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Opportunismo talebano e frustrazione delle ANFS: come è cambiato il conflitto afghano dopo l’accordo di Doha

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Afghanistan Analysts – Andrew Quilty – 12 ottobre 2020

Proponiamo questo report perché, nonostante siano ormai passati parecchi mesi dalla sua pubblicazione, raccoglie elementi importanti per comprendere questo periodo di transizione.

Traduzione di Deborah Massignani e Francesca Santambrogio.

Le persone che “stanno vivendo” la guerra in Afghanistan, sia civili sia militari, hanno avuto esperienze molto diverse negli ultimi sette mesi, a seconda della zona del Paese in cui risiedono. Chi vive nelle aree controllate dai talebani ha visto una pace inaspettata da quando gli Stati Uniti e i talebani hanno firmato l’accordo di Doha, dopo la sospensione degli attacchi aerei da parte degli USA e l’atteggiamento difensivo assunto dal governo afghano. Per altri, anche se i talebani hanno abbandonato gli attacchi di vasta portata, a terra hanno intensificato altre forme di violenza e sono aumentate le vittime tra i civili. Andrew Quilty incontra talebani esultanti e membri delle ANSF demoralizzati. In un convincente reportage su tre province, indaga i cambiamenti nel modus operandi della violenza. Si chiede inoltre cosa ci possono spiegare le visioni dal basso circa le prospettive di riduzione della violenza in Afghanistan, una richiesta da Kabul finora rifiutata dai talebani.

Army_Kunduz

Questo è il quinto rapporto pubblicato dall’AAN (Afghan Analysts Network) per comprendere il conflitto dopo gli 8 giorni di Riduzione della violenza (RiV), 21-29 febbraio, che hanno caratterizzato l’accordo tra gli USA e i talebani. (1) Si basa su 53 interviste a:talebani (4), membri delle Forze di sicurezza afghane (ANSF) (18), funzionari governativi(6) e altri civili (26). Le interviste sono state condotte tra giugno e agosto, nell’area di 3province: Maidan Wardak, Kunduz e Nangrahar, in modo da valutare come i cambiamenti nelle posizioni militari delle parti del conflitto abbiano influito sui civili e sui soldati da quando l’accordo di Doha è entrato in vigore.

Punti salienti del rapporto

Le forze Talebane e degli USA hanno concluso i negoziati di Doha a febbraio con interpretazioni molto diverse su come si potrebbe ridurre la violenza nel complesso;

• I bombardamenti aerei degli USA e gli attacchi delle ANSF, compresi i raid notturni, si sono per lo più fermati, ma mentre i talebani hanno smesso di attaccare soprattutto i principali centri militari, sono aumentate altre tipologie di attentati;

Per i civili che vivono nelle aree controllate dai talebani, la minaccia di bombardamenti aerei, operazioni a terra su larga scala o raid notturni è cessata, la vita è tornata a una normalità che molti non ricordavano da anni;

• Nelle aree sotto il controllo del governo, eccezion fatta per la minor probabilità di essere coinvolti in operazioni terroristiche su larga scala, il rischio è uguale alla situazione precedente alla firma dell’accordo di Doha;

• Per le persone che vivono nelle aree contestate, l’atteggiamento difensivo delle ANSF ha portato a una maggior frequenza degli attacchi dei talebani contro le postazioni delle ANSF, così come a risposte indiscriminate da parte delle stesse; il rischio per i civili di essere coinvolti in un fuoco incrociato è maggiore;

Il morale dei talebani è alto, con la minaccia ridotta di attacchi da parte del governo o delle forze degli USA, molti sentono che la vittoria è più vicina del previsto, ottenuta sia con mezzi politici che militari;

Molti membri delle ANSF hanno espresso la loro frustrazione verso la passività del governo nei confronti dei talebani e vedono l’accordo di Doha come fatto in mala fede;

I talebani stanno facendo pressione sulle ANSF per fare disertare;

È aumentata la presenza dei combattenti stranieri, che apparentemente sfruttano i periodi di tregua durante i bombardamenti aerei per svolgere gli addestramenti;

• Nella provincia di Maidan Wardak, la cessazione dei raid notturni e dei bombardamenti aerei che hanno caratterizzato il 2018 e il 2019 ha portato la calma nelle aree sotto il controllo dei talebani. Nelle zone contestate, i talebani hanno osato colpire una postazione fissa delle ANSF e, poiché le aree sotto il controllo del governo sono molto piccole, l’aumentare della violenza ha spesso un impatto su governo sono molto piccole, l’aumentare della violenza ha spesso un impatto su queste aree;

• A Kunduz, i talebani hanno una presenza più forte su tutte le strade da e verso la capitale come non si era mai visto fin dal 2001. La Polizia nazionale afghana (ANP) e la Polizia locale afghana (ALP) nelle loro postazioni in prima linea sono messe sotto pressione ed esprimono frustrazione perché l’esercito nazionale afghano (ANA) non prende più iniziative;

• Le circostanze hanno subito meno cambiamenti nella provincia di Nangarhar, dove la violenza è stata per lo più confinata alle aree che erano attive prima della firma dell’accordo di Doha. Tuttavia, preoccupa un grande afflusso di combattenti stranieri nei distretti sud occidentali.

Nessuna riduzione di violenza: promesse infrante, o interpretazione selettiva, dell’accordo di Doha

Il 29 febbraio, dopo che i rappresentanti degli USA e dei talebani hanno stretto l’accordo per portare la pace in Afghanistan, gli USA hanno dichiarato su Twitter che le parti “hanno parlato di ridurre la violenza su tutti i fronti fino all’80% per aprire la strada ai colloqui di pace intra-afghani.” Si dice che una parte dell’accordo di Doha sia contenuta in allegati secretati e accordata verbalmente, una parte in cui si stipulava che le forze degli USA e i talebani avrebbero dovuto fermare le operazioni offensive immediatamente. Gli USA, che includevano l’uso di potenze aeree offensive, si sono riservati il diritto di difendere le forze del governo afghano sotto serie minacce. Il presidente Ashraf Ghani ha ordinato alle Forze di sicurezza afgane (ANSF) di mettersi sulla difensiva. Le forze afgane sembrano avere, in gran parte ma non interamente, sospeso le operazioni offensive.

I talebani, d’altra parte, sono tornati immediatamente sull’offensiva. Il 2 marzo, il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahed ha dichiarato a Reuters che erano pronti a riprendere le operazioni militari contro le forze afghane in ogni momento: “Può essere qualsiasi momento, può essere tra un’ora, questa sera, domani o il giorno dopo.” Il giorno seguente, secondo il Ministero dell’interno, sono stati registrati degli attacchi dei talebani in 17 province.

Il governo statunitense e quello afghano riconoscono una diminuzione degli attacchi talebani su larga scala nei capoluoghi di provincia, ma continuano a lamentare quella che viene percepita come una violazione di un impegno a ridurre la violenza. I talebani hanno negato l’esistenza di tale accordo, dichiarando sul loro sito web in data 5 aprile che “secondo gli accordi firmati, finché i negoziati interni al Paese non porteranno ad un accordo separato con le parti afghane e si raggiungerà un cessate il fuoco completo, l’Emirato islamico può attaccare tutti i centri militari appartenenti al governo di Kabul, sia in aree rurali sia urbane.” Dopo aver insinuato il fatto di essere davvero andati oltre gli accordi stabiliti, la dichiarazione continuava dicendo: “[L’] Emirato islamico non ha attaccato i loro centri nelle principali città, né ha condotto operazioni nei principali centri militari.” Due giorni dopo, il 7 aprile, in risposta alle continue aggressioni talebane, le ANSF sono passate da una posizione di difesa a una di “difesa attiva”.

