queste tre incredibili donne curde, attiviste per il nostro popolo, rivoluzionarie, erano state assassinate. Da un giorno all’altro siamo andatə a Parigi, dove centinaia, se non migliaia di persone piangevano insieme. I genitori di Sakine e Fidan erano arrivati ​​in aereo dalla Turchia. Non erano al centro di comunità quando sono arrivata, ma mia madre mi ha detto che la madre di Sakine piangeva: “Mia bellissima figlia, hai amato così tanto la tua gente – ecco perché sei morta…”

Sabato abbiamo camminato come curdə, turchə, armenə, tamil, baschə, palestinesə, tedeschə, francesə, socialistə, comunistə, democraticə, sindacalistə, femministə, umanistə, madri, padri, sorelle, fratelli e compagnə, come esseri umani, unitə come unə, per le strade di Parigi. Devi guadagnarti e meritarti una tale folla, e così hanno fatto, le nostre bellissime eroine! Per una volta abbiamo assediato la capitale di questo Paese che un tempo ci colonizzava. C’erano fiori, bandiere, quadri e candele in Rue Lafayette, un luogo che sarà dannato e infestato per sempre dalla promessa che abbiamo fatto alle nostre compagne. Ho avuto una crisi quando siamo andatə sul luogo del crimine. Mi ero ripromessa di restare forte, perché alle nostre compagne non sarebbe piaciuto vederci così, ma non ho potuto farci niente. Voglio ancora pensare che questo sia un incubo, voglio ancora credere che questa crudeltà non sia accaduta.

I volti malvagi dietro questo omicidio non ci hanno “semplicemente” portato via tre preziose attiviste della causa curda, l’uccisione di donne significa sempre qualcosa in più. In una guerra di genere come quella tra lo Stato turco e il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), l’assassinio pianificato di tre donne indipendenti e libere deve essere inteso in termini di violenza contro le donne. L’assassinio di donne come Sakine Cansiz, Rojbin e Leyla, che difendevano il loro popolo e le donne, non è solo una dichiarazione politica, è anche un omicidio patriarcale: femminicidio!

Di tutte le persone, loro, e in particolare Sakine Cansiz, meritavano di vedere la pace in Kurdistan. Ha dedicato la sua esistenza a una causa giusta che ha rappresentato nella sua bellezza. Ha sopportato anni di torture in prigione, ma non ha mai rinunciato alla pace e alla giustizia, e se non l’ha fatto lei, nessuno ha il diritto di arrendersi. Nessuno l’ha costretta, ha scelto liberamente di essere una combattente per la libertà. Avrebbe potuto condurre una vita normale, avrebbe potuto essere una codarda, se avesse voluto, ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto, perché è grandiosa. Mi rende molto orgogliosa di essere curda. Di solito non dico che sono una curda orgogliosa, ma lei mi ha fatto capire ancora una volta che causa, che dovere ho ereditato dai miei genitori e da tutte le persone che hanno sofferto e sono morte cosicché io potessi avere una vita autodeterminata, una vita libera. Sono orgogliosa di aver conosciuto due di queste donne immortali e straordinarie. E in ogni passo che faccio nella vita, le farò vivere per sempre…

Questo è il destino della nostra nazione. I nostri cuori si sono appena ripresi dal trauma del massacro di Roboski [dicembre 2011, ndr], quando Parigi ci ha inflitto una nuova ferita. E ogni volta, non importa quanto profondo sia il nostro dolore, noi siamo “terroristə”. Come osano chiamare terroristə queste personalità straordinarie e libere, ammirevoli sotto ogni aspetto?

Una volta, un giornale curdo in Germania è stato chiuso dalla polizia. Gli agenti di polizia hanno svuotato il locale, sequestrato persino fiori e piante. Mio padre con rabbia chiese a uno degli ufficiali: “Anche questo fiore è terrorista?!”

Viviamo in un sistema spaventoso, un sistema insanguinato e spietato che mette a morte lə nostrə compagnə più preziosə, lə nostrə combattenti più coraggiosə e, con loro, le nostre speranze. In questo sistema, giusto e sbagliato vengono costruiti artificialmente, mentre lodiamo i boia economici e le loro corrotte fortezze d’oro come modelli di comportamento e uccidiamo coloro che dedicano le loro vite alla giustizia, alla libertà e alla verità. Le personalità e le istituzioni responsabili delle più grandi guerre del mondo, sia per partecipazione attiva che per silenzio, ricevono premi per la pace. Questo mondo si congratula con gli assassini borghesi per il loro ultimo spargimento di sangue, mentre salgono sul podio che consiste nelle spalle dei poveri, mentre spaventano lə dissidenti con la prigione, la tortura e la morte. Quando nove proiettili sono volati a Parigi, culla della rivoluzione, è stato lanciato l’ultimo attacco alla nostra causa, ma il nostro dolore rafforzerà la nostra lotta. L’abbiamo promesso.

