“Sono le donne a fare opposizione in Turchia, non ci fermeremo”
Huffpost – 27 marzo 2021- Giulia Belardelli
In questa intervista l’avvocata turca Nesibe Kırış dà una panoramica degli ultimi avvenimenti che stanno portando la Turchia verso una deriva autocratica, iniziata nel 2011, ma dopo le proteste di Gezi Park nel 2013 la politica si è basata su un rilancio dell’identità nazionale avviando in modo massiccio il processo di soluzione contro i curdi e si è arrivati oggi al ritiro dalla convenzione di Istanbul
Intervista a Nesibe Kırış, avvocata e attivista per i diritti umani in prima linea nelle proteste contro la deriva autocratica Turca
La Turchia sta scivolando rapidamente verso un sistema che assomiglia sempre più a un regime autocratico. Negli ultimi dieci giorni si sono verificati eventi molto gravi, tra cui il ritiro dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la confisca di Gezi Park dalla municipalità metropolitana di Istanbul. Ne abbiamo parlato con Nesibe Kırış, 25 anni, avvocata, attivista per i diritti umani ed esponente del movimento delle donne in Turchia.
La sua voce è quella di tante giovani di donne che da giorni protestano contro la deriva reazionaria dell’alleanza al governo, rappresentata dal partito conservatore del presidente Recep Tayyip Erdoğan (AKP) e dal Partito del Movimento Nazionalista (MHP).
Nesibe, cosa sta succedendo nel tuo Paese?
“La Turchia non è mai stata una democrazia perfetta, ma nelle ultime settimane il suo stato di salute è vistosamente peggiorato. Diverse lacune democratiche sono riemerse alla vigilia del Congresso del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) per ottenere più consensi tra il suo elettorato conservatore e nazionalista.
Per quanto le ultime settimane siano state frenetiche, non possiamo giudicare cosa sta succedendo nel Paese solo con questi ultimi sviluppi. Credo sia necessario tracciare una linea di demarcazione tra ciò che ho visto nella società e ciò che hanno dimostrato i politici, perché la Turchia sta vivendo una tempesta sociale sulla questione dei diritti umani”.
Aiutaci a comprendere il panorama politico della Turchia.
“Dal 2011 in poi, soprattutto dopo le proteste di Gezi Park nel 2013, la politica orientata all’identità è diventata molto popolare in Turchia: ciò favorisce un rilancio della politica basata sull’identità a favore dei segmenti fondamentalisti e nazionalisti”
Il pugno di ferro contro i curdi è uno dei volti dell’involuzione della democrazia in Turchia. Perché questo passo indietro?
“Nel 2013, quando il governo ha gettato i semi del processo di soluzione con i curdi avviando i negoziati, l′84% ha sostenuto questa mossa. Poi, però, nelle elezioni parlamentari tenutesi nel giugno 2015, l’HDP ha ottenuto sorprendentemente il 13% dei voti: è stato un aumento enorme per la politica curda. Lo status quo si è sentito minacciato, da qui la politica orientata all’identità ha iniziato a influenzare in modo severo la direzione della democrazia.
Nel 2016, dopo il fallito tentativo di colpo di stato, Erdoğan ha rafforzato il suo sostegno e la sua legittimità politica, cogliendo l’occasione per stabilire un sistema presidenziale al posto della democrazia parlamentare. A quel punto, l’unica necessità era raccogliere un numero adeguato di deputati per arrivare al referendum. Così è emersa l’Alleanza del Popolo, Devlet Bahçeli (leader dell’MHP) ha mostrato il suo sostegno e nel 2017 il sistema presidenziale è passato con il 51% dei voti.
Oggi, di fronte a un calo dei consensi probabilmente dovuto a problemi economici e sociali, AKP e MHP sono spinti a cercare di soddisfare le richieste della base elettorale più intransigente. In breve, l’alleanza cerca di preservare valori e punti comuni del concetto di identità su cui si basa l’alleanza”.