È possibile che questo sia uno dei casi in cui entrambe le parti escono da una trattativa con un’idea diversa di ciò che è stato pattuito, una sorta di pregiudizio cognitivo che spesso guasta le negoziazioni (supponendo che le parti siano sincere nei propri resoconti divergenti). (2) Inoltre, pare che i talebani si stiano attenendo prevalentemente alla propria interpretazione ristretta dell’accordo, insistendo sul fatto che la scelta di astenersi dall’attaccare “i centri nelle città principali” o “i principali centri militari” sia volontaria e non causata da accordi con gli USA. I bombardamenti e gli attacchi complessi su larga scala nelle città afghane da parte dei talebani sono nettamente diminuiti dopo gli accordi di Doha, ad eccezione di qualche incidente, tra cui un camion bomba vicino a un tribunale a Gardez e un Humvee esplosivo che aveva come bersaglio la sede centrale della Direzione nazionale della sicurezza (NDS) di Ghazni, entrambi il 14 maggio, un attacco con un’autobomba contro un ufficio della NDS ad Aybak, il capoluogo del Samangan, il 13luglio e una bomba di strada diretta al vice presidente Amrullah Saleh che il 9 settembre ha ucciso dieci passanti.

D’altro canto, se l’accordo generale intendeva ridurre i livelli complessivi di violenza, come affermano gli americani, allora il forte aumento dell’incidenza di attacchi minori e assassini mirati chiaramente contravviene a questo obiettivo. Alcuni funzionari del governo e addetti alla sicurezza, così come alcuni difensori dei diritti umani ed esponenti religiosi, sono rimasti uccisi o feriti in quella che sembra essere una campagna di violenza attentamente calibrata, che utilizza IED magnetici, attentatori suicidi e piccole squadre di uomini armati a Kabul e nei centri provinciali e distrettuali. Il 4 ottobre, la Commissione indipendente afghana per i diritti umani (AIHRC) ha pubblicato i risultati di un’indagine sull’uccisione mirata di civili. Secondo l’AIHRC, nei sei mesi precedenti all’indagine, 533 persone sono state uccise e 412 sono rimaste ferite durante i tentati omicidi. Tuttavia, come precedentemente riportato dall’AAN, i talebani hanno rivendicato solo alcuni di questi attacchi. Gli attacchi coordinati di piccola e media portata contro gli avamposti e i posti di controllo delle ANSF sono continuati a ritmo costante, mentre in alcune aree sembra essere aumentato l’uso di IED (ordigni esplosivi improvvisati) contro veicoli e convogli delle ANSF, soprattutto lungo le strade principali.

A seguito delle dozzine di morti causate dagli attacchi del 12 maggio a una clinica per la maternità a Kabul e ad un corteo funebre a Nangrahar, e nonostante i talebani abbiano negato ogni coinvolgimento, il presidente Ghani ha annunciato una ripresa delle operazioni offensive contro i ribelli. Tuttavia, secondo numerosi membri delle ANSF che hanno avuto contatti con l’AAN di tre province, non sembra che l’annuncio abbia comportato dei veri e propri cambiamenti nel reale atteggiamento del governo sul campo di battaglia.

I numeri delle vittime dopo la firma dell’accordo di Doha non riflettono il calo della violenza che i funzionari afghani e statunitensi speravano di ottenere prima dei colloqui intra-afghani.(È da notare che il periodo previsto tra questi due eventi si è allungato da meno di due settimane a più di sei mesi). Il più recente rapporto dell’UNAMA sulle vittime civili ha riportato 3.458 persone morte e ferite nei primi sei mesi del 2020, un calo del 13% in confronto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma ha sottolineato che questa diminuzione è dovuta soprattutto alla cessazione delle operazioni militari internazionali contro i talebani e alle decrescenti risorse dello Stato islamico del Khorasan (ISKP). Il 22giugno Javid Faisal, allora portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza, ha scritto in un tweet: “La scorsa settimana è stata una delle più letali degli ultimi 19 anni. I talebani hanno compiuto 422 attacchi in 32 province, rendendo martiri 291 membri delle ANDSF e ferendone altri 550.” (Faisal non ha fornito all’AAN cifre più recenti). Tuttavia, in un articolo di opinione pubblicato dal Washington Post il 14 agosto, il presidente Ghani ha scritto che, secondo i dati del governo, dal 29 febbraio erano state uccise o ferite dai talebani 12.279persone tra membri delle forze di sicurezza afghane e civili. (I talebani non pubblicano i dati sulle proprie vittime).

Non sono prive di colpe nemmeno le forze governative. Nonostante l’atteggiamento difensivo, sono comunque responsabili per la morte e il ferimento di numerosi civili, causati da abuso di forza o precauzioni insufficienti nelle reazioni alle aggressioni talebane. Citando l’incidente meglio documentato, il 27 giugno 19 civili sono stati uccisi e31 sono stati feriti in un affollato bazar di Sangin, Helmand, quando i soldati dell’ANA hanno risposto a un attacco di mortaio talebano con altri attacchi di mortai. Sebbene questo sia stato l’incidente più letale, di certo non si è trattato di un caso isolato. L’AAN ha parlato con numerosi civili, i quali hanno dichiarato che, dall’accordo di Doha, le forze governative hanno regolarmente risposto agli attacchi talebani alle loro basi e avamposti con colpi di mortaio indiscriminati e fuoco d’artiglieria, senza tener conto dei civili o delle loro proprietà.

Fuori da Kabul e dai capoluoghi di provincia, nelle aree in cui la popolazione locale è abituata a sopravvivere a prolungate campagne militari, con il ronzio dei droni e la paura dei raid notturni, il cambio di atteggiamento di entrambe la parti dal 29 febbraio ha comportato la creazione di nuove realtà, sia per le popolazioni locali sia per i combattenti. Per alcuni il cambiamento ha portato un gradito sollievo, mentre per altri l’esperienza del conflitto è diventata persino più intensa. Nella sezione seguente sono riportate le considerazioni ricavate dalle visite dell’AAN a Maidan Wardak, Kunduz e Nangrahar.

 

Maidan Wardak

Tra le tre province visitate dall’AAN, Maidan Wardak è quella che ha visto la più grande inversione di tendenza in quanto a slancio sul campo di battaglia. Contrariamente al 2018 e 2019, contrassegnati da un periodo di intense offensive, dall’accordo di Doha le forze di sicurezza afghane si sono mantenute quiete, mentre i talebani hanno approfittato dell’assenza di attacchi aerei e raid delle NDS per portare a termine attacchi ai checkpoint delle ANSF e per esercitare un maggiore controllo sulle strade.

Wardak Helms for AAN 13 Oct 20

Aumento degli attacchi talebani alle basi e ai checkpoint da giugno

Nei mesi immediatamente successivi alla firma dell’accordo di Doha, nella provincia di Wardak, i combattimenti sono diminuiti in modo considerevole. A parte un picco di attacchi alle postazioni delle ANSF durante il Ramadan, in cui sono stati invasi alcuni checkpoint delle ANP, i livelli di violenza sono rimasti bassi, per poi intensificarsi significativamente verso la fine di giugno. Le forze governative risultano spaventate di fronte alla violenza che aumenta continuamente da allora.

Un comandante locale talebano, Obaidullah, che è a capo di circa 25 uomini nella zona di Shaikhabad, nel distretto di Saydabad, ha affermato che senza attacchi aerei e raid a cui far fronte “abbiamo più libertà ora. Prima attaccavamo e ci ritiravamo velocemente, ma adesso non abbiamo più questa paura”. Dalle sue parole si evince che ora potrebbero sostenere gli attacchi per più tempo.

Un tenente dell’ANA collocato nel distretto di Saydabad ha confermato che sul posto le forze governative hanno assunto un atteggiamento difensivo. Ha raccontato all’AAN che il 1° e 2° Kandak (battaglione) della 5° Brigata, 203° Corpo d’armata, con base a Dasht-e Top, non hanno messo in atto operazioni offensive dalla firma dell’accordo. Sono state condotte operazioni per aumentare la sicurezza lungo la strada principale di Wardak, ma, a quanto riferito, erano su piccola scala e per lo più controffensive.

Il controllo talebano sulle strade

Nella provincia di Wardak è aumentato anche il controllo talebano sulle strade principali, una tendenza che ha preso piede in tutta la nazione dopo l’accordo di Doha. Questo cambiamento è stato reso possibile dall’atteggiamento difensivo delle ANSF e dalla mancanza di attacchi aerei da parte degli USA, quindi, in un certo senso, è stata una questione di opportunismo, nonostante il controllo delle strade principali sia sempre stato una priorità per entrambe le parti.