La gente vede l’ordine del Medio Oriente in pericolo e il popolo curdo, massimo perdente della struttura artificiale e inorganica del Medio Oriente, ora emerge come vincitore. Naturalmente coloro che beneficiano dello status quo si sentono minacciati. Per riassumere, la Turchia è costretta a negoziare con i curdə, i curdə sirianə sono in aumento, il Governo regionale del Kurdistan in Iraq (KRG) è di gran lunga più prospero e democratico di qualsiasi altra parte dell’Iraq, e persino i partiti curdi iraniani iniziano a unirsi. Ma le stesse forze coloniali del secolo scorso vogliono ripetere la storia. Mentre scrivo questo testo, la città di Kirkuk è sotto attacco da parte dell’esercito iracheno. Il Kurdistan occidentale è invaso dall’esercito turco. Attivistə curdə in Iran vengono giustiziatə regolarmente. L’Occidente è il miglior amico della Turchia e fornisce loro le armi e non sente alcun disagio nel guardare dall’altra parte, mentre la Turchia è la campionessa del mondo quando si tratta di giornalistə in carcere, di bambinə curdə che ricevono l’ergastolo per aver lanciato pietre, di droni americani usati per uccidere 34 innocenti abitanti dei villaggi curdi, e così via. Ci siamo già abituatə.

Viviamo in un sistema spaventoso. Alla gente piace pensare idealmente all’America e all’Europa e alle loro graziose istituzioni, ma distoglie lo sguardo quando si tratta di scambiare armi con uno degli Stati più pericolosi al mondo. Come i curdə vengono uccisə, torturatə e imprigionatə in Turchia, vengono criminalizzatə in Europa, dove gli Stati vendono armi alla Turchia e coprono le spalle dei loro compari. La polizia di diversi Paesi europei recluta spie tra i curdi. Cosa significano le patetiche Nazioni Unite, se lo stesso modello di oppressione viene ripetuto più e più volte? Mascherato in modo diverso, modernizzato e venduto con un nuovo nome? Non è romanticismo marxista, e non è una coincidenza, quando tutti i conflitti avvantaggiano sempre gli stessi poteri e opprimono le stesse persone. Sospiriamo cinicamente, quando la Francia promette di trovare gli assassini di Parigi. In un’era securitaria, queste donne erano costantemente sorvegliate dalla polizia, eppure sono state giustiziate professionalmente. Non abbiamo patetiche fantasie di cospirazione. Abbiamo smesso di credere nel sistema molto tempo fa.

Non vogliamo vendetta, vogliamo i nostri diritti umani, vogliamo che la pace arrivi. I curdə non sono malvagə “terroristə” come il mondo vuole che siano. La nostra causa è legittima, la nostra causa è giusta. Negli ultimi anni, sono stati rivelati i veri volti dietro i casuali attacchi contro civilə in Turchia, imputati al PKK, e si è scoperto che lo “Stato profondo” della Turchia era responsabile di questi incitamenti ad aumentare le tensioni tra turchə e curdə. Mio padre è stato torturato in prigione, i suoi compagni sono stati rapiti e uccisi sotto tortura. Non vede il suo villaggio da oltre 18 anni. Non ha mai tenuto una pistola tra le mani, ma lo chiamano “terrorista”. Queste non sono storie di Hollywood, queste sono vere tragedie che ogni curdə in ogni parte del Kurdistan conosce, storie individuali e uniche. Siamo la nazione che canta slogan ai nostri funerali. Siamo la nazione i cui membri, maschi, femmine, giovanə, anzianə, possono darvi un’accurata definizione della parola “fascismo”, basata sull’esperienza personale. Siamo la nazione che ha finalmente messo d’accordo diversi Stati su qualcosa: vale a dire che, qualunque cosa accada, i curdə devono perdere. Siamo Seyh Said. Halabja. Sivas. Maras. Zilan, Dersim. Roboski. Siamo innumerevoli mortə.

Sono contro la guerra, ma il PKK è l’autodifesa del popolo curdo, è una risposta naturale, il risultato di tutto il dolore che hanno sofferto. È il risultato di politiche internazionali che criminalizzano ogni passo compiuto dai curdə. È una risposta di solidarietà ai genocidi culturali e fisici, grandi menti nelle celle di tortura, parlamentari incarceratə, madri picchiate durante le proteste di pace, autori assassinatə, impavidə scioperanti della fame. La nostra esistenza è stata negata dalle forze imperialiste, che hanno versato il sangue del nostro popolo con i loro carri armati, bombe e menti torturatrici, ma che si lamentano, quando i curdə decidono che sia giusto formare un esercito di guerriglierə con cui difendersi da ulteriore trauma nazionale.