Uno dei bersagli di questa escalation è stato Ömer Faruk Gergerlioğlu, uno dei più prestigiosi attivisti per i diritti umani del Paese. Cosa indica il suo allontanamento dal Parlamento?
“Gergerlioğlu ha un background simile all’ideologia e alla rete dell’AKP: è religioso e ha credenziali conservatrici. Questa somiglianza gli consente di sottrarre voti alla base elettorale della People’s Alliance. Il fatto di essere un difensore dei diritti umani lo ha reso ancora più sgradito ai partiti al potere. Quanto ai politici filo-curdi dell’HDP messi fuorilegge, il ragionamento è simile. Oggi il Parlamento non può essere considerato un organo rappresentativo, è un colosseo per giochi di potere. I gruppi nazionalisti non tollerano che l’HDP sia rappresentato in Parlamento”.
Il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne fa parte di questa deriva reazionaria per recuperare consensi?
“Sì, anche il ritiro dalla Convenzione fa parte di queste politiche identitarie, conservatrici e laico-religiose. Le proteste delle donne sono iniziate già dallo scorso anno, quando si è cominciato a parlare dell’eventualità di un ritiro. Il movimento delle donne ha immediatamente sfidato l’alleanza al potere e i gruppi religiosi fondamentalisti associati. Anche i media stranieri hanno considerato il movimento delle donne come il principale gruppo di opposizione in Turchia. Questa risonanza ha incoraggiato il partito al governo ad agire contro queste identità percepite come ‘opposte’ e schierarsi con i gruppi fondamentalisti per difendere le loro cause”.
La Turchia ha aderito alla Convenzione contro la violenza sulle donne 10 anni fa. Cosa rappresenta per voi questo passo indietro? E come giudichi la demonizzazione della comunità LGBT+?
“La Turchia era orgogliosa di essere la prima nazione a firmare la Convenzione di Istanbul che porta il nome della sua metropoli. Recentemente pero, i gruppi fondamentalisti hanno esercitato pressioni sul governo turco affinché uscisse dalla Convenzione, sostenendo che promuove l’omosessualità e mina il tipo di famiglia tradizionale incoraggiando il divorzio e rafforzando lo status delle donne.
Per noi è tutto molto chiaro. I diritti delle donne sono diritti umani. Continueremo a lottare per i nostri diritti e contrastare la piaga dei femminicidi, così drammatica in questo Paese. Abbandonare il trattato significa “mantenere le donne cittadine di serie B e lasciarle uccidere”; noi non lo accettiamo. Questa Convenzione è ancora valida ai nostri occhi e faremo del nostro meglio per attuarla nel modo più efficiente.
Allo stesso tempo, non possiamo considerare questo problema solo dal punto di vista della rappresentanza femminile. È necessario difendere i diritti delle persone LGBT+, che oggi vengono criminalizzate e trasformate in capri espiatori”
Qual è la condizione delle donne oggi in Turchia? Quali battute d’arresto rischiano le donne turche se questa deriva oscurantista non viene fermata?
“La Turchia sta affrontando il femminicidio da molto tempo. L’anno scorso 409 donne sono state uccise nel Paese, toccando un nuovo record, mentre quest’anno, finora, 80 donne sono state uccise, di cui 6 nelle ultime ore. La violenza domestica e il femminicidio rimangono un grave problema. Il ritiro dalla Convenzione con un decreto immediato è un massacro della legge politicamente motivato in Turchia, dove le donne vengono assassinate ogni giorno e affrontano un crescente tasso di violenza e abusi”.
Raccontaci com’è e come sarà la piazza delle donne turche.