I membri delle ANSF hanno comunicato questa situazione all’AAN. Haji Lal Muhammad, vicecomandante di un checkpoint delle ANP accanto alla Highway 1 nel margine meridionale della zona sotto il controllo del governo a Maidanshahr, ha dichiarato che, a causa dell’assenza di pericolosi attacchi aerei, i talebani sono diventati spavaldi. In precedenza, i checkpoint talebani sulla strada principale a sud di Maidanshahr erano comuni ma mai duraturi. Di recente, mentre viaggiava su un autobus da Kandahar a Maidan Wardak, Lal Muhammad ha raccontato di aver passato otto checkpoint talebani durante il viaggio notturno. “Non sono più tesi per l’arrivo di attacchi aerei” ha detto. Senza specificare come li ha attraversati in sicurezza, ha continuato: “Se ne vanno in giro allo scoperto con le loro armi… sono molto tranquilli, controllano tutti con calma e precisione”.

A fine luglio, Humayun, un poliziotto sotto il comando di Lal Muhammad nel checkpoint stradale, ha indicato una curva nella strada in direzione sud rispetto alla loro posizione. “Nessuno è riuscito a superare quell’angolo di notte negli ultimi 15 giorni”. Il 20 luglio, un grosso convoglio dell’ANA si era fermato sulla strada a Saydabad, quando, insieme ad altri, è stato affiancato da un veicolo carico di esplosivi, che è stato poi fatto esplodere. Secondo un agente di sicurezza, sono rimasti uccisi 39 soldati e sono andati distrutti 25 veicoli, nonostante i media abbiano riportato una dichiarazione del Ministero della Difesa che parlava di soli otto o nove soldati uccisi e altri nove feriti.

Nasim, che viene da Saydabad ma vive a Kabul, ha raccontato all’AAN che in una recente visita a Shaikhabad, i conducenti di un convoglio delle ANSF hanno distribuito i propri veicoli in mezzo al traffico civile per non essere attaccati dai talebani. “In questo modo i talebani non spareranno,” ha detto, “perché se uccidono dei civili il governo userà l’episodio come propaganda”.

Aumento di attacchi con IED

A causa della maggiore libertà di movimento dei talebani, è stato riscontrato un considerevole aumento nell’uso di IED contro i convogli delle ANSF lungo la strada che collega Kabul a Kandahar. Lungo i 30 chilometri di strada che dividono il margine meridionale di Maidanshahr e Dasht-e Top, a inizio settembre l’AAN ha contato 19 crateri non ancora riempiti provocati da IED, insieme ad altri apparentemente più vecchi che dovevano essere riparati. Alcuni di quei 19 erano ancora circondati da bitume e manto stradale non compattato dal traffico, ad indicare forse che erano stati creati piuttosto di recente.

Il colonnello Hamidullah Kohdamani, comandante della 5° Brigata dell’ANA, 203° Corpo d’armata “Tandar”, che supervisiona la provincia di Wardak, ha dichiarato a inizio settembre che ogni giorno i suoi uomini disinnescano tra i cinque e i dieci IED nel tratto dei 95 chilometri della strada Kabul-Kandahar che attraversa la provincia. “È un grosso problema. Spesso veniamo attaccati mentre stiamo disinnescando gli ordigni”.

Tuttavia, uno dei subordinati di Kohdamani ha affermato che le operazioni di sminamento routinarie in quella strada erano poco frequenti ormai e che l’aumento di attacchi con IED contro le forze di sicurezza governative stava compromettendo il morale. “Sappiamo che se troviamo una mina, la notte dopo ne rimetteranno un’altra”. Come se ai soldati servisse un promemoria, sopra un autocarro a pianale dell’ANA nel quartier generale del 5° battaglione a Dasht-e Top è stato posto un ammasso di acciaio accartocciato dipinto di verde, ovvero ciò che rimane di un Humvee blindato colpito tre giorni prima da uno IED sulla strada vicino alla base. Un passeggero è stato ucciso e altri quattro sono stati feriti così gravemente da necessitare il soccorso tramite un elicottero dell’ANA.

Il sottotenente Omaidullah è a capo di una pattuglia stradale della ANP responsabile del tratto di strada a sud di Maidanshahr. Omaidullah ha prestato servizio nelle forze speciali finché una ferita da combattimento lo ha costretto a trasferirsi in un’unità meno impegnativa. Da un avamposto satellite sulla cima di una collina che si affaccia sul checkpoint di Haji Lal Muhammad, il 24 agosto ha indicato un tratto della strada un chilometro più a sud, dopo la curva impossibile da superare di notte precedentemente citata dall’agente Humayun. Dieci giorni prima, ha raccontato, l’Humvee su cui stava viaggiando durante una perlustrazione notturna era stato colpito da uno IED. “All’inizio ho pensato che il mio corpo si fosse separato dalle gambe,” ha detto, ma non è stato interessato dall’esplosione che ha strappato via la parte frontale del veicolo blindato dalla cabina, lasciando feriti, ma non mortalmente, i passeggeri, e che nella strada ha creato un profondo cratere di forma conica alto quanto il sottotenente stesso. Quest’ultimo stava ancora zoppicando per quella che risulta essere la sua sesta ferita da combattimento.

Due giorni dopo il racconto del pericolo scampato da Omaidullah, nelle prime ore del mattino un’imboscata ha sorpreso alcuni suoi amici di un’unità della Polizia nazionale afghana dell’ordine civile (ANCOP) che presidiavano un checkpoint nel lato meridionale di un ponte, Pul-e Sorkh, un paio di chilometri più a sud del punto in cui l’Humvee era stato attaccato. “Hanno usato armi pesanti, 82mm (fucili anticarro senza rinculo) e fucili di precisione,” ha detto, “e hanno combattuto dalle 3 fino all’alba”. Il fatto di aver perso solo un uomo nell’attacco è stato praticamente una vittoria per Omaidullah. “Bacerò le mani ai miei uomini quando li vedrò”.

Anche i checkpoint governativi che non si trovano sulla strada principale sono stati posti maggiormente sotto pressione da giugno. Tra le visite dell’AAN a giugno e luglio, Humayan, del posto di controllo poco più a sud di Maidanshahr, ha dichiarato che diversi checkpoint sono stati conquistati dai talebani. “Ora non possiamo nemmeno camminare intorno alla base,” ha detto, accovacciato sotto un parapetto di sacchi di sabbia che si affaccia sul quartiere residenziale di Deh-e Afghanan adiacente alla “zona verde”, nella parte sud del capoluogo provinciale. Poi ha indicato un cumulo di pietre di fiume, un monumento dedicato a un collega, Azim, che era stato ucciso il giorno prima da un cecchino mentre passava davanti a un buco nel muro di cemento anti-esplosione della base. “I talebani si trovano appena dopo la prima fila di case” ha continuato, indicando un punto oltre i sacchi di sabbia. “Da un paio di giorni si dice che vogliano provare a impadronirsi del nostro checkpoint. Di notte ci possono circondare”.

I membri delle ANSF raccontano come i talebani si sono fatti strada dalla zona sud-ovest, attaccando avamposti a meno di un chilometro dall’ufficio del governatore. In un attacco, il 23 agosto, cinque uomini sono stati uccisi in un avamposto di Deh-e Afghanan, vicino a Maidanshahr, dove finisce la zona verde. L’ANP ha assistito all’attacco dal checkpoint stradale a sud del capoluogo, che ha una vista sulla valle. In realtà, nelle settimane precedenti avevano notato la costante infiltrazione talebana della zona verde procedendo da sud-ovest, poiché gli attacchi erano sempre più vicini. Con un tale slancio, la polizia ha ritenuto plausibile un attacco al complesso del governatore nelle settimane a venire.

Di fatto, i talebani hanno condotto regolarmente attacchi ai checkpoint e agli avamposti governativi negli ultimi mesi. Nell’area di Arghandi, dove il traffico della strada principale è rallentato dal gate che segna il confine tra le due province, al ritorno da Maidanshahr per due volte in agosto, l’AAN ha assistito a degli scontri a meno di qualche centinaio di metri dalla strada. Si trattava dello stesso tratto di strada in cui il 3 ottobre di quest’anno il veicolo blindato che trasportava il sindaco di Maidanshahr, Zarfia Ghafari, era stato preso di mira, seppur senza danni, da alcuni uomini armati. Tuttavia, un attacco al capoluogo stesso sembra allontanarsi dall’attuale modus operandi dei talebani.