La parola “terrore” ha molto a che fare con chi è al potere e chi si oppone allo status quo che avvantaggia sempre gli stessi poteri. Il monopolio del termine “terrorismo” è una nozione inadeguata e vuota, soprattutto quando i più grandi agenti antiterrorismo hanno le mani più sporche. Con quanta rapidità le persone dimenticano le spettacolari alleanze tra gli Stati Uniti e dittatori di prim’ordine, quando fa loro comodo. Quanto velocemente le persone dimenticano tutte le persone rapite che sono morte misteriosamente, perché sono state uccise dallo Stato turco. Quanto velocemente le persone in Europa dimenticano che il motivo per cui i loro Paesi ospitano così tantə curdə richiedenti asilo è che i loro governi vendono armi alla Turchia, mentre i loro politici criticano superficialmente questo alleato che hanno tanto a cuore. Quanto è fragile la memoria della storia.

Le organizzazioni che sono viste come terroriste possono essere cancellate dalla lista del terrore con una sola firma, quando conviene alla nuova situazione politica dei grandi attori. Se sei un curdə, un crimine di pensiero ti rende terrorista in Turchia. Un ragazzə delle elementari che lancia sassi è un terrorista. Ugur Kaymaz, un ragazzo di dodici anni che è andato a fare shopping con suo padre ed è stato assassinato a sangue, era un terrorista. Terrore. Tanto terrore. Deve essere un gene curdo! Guarda queste donne terroriste a Parigi, come erano libere, sicure di sé, intellettuali, di mentalità aperta e simpatiche – così amate dalla loro gente, dovevano essere dei mostri terribili!

Se quei burattini dei media che chiamano terroriste Sakine, Rojbin e Leyla avessero incontrato queste donne meravigliose, avrebbero dubitato di come persone così forti, indipendenti e umane nonostante tutte le torture che hanno sopportato, ancora positive, ancora in lotta per la pace, potessero essere terroriste, sì, terroriste, allo stesso modo in cui viene definita “Al-Qaeda”. Così patetico. In effetti, questi bigotti si sarebbero sentiti male per la loro stessa pietosa esistenza, mentre queste donne davano davvero un significato alle loro vite e cercavano giustizia. Si sarebbero davvero sentiti male per la propria abitudine di lamentarsi delle piccole cose nelle proprie vite lussuose, mentre heval Sakine è diventata ancora più forte dopo aver affrontato cose inimmaginabilmente terribili e tuttavia credendo in una soluzione pacifica, invece di sopportare l’odio. Ma credo fermamente che un giorno queste donne riceveranno il giusto rispetto che meritano nel mondo. La nostra nazione, e le persone meravigliose e competenti che sono solidali con noi in questi tempi bui, conoscono molto bene la grandezza della nostra più recente perdita.

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Sakine Cansiz

Sakine Cansiz è stata torturata, imprigionata, ha combattuto sulle montagne per una vita autodeterminata, per il mio diritto alla libertà. È incredibile che un proiettile a Parigi le abbia tolto la vita. Non è la morte che una personalità così grande merita. Nessuno merita una morte simile, ma lei avrebbe dovuto veder arrivare la pace, dopo tutti i suoi sacrifici. Ha così ottimisticamente affrontato il futuro…

Non è il momento di aver paura. I tempi dei timidə curdə sono finiti. Le persone che fino ad ora sono state sedute comodamente e codardamente a casa devono occupare le strade. Ricordo come tuttə questə turchə in Germania ammisero improvvisamente di essere curdə. Ora è il momento per tuttə di portare avanti questa identità spaventata e di rivendicare la lotta curda come la giusta causa che è. Come restare fermi di fronte a un massacro contro la nostra identità? I proiettili su Sakine, Rojbin e Leyla ci hanno colpitə tuttə! Le bombe di Roboski sono piovute su tuttə noi. Non possiamo più tollerare un’altra perdita. La nostra rabbia e il nostro dolore devono essere incanalati nell’attivismo. È il momento di rendersi conto che la lotta deve continuare, rivendichiamo la morte di queste donne come nostra responsabilità per continuare la nostra lotta, perché non sono morte invano. Sakine. Rojbin. Leyla. Vivranno per sempre. Hanno dedicato le loro vite alla nostra libertà e alla pace in Kurdistan.

Abbiamo speranza, nonostante tutto. Dopo la cerimonia d’addio di martedì a Parigi, in cui noi, come donne, abbiamo condotto l’iniziativa per rendere il nostro rispetto e chiedere giustizia per questa grande perdita della nostra nazione e della nostra umanità, cantando “Jin, Jîyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà), sapevamo tuttə che erano nate migliaia di Sakine, Rojbin, Leyla. Mentre i loro genitori uscivano dalla sala delle cerimonie, il padre di Sakine ha detto: “Non dimenticherete mia figlia!” Una cara amica mia e delle donne cadute, chiamiamola Zelal, mi ha abbracciata fermamente dopo aver salutato i nostri tre bellissimi fiori a Parigi. Anche lei è un’eroina. Mi ha abbracciata, si è asciugata le lacrime e ha detto: “La nostra lotta deve continuare”.

Sehid namirin (lə martiri non muoiono)…

 

 

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