STUDIAMO PER ESSERE LIBERE
Settimanale “Grazia” Eri Garuti (foto di Isabella Balena) 25 maggio 2021
Con l’attentato a una scuola i fondamentalisti afgani hanno voluto colpire le ragazze che rifiutano di crescere sottomesse. A Grazia le allieve di un orfanotrofio di Kabul dicono che non lasceranno le aule: perché l’istruzione darà un futuro migliore a loro e al Paese
«Quando vado a scuola ho paura. Temo gli attentati, i rapimenti per la strada. Ce ne sono spesso», spie- ga Mina, 18 anni, che sta terminando le superiori e prepara il test di ingresso all’università di Kabul. «Per una ragazza la vita è difficile». Mina (nome che tutela la sua identità) ha una famiglia, una madre, in un’altra regione dell’Afghanistan, ma da due anni vive in un orfanotrofio gestito a Kabul da Afceco, l’Organizzazione per l’Educazione e la cura dei Bambini afgani. Ci è arrivata per continuare a studiare e per sfuggire alla prospettiva di un matrimonio forzato che alcuni parenti tentavano di imporle. «Mi impegno totalmente nello studio, anche per non pensare a tutto il resto, a tutti i rischi checi sono fuori di qui».
La notizia delle esplosioni che l’8 maggio hanno colpito una scuola alla periferia della capitale, provocando la morte di deci- ne di ragazze tra gli 11 e i 16 anni, ha sconvolto tutti nell’orfano- trofio. Stavolta l’attacco è stato attribuito al ramo afgano dell’Isis, lo Stato Islamico. Ma anche i Talebani, mentre partecipano al processo di pace con il governo imponendo le loro condizioni oscurantiste, continuano a compiere attacchi armati.
«È molto doloroso per noi sopportare l’idea di tutte queste ucci- sioni. Ogni giorno siamo testimoni di episodi di violenza», dice Pashtana Rasoul, la ventiseienne direttrice di Afceco, che da piccola fu accolta nell’orfanotrofio, dopo aver mendicato per strada insieme con dieci fratelli e sorelle. Ora è laureata. La sua storia è un esempio di come l’istruzione e la consapevolezza siano determinanti per cambiare il proprio destino. «Per questo, ai nostri bambini insegniamo la tolleranza, i diritti umani, i diritti delle donne», spiega Rasoul. «Vengono da province ed etnie diverse e qui vivono in armonia come sorelle e fratelli. Frequentano le scuole statali, dove imparano le materie umanistiche e scientifiche. Da noi possono seguire corsi di musica e di pittura». Da qui è partito il percorso di Zohra, orchestra tutta al femminile nata in collaborazione con l’Istituto nazionale di Musica dell’Afghanistan, che qualche anno fa si è esibita al Forum Economico Mondiale di Davos, in Svizzera, e altrove in Europa. A dirigere Zohra c’è la giovanissima violista Marzia Anwari, non ancora diciottenne, che da piccola fu affidata all’orfanotrofio dal padre, incapace di gestire 12 figli e interessato a far studiare solo i maschi. Grazie ad Afceco, Marzia ha proseguito gli studi al Conservatorio, nonostante le pressioni dei parenti perché smettesse di suonare e le minacce dei Talebani, che considerano ammissibile solo la musica religiosa. «Noi andiamo avanti», assicura Marzia. «Nessuno deve toglierci il diritto di fare musica, anche se la situazione sta peggiorando e ci sono sempre più attentati». In marzo, una valanga di tweet con l’hashtag #IAm- MySong, “io sono la mia canzone”, ha costretto il ministro afgano dell’Istruzione a ritirare il provvedimento con cui, due giorni prima, aveva vietato alle donne dai 12 anni in su di cantare in pubblico. Ma il rischio che i diritti delle afgane arretrino rimane forte. Il divieto era probabilmente una delle concessioni del governo ai Talebani, nel quadro delle trattative per una condivisione del potere politico in cambio della fine degli attentati. I Talebani controllano già ampie aree del Paese e guadagnano terreno mentre l’esercito statunitense, presente da anni in Afghanistan, si ritira, in seguito a un accordo siglato l’anno scorso. Afceco gestisce due strutture a Kabul. Una ospita circa 80 bambine e ragazze, l’altra 40 maschi. È la legge a imporre la separazione tra i sessi e l’associazione si adegua, pur non credendo negli steccati.
Queste due strutture sono una sorta di rifugio anche per chi ci lavora: la cuoca è sfuggita a violenze domestiche e non avrebbe avuto la possibilità di mantenersi se non fosse stata accolta e assunta qui. Si definiscono orfanotrofi, ma sono frequentati anche da bambini che hanno almeno un genitore e che vivono qui come in un collegio durante l’anno scolastico, per poi rientrare in famiglia nelle vacanze. «A volte qualche ragazza non torna da noi», ammettono le responsabili di Afceco. «La famiglia decide che deve sposarsi e la obbliga a rinunciare agli studi. Ma nella maggior parte dei casi riusciamo a far capire quanto sia importante essere indipendenti e istruite. Ci riempie di orgoglio, per esempio, vedere che Zeinab, formata da noi con corsi di leadership, è attesa con ansia dalle donne del suo villaggio ogni volta che va da loro per trasferire nozioni e consapevolezza». «Afceco ha cambiato la mia vita», sottolinea la direttrice. «E oggi sono fiera di poter restituire qualcosa, contribuendo alla formazione delle nuove generazioni. Abbiamo amici in Italia che sostengono a distanza alcuni dei nostri studenti, anche tramite l’associazione Cisda, ma abbiamo sempre bisogno di sostegno per accogliere bambini e bambine che aspettano il nostro aiuto. Vogliamo che possano esprimersi, sviuppare i propri talenti, essere se stessi. Sogno che crescano liberi».
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