Parlando con l’AAN, un alto comandante talebano ha descritto il loro attuale atteggiamento come “in standby”, ovvero mantenendo un basso livello di offensive militari, in modo da non perdere le conquiste degli ultimi anni, e astenendosi dal condurre attacchi su larga scala nelle città o tentando di conquistarle interamente. “Nella mia zona non abbiamo avviato grandi operazioni militari. Abbiamo conquistato alcuni checkpoint, non i centri distrettuali”. Questo li fa rimanere entro i limiti dell’accordo di Doha. Loro stanno, ha detto, “combattendo ovunque, ogni giorno, ma le grandi operazioni si sono fermate per ora… Ci stiamo attenendo alla nostra parte dell’accordo, è importante mantenere la nostra parola”.

Ancora combattenti stranieri? 

In alcune aree controllate dai talebani nella provincia di Wardak, un ulteriore cambiamento è dato dall’aumento della presenza di combattenti stranieri. Due comandanti talebani di grado inferiore, dei distretti di Saydabad e di Day Mirdad, hanno riferito all’AAN che, dall’accordo di Doha, il numero di combattenti stranieri è aumentato. La maggior parte, dicono, sono parlanti waziri o urdu, oppure alcuni hanno un forte accento pashto non nativo, quindi probabilmente pakistani, che erano presenti nella provincia di Wardak in passato, ma che sono stati notati in quantità significative anche più di recente. Questi combattenti hanno avuto per anni strade ad accesso controllato tra Wardak e la linea Durand, passando per le province di Logar, Nangrahar o Paktia. “Ai locali non piace avere questa gente intorno,” ha dichiarato Keramatullah, un comandante talebano di grado inferiore di Day Mirdad. “Nemmeno alle autorità talebane locali, ma non è una cosa che possiamo controllare”. Keramatullah e Obaidullah, entrambi di Saydabad, hanno affermato che “i combattenti stranieri” avevano partecipato agli attacchi su piccola scala che venivano eseguiti, ma di loro si sapeva poco altro. “Non ci è permesso avvicinarci a loro,” ha precisato Keramatullah. “Sono sotto il comando diretto del governatore talebano, ma non sappiamo dove si trovino”. Spesso, ha continuato, compaiono in tempo per combattere e poi spariscono appena un’operazione è finita.

Il comandante talebano di grado più alto, intervistato dall’AAN, ha respinto l’idea di considerarli combattenti stranieri. “Vengono dall’altro lato della linea di Durand. Sono afghani”. Altrimenti, ha detto, la gente scambia i combattenti per l’Unità rossa talebana, o per le loro unità ‘laser’ supplementari perché sono necessariamente distaccate. All’Unità rossa, il corrispettivo talebano delle forze speciali, ha proseguito, è proibito parlare con la gente esterna alle loro unità e devono sempre girare a volto coperto. “I ceceni, i tagichi e gli arabi non sono nelle nostre aree”.

Riduzione di raid e bombardamenti aerei delle NDS

Sia per gli abitanti sia per i combattenti, il 2018 e il 2019 saranno ricordati per la campagna brutale di raid notturni, compiuti soprattutto dall’unità 01 delle NDS, e gli attacchi aerei condotti dalle forze afghane e statunitensi., Alcuni residenti della provincia di Wardak (eccetto quelli nel distretto nord di Behsud, nella regione ostile ai talebani di Hazarajat (3)) sono stati risparmiati per lo meno dell’esperienza indiretta dei raid, poiché la stragrande maggioranza dei territori della provincia è controllata dai talebani fin dal 2018. Secondo i residenti e gli analisti di sicurezza, i raid sono cessati quasi completamente più o meno nel momento in cui l’accordo di Doha è stato firmato. È stato anche il caso di Nangrahar e di altre province orientali che, nello stesso periodo, hanno subito raid molto frequenti da parte di diverse unità delle forze speciali della NDS. 

Lontano dal fronte, nelle aree controllate dai talebani, la fine dei raid e degli attacchi aerei ha portato cambiamenti positivi alla qualità della vita di molti abitanti di Wardak. Farwad, un ventunenne residente nel distretto di Day Mirdad, ha dichiarato: “Dall’accordo di Doha, a Wardak, non ci sono stati attacchi o raid notturni. La gente è molto felice, è come se fossimo nel periodo dell’Eid”.

Durante una visita alla valle di Tangi nel distretto di Saydabad, che, seppur controllata dai talebani da prima del 2014, l’anno scorso ha portato il peso di numerosi raid notturni e conseguenti attacchi aerei, l’AAN ha documentato una calma che invece non si trova nelle aree contestate e nel capoluogo della provincia di Wardak controllato dal governo. 

Alcuni contadini di diversi distretti interrogati dall’AAN nel 2019 avevano detto di non poter lavorare i campi spesso, soprattutto nelle sere estive e durante il Ramadan, per via del rischio dei raid e degli attacchi aerei. (Secondo i dati della Banca mondiale, più dell’80% delle famiglie di Wardak trae il proprio reddito dall’agricoltura o dall’allevamento). Tuttavia Ahmad Shah, un contadino di Nerkh, ha affermato:

“Ora la gente può irrigare il terreno a qualsiasi ora del giorno o della notte perché non ci sono problemi di sicurezza. Prima, se qualcuno era fuori e vedeva arrivare un drone, non si poteva muovere né ritornare a casa né niente. Gli abitanti di Wardak, non vivono più come prigionieri nelle loro case”.

I civili nel fuoco incrociato sui (nuovi) fronti

Al contrario, per coloro che vivono vicino ai fronti, la vita è diventata ancora più tesa, in particolare per quelli vicini alle strade principali o ai centri distrettuali controllati dal governo, che formano delle “isole” all’interno di territori fortemente talebani, e per il capoluogo di provincia di Maidanshahr. Dall’accordo di Doha, sono i contadini di queste aree che non riescono ad occuparsi dei propri campi. Adam Khan vive a Lalakhel, nella periferia sud di Maidanshahr. Ha dichiarato che ci sono dei checkpoint della polizia sul fronte del governo e fanno fuoco regolarmente verso l’invisibile linea di controllo dei talebani vicino a casa sua, nel tentativo di tenerli a bada. “Provano a spaventare i talebani,” ha raccontato all’AAN a fine luglio, “ma i talebani non fanno caso ai civili, quindi a loro non importa”. Quando pattugliano le strade, ha detto riferendosi alla polizia, “sparano tutto il tempo. E se i talebani sparano un colpo, la polizia ne spara 500. Questo solo negli ultimi sei mesi”. Di conseguenza, la gente come Adam Khan ora si trova nella stessa situazione dei contadini che, l’anno scorso, temevano i droni e i raid notturni nelle aree dei talebani. Ora lui non riesce più a lavorare, tranne, riferisce, al mattino molto presto. “Dopo,” ha aggiunto, “sei molto fortunato se riesci a coltivare”.

Wardak feriti

Nurullah, un contadino di 38 anni di Kodai nel distretto di Chak ha detto che il 25 luglio, verso l’ora del tramonto, stava irrigando il suo terreno circa a un chilometro da una stazione della polizia nazionale (ANP). Facendo il resoconto di quella sera all’AAN, ha affermato che i suoi due figli e un nipote stavano giocando nei paraggi. Secondo Nurullah, non c’erano combattimenti nelle vicinanze in quel momento. All’improvviso, una piccola munizione esplosiva è atterrata lì vicino e ha riempito i tre ragazzi di schegge. Quando il giorno dopo l’AAN ha fatto visita all’ospedale provinciale di Maidanshahr, tutti e tre si stavano riprendendo dalle operazioni chirurgiche per rimuovere i frammenti dai loro stomaci. “È arrivata dalla stazione di polizia,” ha detto Nurullah, “la mia casa è stata colpita e danneggiata dai mortai del governo”. Dall’accordo di Doha, ha aggiunto, queste dinamiche sono diventate sempre più marcate. “La polizia nazionale ha cambiato il proprio atteggiamento,” ha proseguito. “Solo perché sono chiusi dentro le loro stazioni continuano a sparare da lì”.

Ehsanullah, 32 anni, del distretto di Chak, era anche lui all’ospedale quel giorno. Si è lamentato dei fuochi dell’artiglieria dell’ANA durante la notte. “Quando fa buio, hanno paura e sparano con mortai e artiglieria senza obiettivi o coordinate”. Sono proprio le esperienze come quelle che sta vivendo Nurullah che continuano ad allontanare la gente di Wardak dal governo. “Non abbiamo problemi con i talebani,” ha affermato Ehsanullah. “Tutti i nostri problemi sono causati dal governo”.