“Lo scorso fine settimana migliaia di donne, uomini e persone LGBT+ sono accorsi in piazza per protestare contro l’ultimo decreto presidenziale per il ritiro dalla Convenzione di Istanbul. Chiedevamo tutti la stessa cosa: “preservare i nostri diritti” e “mantenere la democrazia”. La legalità del decreto presidenziale è stata ampiamente criticata da esperti legali e attivisti. Riteniamo che l’autorità di ratificare o ritirarsi da una convenzione internazionale sia possibile solo attraverso il Parlamento. Diversi avvocati e attivisti per i diritti umani hanno fatto appello al Consiglio di Stato turco per presentare una causa di annullamento contro il decreto presidenziale. Se il Consiglio di Stato concorda sul fatto che il decreto è nullo, la Corte costituzionale dovrà rivedere la sua decisione. Considerando la dipendenza giudiziaria in Turchia, non c’è molto spazio per l’ottimismo; tuttavia, continuiamo a sperare e lottare per i nostri diritti. Le proteste andranno avanti, sia per le strade sia sui social network”.
Un altro grande nemico del governo è il movimento ambientalista. Perché?
“Mentre la crisi economica si aggrava e la politica diventa sempre più identitaria, i problemi ambientali aumentano sullo sfondo. L’occupazione di Gezi Park nel 2013 è iniziata come una protesta di base contro la riqualificazione di uno dei rari spazi verdi di Istanbul ed è diventata la più potente opposizione degli ultimi 20 anni. Gezi è la speranza di questa terra per l’uguaglianza, la libertà, la giustizia. L’occupazione porta in sé l’inizio di alcuni cambiamenti all’interno della società. Il movimento ambientalista fa parte degli “altri” con cui l’alleanza al potere sente di dover combattere”.
Sei avvocata, consulente politico-legale, autrice e attivista per i diritti umani. Raccontaci il tuo percorso professionale.
“L’attivismo per i diritti umani non è una professione, è uno stile di vita per me. Ogni giorno mi occupo di violazioni dei diritti, scrivo e commento con la mia competenza legale. Attualmente sto facendo domanda per alcuni programmi accademici post-laurea. I diritti, l’etica e la teoria della democrazia sono i miei interessi accademici che cerco di unire alla tecnologia AI, l’orizzonte verso cui è orientata la politica della nuova generazione”.
Sei giovane, brillante, molto bella. Come sono viste queste caratteristiche dalla classe politica che governa il tuo Paese?
“Intanto grazie per i complimenti. Penso che essere giovane e donna sia una questione cruciale qui. Nelle società tradizionali, essere vecchi significa avere l’esperienza e il diritto di parlare ovunque, mentre ai giovani non viene riconosciuto il diritto di occuparsi della politica. Quando mi esprimo da giovane donna e avvocato, in un certo senso rompo questi confini. Mi sono laureata in una delle migliori facoltà di Giurisprudenza della Turchia e ho dedicato sette anni interi al movimento per i diritti delle donne. Faccio del mio meglio per contribuire a questo movimento con tutte le mie capacità e forze”.
Quale futuro immagini per la Turchia? E cosa vorresti dalla comunità internazionale?
“Mi aspetto che il popolo turco raggiunga il proprio potenziale. Un Paese in cui le identità non vengano discusse, in cui vengano applicati i principi universali e la libertà d’espressione non generi paura tra le persone. Nei paesi in cui dominano i codici tradizionali, è necessario un sistema giudiziario solido e indipendente. E per raggiungere questo obiettivo, è necessario realizzare un processo di secolarizzazione sia nella società sia nelle istituzioni.
La Turchia è un paese prospero, in termini di capitale umano e talenti, con così tante persone di diversa estrazione professionale che conoscono molte lingue e sono specializzate nei propri campi. Sogno di vivere in un Paese in cui la vera agenda sia concentrata su un capitale umano così prezioso.
Alla comunità internazionale vorrei dire che la Turchia non è solo quello che si vede da fuori. Di fronte all’involuzione della nostra democrazia, i leader internazionali non dovrebbero fingere che tutto sia “business as usual”, perché non lo è. Siamo in mezzo a un processo politico e stiamo lottando. Tuttavia, mi auguro che sappiano vedere il vero potenziale della Turchia. Soprattutto gli under-35, che hanno molto da dire in materia di diritti e democrazia. Il futuro siamo noi”.
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