Reclutamento dei talebani

Ad ogni modo, ci sono nuove pressioni talebane con cui fare i conti. Il dottor Esmatullah Asim era il primario dell’ospedale provinciale prima di essere recentemente eletto nel consiglio provinciale. Asim condivide la disaffezione della popolazione verso il governo, anche se ha riferito che si tratta di un problema di vecchia data che ha aiutato ad alimentare l’insorgenza dal suo esordio dopo il 2006. “La gente si laurea all’università ma non c’è lavoro. Sono disoccupati e cercano persone che ascoltino i loro problemi”. Secondo lui, ora, senza la pressione militare degli anni precedenti, i talebani stanno capitalizzando sulla distanza crescente tra il governo e gli abitanti di Wardak. “Sono molto accessibili ai giovani,” ha aggiunto. In parte è dovuto alla natura relativamente imprigionante dei loro costituenti. Questo si traduce anche in reclutamento, ha detto Asim, su cui i talebani si sono concentrati approfittando della tregua post-Doha. 

Un alto comandante militare talebano (che ha chiesto di non essere menzionato) è d’accordo ma ha specificato che l’impegno nel reclutamento era volto a convertire i membri delle ANSF più che a invitare nuovi non combattenti a unirsi. Il motivo della crescita della commissione di reclutamento, ha spiegato, è almeno in parte dovuto al cambiamento della formazione delle file nemiche. In risposta alla domanda se la loro ‘jihad’ fosse ancora legittima o meno ora che non stavano combattendo più contro gli stranieri, ha detto: “Avete ragione sul fatto che la jihad sia contro gli USA, non contro gli afghani. È per questo che diamo alle ANSF la possibilità di arrendersi prima di attaccarle”. Prima delle operazioni, ha commentato, la commissione di reclutamento ora manda messaggi a coloro che si trovano in una posizione target, spingendo i membri delle ANSF a ritirarsi anziché resistere: “Stiamo provando a convincerli che stanno difendendo gente corrotta”. 

Allentamento delle restrizioni sociali e ripristino della copertura telefonica

Un membro anziano dello staff di una ONG per la salute globale, ha detto che il suo lavoro nelle aree controllate dai talebani è cambiato in meglio dall’accordo di Doha. “Prima” ha dichiarato, “i talebani erano molto aggressivi, ma dall’accordo di Doha, si comportano come un governo, non come una forza anti governativa… penso che vogliano dimostrare di poter fornire una governance”. Inoltre, ha aggiunto: “Sono molto più tranquilli con la gente”. Le opinioni dei lavoratori delle ONG hanno rinforzato la credenza dell’AAN che la diminuzione della pressione militare sui talebani a Wardak ha portato benefici ai civili che vivono sotto il loro controllo. 

Il cooperante dell’ONG ha spiegato che anche il coordinamento tra i distretti dei talebani, le commissioni provinciali per la salute e le commissioni militari ha ricevuto benefici dal calo della violenza. “Non ci sono sfide per noi nelle aree dei talebani. Ma nelle aree del governo, da quando c’è l’accordo di Doha, ci hanno fermati, perquisiti e interrogati di continuo”.

Prima dell’accordo di Doha, il sospetto dei talebani sugli informatori locali era diffuso, infatti i civili soffrivano spesso di depredazioni come i limiti sui servizi mobili e persino sull’uso delle fotocamere dei cellulari. Nel 2018 e 2019, i talebani controllavano le celle telefoniche nella maggior parte della provincia di Wardak e avevano rafforzato la restrizione sull’uso dei cellulari, limitandolo ad alcune ore ogni mattina presto. Lo scopo era quello di impedire agli eventuali informatori di aiutare i militari afghani e statunitensi. Secondo i residenti e un ingegnere locale, le celle telefoniche ora sono per lo più funzionanti, sia di giorno sia di notte. 

 

Kunduz

La potenza dei talebani nella provincia di Kunduz dalla partenza delle forze tedesche nell’ottobre del 2013 è ben documentata, notoriamente illustrata soprattutto dalla breve conquista della città di Kunduz da parte del gruppo nel 2015 e nel 2016. Nessun altro capoluogo di provincia è stato sottoposto a una pressione così prolungata da tutte le parti. Perfino a Wardak, dove il governo ha probabilmente meno controllo sui distretti, non ci si sente così oppressi come nella città di Kunduz dove i talebani continuano a infiltrarsi nelle periferie.

Kunduz map

Oltre alla città di Kunduz, per diversi anni i talebani hanno controllato soprattutto i centri distrettuali di Chahar Dara, Dasht-e Archi e Qala-ye Zal. Quest’ultimo è stato fisicamente spostato nel 2018 per permettere al governo di mantenere il proprio controllo. Più recentemente, Khanabad a est, Aliabad a sudovest e Imam Saheb a nord sono stati tutti sottoposti alla pressione continua dei talebani. I tre nuovi sotto distretti provinciali di Gor Tepa (conosciuto anche come Gul Tepa), Aqtash e Kulbad sono tutti sotto il dominio dei talebani. Da quando è stato firmato l’accordo di Doha, la pressione dei talebani sul governo non ha fatto altro che intensificarsi. Per chi viaggia lungo le strade principali dirette a Khanabad e Aliabad è diventato impossibile evitare di incontrare combattenti talebani che portano armi allo scoperto o che fermano gli automobilisti ai checkpoint, specialmente durante la notte. Nel mentre, Imam Saheb, al confine con il Tagikistan, è il focus di un nuovo fronte talebano che minaccia le frange orientali della zona coltivata e popolata del distretto, con dozzine di membri delle forze di confine, ALP e ANP che stanno morendo negli ultimi mesi.

Assalti dei talebani e frustrazione delle ANSF in aumento

Per le forze della ANP posizionate nel gate nord della città di Kunduz, i combattimenti sono una presenza quasi quotidiana. In una visita alla città a luglio, l’AAN ha incontrato Faizullah, un poliziotto di 45 anni: “Da quando è iniziato il processo di pace,” ha dichiarato, riferendosi all’accordo di Doha del 29 febbraio, “ci stiamo solo difendendo. I talebani ci hanno attaccato qui la scorsa notte… A volte arrivano da tutte le parti e ci circondano”.

Dall’altro lato della città, Dastagir comanda il checkpoint che porta a sud nel distretto di Aliabad e oltre, fino alla provincia di Baghlan e a Kabul. Il checkpoint, che si trova solo a un chilometro dal quartier generale più grande del battaglione dell’ANA a lato della pista d’atterraggio della città di Kunduz su un altopiano, è stato attaccato solo qualche volta da quando lui ha preso il comando nove mesi fa. Gli avamposti satelliti dell’ALP e dell’ANA a sud e anche quelli a pochi minuti di viaggio verso nord, tuttavia, sono stati meno fortunati. “È peggio adesso che allora,” ha affermato. “I talebani ne approfittano perché ci stiamo solo difendendo”. Quello che è cambiato, ha proseguito, è che ora i talebani sono “sicuri che gli USA non attaccheranno né condurranno bombardamenti aerei. I talebani hanno conquistato alcune aree, hanno tagliato (bloccato) le strade principali… hanno raggiunto molti obiettivi dall’accordo di Doha. Attorno a Kunduz, sono arrivati vicino alla città”.

Il checkpoint si trova sotto un arco ed è guidato solo da un poliziotto per quasi tutto il giorno. Siccome gli attacchi avvengono quasi sempre di notte, gli uomini di Dastagir sono per lo più presenti nelle ore notturne, ma hanno fatto finta di controllare attentamente i veicoli che passavano durante le visite dell’AAN nelle ore diurne. Mentre Dastagir lamenta l’atteggiamento difensivo che lui e le ANSF sono stati costretti a mantenere dall’accordo di Doha, ha chiarito che, anche in normali circostanze, non è compito dell’ANP condurre operazioni offensive. “È responsabilità dell’ANA,” ha detto, mentre la polizia segue in retroguardia per mantenere una presenza appena le aree vengono liberate. 

I suoi uomini pattugliano ancora le strade principali, ma solo fino al villaggio di Kocha-ye Qazaq, circa due chilometri a sud. Il pomeriggio stesso della visita di luglio dell’AAN, due Humvees e un Ranger dell’ALP carichi di uomini si dirigevano verso sud dalla strada che porta fino al quartier generale del battaglione dell’ANA. Stavano andando a Kocha-ye Qazaq. La notte seguente, il loro checkpoint è stato attaccato, causando la morte di almeno cinque membri delle forze governative e il ferimento di molti altri. Un giornalista locale ha riferito all’AAN che i combattimenti sono proseguiti persino nelle ore diurne del 20 luglio.

Il costo dell’atteggiamento difensivo (di fatto, l’attesa di essere attaccati) iniziava a mettere a dura prova il morale quando l’AAN ha visitato Kunduz a luglio. “Abbiamo bisogno che i nostri leader stringano un accordo il prima possibile,” ha affermato Dastagir. “Non siamo contenti di questa situazione”. 

Muhammad Yusef Ayubi del consiglio provinciale è d’accordo: “L’idea della pace va bene,” ha detto, “ma l’accordo era tra i talebani e gli USA. Giorno dopo giorno la situazione sta peggiorando sempre di più”.

La seconda volta che l’AAN ha parlato con Faizullah, era impassibile: il suo contegno rivelava un atteggiamento tipico di molte persone dalla parte del governo con cui l’AAN ha parlato a Kunduz, a cui dall’accordo di Doha sono state addossate le conseguenze dei tentativi da parte degli americani di stabilire la pace con i talebani. Un soldato afghano era stato ucciso un’ora prima e i combattimenti continuavano a intermittenza a meno di un minuto dalla strada principale. “Gli stranieri hanno fatto un accordo di pace,” ha detto Faizullah, “ma noi continuiamo a morire”.

Nel distretto di Imam Sahib, che ha visto un picco di combattimenti nel mese antecedente alla visita dell’AAN a luglio, agli ufficiali di sicurezza è stato dato l’ordine di non parlare con i reporter, perciò molti l’hanno fatto a condizione di rimanere nell’anonimato. Un alto funzionario dell’amministrazione distrettuale ha detto che circa 50 membri delle ANSF sono stati uccisi prima di metà luglio. 

I civili potevano parlare più liberamente a proposito dell’aumento di pressione sul distretto. Abdul Qarluk, un uomo di 45 anni che lavora come giardiniere nel quartier generale del governo, ha detto che “dopo l’accordo di pace, i talebani hanno provato giorno e notte a conquistare il controllo del distretto. Può chiamarsi pace questa?” 

Molte vittime si concentravano attorno al villaggio di Qarghaz, 3 chilometri a sudest del centro distrettuale. Il fronte era marcato da uno stretto canale d’irrigazione e molti residenti (non dal lato sotto il controllo del governo), se n’erano andati da quando i talebani erano passati all’attacco. Il funzionario distrettuale credeva che i combattenti talebani di altre province fossero stati mandati a Kunduz per aiutare a respingere le forze governative verso il centro distrettuale. 

All’interno della serie di avamposti dell’ANP e dell’ALP in prima linea a Qargha, è stato riferito all’AAN che solamente nell’ultima settimana, in due postazioni sono stati uccisi dieci uomini, tra cui alcuni soldati dell’ANA che erano stati mandati lì per aiutare a difenderle. Secondo Nezamuddin, il comandante di un piccolo avamposto, i talebani continuavano a impegnarsi in maniera concertata per invaderli praticamente ogni notte. La disperazione della difesa era evidente nei tunnel scavati a partire dai margini degli avamposti, che conducevano non solo a bunker sotterranei con alcuni fori al livello del terreno fuori dalla cinta muraria in modo da poter sparare, ma anche a bunker interni da cui, secondo la polizia, potevano combattere quando i talebani aprivano una breccia nelle mura. “Il presidente ha ordinato a tutto il personale di sicurezza di assumere un atteggiamento difensivo” ha detto. “Per noi è difficile, ma questi sono gli ordini”. I suoi uomini sono dovuti ricorrere a queste ultime difese disperate più di due volte nella settimana precedente. In un avamposto nel villaggio di Joi-ye Begum, l’entrata di uno di questi tunnel è stata scavata nel pavimento di cemento di una stanza usata come dormitorio per gli uomini. “Prima dell’accordo di Doha,” ha detto Nezamuddin, “potevamo condurre delle operazioni… Ora il cessate il fuoco è solo unilaterale e la situazione per noi è molto peggio di prima”.

Kunduz taxiDa quando l’AAN ha visitato Kunduz a luglio, i combattimenti sono continuati in tutta la provincia e si sono intensificati a Imam Saheb e Khanabad. Un rapporto di Tolo News del 25 agosto ha constatato un atteggiamento critico da parte dei residenti della provincia di Kunduz nei confronti delle ANSF, a causa della loro riluttanza a condurre operazioni offensive nella provincia. Questa passività, hanno dichiarato, permette ai talebani di trasformare lo slancio sul campo di battaglia a proprio favore. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) ha riportato che nell’ultima settimana di agosto più di 9.000 famiglie sono state costrette a lasciare le proprie case a causa dei combattimenti nei due distretti sopracitati.

Checkpoint e ‘tassazione’ dei talebani

La presenza di combattenti e checkpoint talebani lungo le strade principali di Kunduz è stata probabilmente il più grande cambiamento per i residenti dall’accordo di Doha. Muhammad Yusef Ayubi, un membro del consiglio provinciale, ha affermato che ora la maggior parte delle lamentele dei suoi elettori riguardano la mancanza di sicurezza sulle strade principali della provincia, soprattutto sulla Kabul-Baghlan-Kunduz. “I talebani” ha continuato, “controllano quella strada e tassano ogni veicolo”. Tutte le persone di Kunduz intervistate dall’AAN che negli ultimi mesi avevano viaggiato da o verso Kabul hanno bene o male confermato questa dichiarazione, soprattutto in riferimento ai distretti nord della provincia di Baghlan, a sud di Aliabad. Dastagir, un comandante di polizia del checkpoint situato nel gate sud della città di Kunduz, attraverso cui passano gli automobilisti diretti ad Aliabad, Baghlan e Kabul, ha dichiarato che la strada tra il gate e Baghlan appartiene ai talebani. “Tassano gli automobilisti. Non erano mai stati nelle condizioni di farlo prima”. Però ha protestato: “Non possiamo farci niente”. Ayubi ha riferito che i camionisti sono costretti a pagare 30.000 afghani (320EUR) per attraversare i checkpoint talebani.

Un passeggero di un autobus ha riferito che i combattenti talebani fermavano i veicoli, requisivano i cellulari, chiamavano i numeri delle telefonate più recenti e dicevano alle persone all’altro capo che i loro amici avevano avuto un incidente. Sotto le sembianze di gentili passanti, i talebani poi verificavano le informazioni personali più importanti per capire se i passeggeri fossero affiliati del governo, e quindi per decidere se permettere loro di continuare il viaggio o no.

Rashida, che si è recentemente risposata dopo la perdita del figlio e del primo marito, un membro della ALP, in un attacco aereo degli USA nel 2019, vive a Dasht-e Archi. Nonostante il distretto sia sotto il controllo talebano almeno dal 2015, Rashida ha affermato che, dall’accordo di Doha, è molto più frequente trovarli sulle strade. “Se ora istituiscono un checkpoint,” ha continuato, “ci vogliono quattro ore per arrivare in città. Ci vuole molto tempo perché controllano tutto”. Ha aggiunto anche che ora è molto più probabile incontrare tali checkpoint di giovedì, ovvero il giorno in cui la maggioranza delle persone va in città per fare spese al bazar. “Controllano le canzoni sul telefono, controllano le memory card” ha raccontato all’AAN. “Cercano le SIM della Salaam, che sono proibite dai talebani in quanto Salaam è di proprietà del governo. Ti fanno la multa e ti mandano in galera”.

A parte le difficoltà aggiuntive in fatto di viaggi, Rashida ha raccontato all’AAN che i talebani non erano cambiati molto dopo l’accordo di Doha. Tuttavia, ha aggiunto che lei e il resto della gente speravano nell’arrivo della pace “perché così non dovremo dare cibo o altro ai combattenti talebani. È un problema costante,” ha detto, “specialmente per i poveri”.

Sayed Malek gestisce un piccolo negozio nella parte più occidentale della città di Kunduz, dove le linee di controllo iniziano a sfumarsi così tanto che spesso i talebani pretendono di essere pagati per l’elettricità. Anche la polizia nei checkpoint in prima linea deve pagare i talebani, ha detto, perché le linee elettriche attraversano il territorio talebano e in caso di rifiuto questi interromperebbero la corrente.

Malek, che ha perso uno dei suoi quattro figli nei combattimenti con i talebani, presenta un atteggiamento molto diffuso tra i residenti delle aree controllate dai talebani da molto tempo: lui non è necessariamente a favore dei talebani, ma senza dubbio è contro il governo. “Supportiamo il regime islamico e le persone che lo sostengono” ha detto. “Non vogliamo necessariamente i talebani, vogliamo chiunque porti con sé un regime islamico”. La sua ira, d’altra parte, si focalizza su chi è stato scelto per lavorare al fianco dagli americani e sul fatto che i benefici, che sarebbero dovuti essere destinati alle famiglie come la sua, sono invece rimasti nelle tasche dei clienti americani. “Non hanno mai chiesto alla gente se è contenta di essere rappresentata da queste persone. Devono smettere di supportare il governo. Poi vediamo cosa succede”.

 

Nangarhar

Dal 2015, le condizioni nella provincia di Nangarhar sono state influenzate in gran parte dalla presenza dello Stato islamico del Khorasan (ISKP). Persino dopo “l’annientamento” del gruppo nella provincia dichiarato dal presidente Ghani a novembre 2019, l’interruzione delle dinamiche sul campo di battaglia negli anni seguenti ha continuato a influenzare lo stato delle cose dalla firma dell’accordo di Doha.

Nangarhar map

Talebani trattenuti dalla pressione ridotta delle ANSF

A partire da febbraio la strategia delle ANSF, a sua volta, sembra quella di mantenere ciò che è stato guadagnato dall’inizio dell’operazione anti-ISKP del 2017. Si tratta del risultato di offensive sia da parte dei talebani, sia delle ANSF nei distretti come Khogyani e Sherzad, e di una rinforzata campagna aerea degli USA. Entrambe le parti hanno rivendicato la vittoria. Prima di febbraio, secondo un analista di sicurezza a cui non veniva permesso di parlare pubblicamente, la convergenza di una prolungata attività anti-ISKP negli anni precedenti ha fatto sì che il governo (con l’aiuto delle Forze di rivolta pubblica, una milizia filo-governativa fondata dalla NDS) potesse mantenere il controllo sul territorio come non succedeva da anni. Ora, ha continuato l’analista, a parte le “operazioni minori contro i rifugi talebani intorno a Nangarhar, la strategia delle ANSF è quella di trattenere i talebani nel posto in cui sono finiti,” dopo tre anni di operazioni militari continue.

Nonostante l’impegno dei talebani, secondo Gul Shirin, il comandante di un piccolo checkpoint della ALP sulla strada principale che attraversa il distretto di Khogyani da nord a sud, questa strategia ha avuto successo. Indicando un gruppo di villaggi conosciuti come Argach ai piedi dei monti Spin Ghar nella parte sud del distretto di Khogyani, Gul Shirin ha affermato che l’intera area era stata sotto il controllo dei talebani fino alle operazioni governative nei primi mesi del 2019. Pur mantenendo una presenza minima, “dall’accordo di Doha i talebani non hanno conquistato nessun territorio di questa zona di Nangarhar” ha riferito all’AAN all’inizio di agosto, “anche se ci hanno provato”.

Secondo Gul Shirin e altri combattenti della milizia filo-governativa, il governo ha continuato a condurre operazioni dall’accordo di Doha, una rara eccezione secondo ciò che è stato riportato dall’AAN nelle tre province. “La differenza” ha riferito all’AAN, “è che prima l’ANA aveva il supporto delle forze aeree degli USA, mentre ora non lo ha più”. Sebbene non siano riusciti ad espandere la propria presenza a Khogyani dalle aree pre-Doha, la sospensione delle operazioni aeree e terrestri da parte delle forze statunitensi e dell’unità 02 delle NDS ha fornito un periodo di tregua ai talebani. “Ora i talebani possono camminare allo scoperto senza difficoltà,” ha detto Gul Shirin. “Hanno armi pesanti montate sui veicoli e non devono nemmeno nasconderle”.

Più combattenti stranieri, più addestramenti?

Malik Maki, comandante delle Forze di rivolta di Khogyani, con un totale di 60 uomini nell’area che va dal centro distrettuale tra i monti Spin Ghar fino a sud, era critico circa le ripercussioni dell’accordo di Doha sul suo distretto. La preoccupazione immediata riguardava gli avamposti che prima venivano attaccati una o due volte al mese, ma che ora si trovavano sotto attacco più spesso, poiché i talebani non sono più sottoposti a una pressione militare. Tuttavia, la sua preoccupazione più sul lungo termine riguardava invece i combattenti stranieri (tra cui pakistani e ceceni (4)) che, a seguito della cessazione delle operazioni aeree degli USA, si stavano riversando nel distretto di Khogyani attraverso la linea di Durand. Maki sostiene che “i talebani e i loro sostenitori vogliono andare al potere usando la forza”. Anche diversi residenti e analisti hanno informato l’AAN sull’afflusso di stranieri nei distretti sud occidentali di Nangarhar.

Gli addetti alla sicurezza hanno dichiarato di aver ucciso 15 uomini di nazionalità pakistana a Khogyani a luglio, nonostante le circostanze legate alla loro morte non fossero chiare. Sempre a luglio Tolo News ha riportato le parole di un comandante di un reggimento dell’ANA, il Generale Karim Niazi: “Le informazioni dell’Intelligence mostrano che ci sono dei colonnelli pakistani in pensione che stanno addestrando i talebani locali”. Ciò è stato confermato via Twitter anche da Ali Wazir, un politico pakistano e attivista pashtun, che ha parlato del ritorno dall’Afghanistan delle salme dei pakistani e ha chiesto: “Quali sono le priorità dello stato pakistano?”

L’opinione diffusa tra le persone interpellate dall’AAN era che gli stranieri si stessero approfittando della libertà post-Doha per condurre addestramenti invece di combattere, almeno per il momento. I civili e i membri delle ANSF hanno parlato di afflussi di combattenti esterni nei distretti di Surkh Rod e Khogyani e in quelli più remoti, Sherzad e Hesarak. Wali, che risiede a Sherzad, ha affermato che i combattenti, la maggior parte provenienti dal Waziristan e dal Khyber agency, si erano stabiliti in aree che il governo non era riuscito a riconquistare prima dell’accordo di Doha. Senza la minaccia degli attacchi aerei, ha proseguito, i gruppi, che sembra esercitino il potere sui combattenti afghani locali, si radunano senza paura… Giocano a calcio e vanno in giro liberamente”. Il timore è che questi facciano parte di una capacità militare in formazione che potrebbe essere scatenata nel caso in cui i colloqui intra-afghani dovessero fallire o non concretizzarsi.

Crescente frustrazione da parte delle ANSF 

In alcune zone, i talebani presentano ancora un atteggiamento offensivo contro l’ISKP. Prima di essere scacciati da Nangarhar, la presenza dell’ISKP ha spinto alcuni gruppi talebani in aree meno contestate, tra cui la parte nord di Surkh Rod, in cui sono riusciti ad aumentare il numero di attacchi alle forze governative. Haji Anar Gul è a capo di un piccolo avamposto della ALP a Shamshapur, vicino al centro distrettuale di Surkh Rod. L’AAN l’ha incontrato per la prima volta a luglio 2019 durante un’operazione congiunta di ANA, ANP e ALP per liberare dai talebani alcuni villaggi attorno a Dasht-e Baghwani, ai piedi di quella che i locali chiamano “Montagna Nera” (perché lì non nevica mai). Questo agosto, Anar Gul era a casa sua a Surkh Rod e si stava riprendendo da un colpo d’arma da fuoco avvenuto due settimane prima, quando il suo avamposto è stato invaso. Tre dei cinque uomini della ALP nell’avamposto sono stati uccisi, mentre uno dei suoi figli è stato ferito, ma è sopravvissuto.

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Nella sua prima intervista, durante l’operazione nel 2019, aveva detto: “I talebani sono tornati il giorno dopo l’operazione”. Tuttavia, proprio quell’operazione ha permesso di istituire un nuovo avamposto di polizia sulla cima di una piccola collina tra la Montagna Nera e la strada che attraversa il distretto. L’avamposto era ancora occupato dall’ANP durante l’ultima visita dell’AAN.

La recente esperienza di Anar Gul ha senza dubbio inasprito le sue opinioni riguardo il governo e le forze dietro all’accordo di Doha. “Ora i talebani sono tranquilli perché non rischiano attacchi aerei” ha detto. “Niente NDS-02, niente forze speciali; i talebani avevano paura di tutto ciò, ma ora no”. Ha descritto la situazione post-Doha come un cessate il fuoco unilaterale, con manovre politiche eseguite solo da un governo che non è riuscito a tenere conto delle realtà del fronte. “Loro ci attaccano e noi aspettiamo di essere attaccati”.

Anar Gul ha aggiunto che, nonostante siano entrati nella zona dei nuovi gruppi, i responsabili del recente attacco erano i talebani locali. Un comandante talebano di nome Mubarez, ha proseguito, gli ha telefonato dopo che la parte peggiore dei combattimenti era finita. ‘Forza, dove sei? Vieni fuori’ ha detto al telefono. Anar Gul, nascosto dietro un muro nelle vicinanze, ha visto gli uomini di Mubarez sparare a suo figlio e cercare di rubare il suo veicolo, che però non partiva, quindi l’hanno incendiato. “Ho visto tutto” ha detto.

La gente di Kabul, ha continuato, non capisce. “Nei distretti si combatte. Sappiamo come funziona, è la realtà”. Inoltre, lui, come molti altri tra i membri delle ANSF con cui ha parlato l’AAN, era scettico riguardo alle intenzioni di chi presumibilmente invocava la pace. “Entrambe le parti stanno perdendo tempo. Non stanno lavorando in modo onesto per ottenere la pace,” ha proseguito, aggiungendo che “non c’è speranza. Non ci sarà la pace. Anche da vecchio, quando morirò, non avrò mai conosciuto la pace”. Quando gli è stato chiesto se avesse in programma di tornare nell’avamposto dopo essersi ripreso dalla ferita, Anar Gul ha risposto: “Forse ci tornerò, ma solo per la mia gente, non per il governo”.

Civili su un fronte instabile 

Hamesha Gul vive sotto il nuovo avamposto sulla piccola collina tra la strada principale e la Montagna Nera, costruito a metà del 2019. Da allora, ha dichiarato che la sicurezza è migliorata significativamente.

Aveva lasciato il distretto di Khogyani per quello di Surkh Rod diversi anni prima, così i suoi figli non sarebbero stati attirati nella crescente orbita talebana, ma verso la fine del 2018, nel distretto di Surkh Rod, lui e la sua numerosa famiglia si sono trovati in una sorta di terra di nessuno tra le forze governative sulla strada principale e i talebani sul lato opposto della piccola collina dove l’avamposto sarebbe stato costruito. Mortai e lanciagranate portatili anticarro (RPG) spesso cadevano dal cielo ed esplodevano vicino alla loro casa nel villaggio di Ibrahim Khel, diverse volte alla settimana. Nelle mura esterne della casa si possono ancora vedere i fori di proiettile risalenti a quel periodo. Ma è stato un RPG inesploso, preso da uno dei suoi figli mentre andava a scuola all’inizio del 2018, a dare il colpo di grazia alla sua famiglia. La sorella di Hamesha Gul e tre figli sono stati uccisi mentre altri sette sono stati feriti, ognuno dei quali ha perso almeno parte di una gamba, quando uno di loro ha lasciato cadere un razzo fuori dalla porta frontale. 

L’operazione congiunta delle ANSF dell’anno scorso ha portato un sollievo tanto atteso per Hamesha Gul e i membri sopravvissuti della sua famiglia. Indicando con lo sguardo la costruzione del nuovo avamposto, ha dichiarato all’AAN che “la sicurezza era maggiore dopo l’operazione”. Ma, illustrando un andamento simile a quello che la stragrande maggioranza della gente intervistata dall’AAN per il rapporto ha descritto, ha detto che, dall’accordo di Doha, “la situazione è peggiorata”. Gli assalti da parte dei talebani e gli attacchi con i mortai nell’avamposto sono diventati più frequenti. Ora, almeno, lui e la sua famiglia sono dietro il fronte del governo piuttosto che tra i due fronti come prima.

A Khogyani, nonostante le ANSF avessero riconquistato gran parte del distretto l’anno scorso, i talebani sono ancora molto più attivi rispetto ai distretti nei pressi di Jalalabad come Surkh Rod. Il settantaduenne Khairullah ha descritto il modo in cui sua nipote è stata uccisa quando un ordigno è stato lanciato presumibilmente da un velivolo americano mentre tornavano a casa durante i combattimenti nell’area di Wazir Tangi, non molto prima che l’accordo di Doha venisse firmato. Khairullah ha dichiarato che, dall’accordo di Doha, l’incidenza delle bombe di strada e delle uccisioni mirate dei funzionari governativi e dei membri delle ANSF è aumentata. Khairullah ha anche criticato il comportamento degli insorti verso i locali, insinuando che il numero di non afghani tra di loro è cresciuto. “Se chiediamo loro di non combattere vicino alle nostre case, ignorano le nostre richieste. Perquisiscono le macchine e richiedono il pagamento della ushr” (una tassa sul raccolto). Ma la sua rabbia è diretta non solo ai talebani, i quali dice essere responsabili della maggior parte delle violenze recenti, ma altrettanto verso il governo e gli americani, i quali secondo lui dovrebbero fare delle richieste al Pakistan se vogliono veramente mettere fine alla guerra. “Non siamo felici nemmeno del governo,” ha detto. Se la gente avesse fiducia nel governo, Khairullah ha dichiarato, molto probabilmente lo supporterebbe a livello locale. Poi ha suggerito: “Forse avranno successo”.

La sicurezza portata dal governo non dura mai abbastanza a lungo per permettere ai locali di schierarsi seriamente dalla sua parte. Invece, per sopravvivere a lungo termine, si sono tutelati, sapendo per esperienza che il governo non ha né la capacità né le risorse per mantenere la sicurezza sul lungo periodo e che supportarlo ben presto si sarebbe dimostrato controproducente. Tuttavia, Khairullah si oppone ancora ai talebani e, pur essendo vittima di un’operazione militare del governo e degli Stati Uniti, non capisce perché il governo ha rinunciato alla pressione sui talebani dall’accordo di Doha. “Sono inerti e incapaci,” ha affermato. “dovrebbero cominciare di nuovo con i bombardamenti e le operazioni dell’unità 02 delle NDS”.

Nel distretto di Sherzad, il residente quarantenne Wali ha detto che la libertà ritrovata per i combattenti locali e stranieri grazie all’addestramento dei talebani aveva portato più rigore nella riscossione delle tasse, in aggiunta alla ushr del 10% sui raccolti per i contadini, già in vigore da anni. Per un carico di pietre provenienti da una miniera nel distretto di Sherzad, ora viene richiesta una tassa di 20.000 afghani (215 EUR). Tutto fatto allo scoperto, ha detto Wali: “Ora non hanno paura di niente”.

Conclusioni 

Gli atteggiamenti nei confronti dell’accordo di Doha dipendono in larga parte da quale lato del fronte si vive o si combatte. 

Per i talebani e i loro simpatizzanti, l’accordo è visto come una ricompensa per i sacrifici fatti nei 15 anni di insorgenza. Con la riduzione del rischio di essere attaccati delle forze del governo o degli USA, il morale tra i combattenti è risalito. Secondo quelli che hanno parlato con l’AAN, la lotta contro gli Stati Uniti ha portato alla revoca dell’accordo e, allo stesso tempo, ad astenersi dalle operazioni offensive. Ciò porta anche alla prospettiva di una vittoria finale, sia con mezzi politici sia militari, più vicina che mai. Sembra che i combattenti si stiano approfittando dell’assenza di attacchi aerei per rivendicare le strade, lanciare piccoli o medi attacchi contro le ANSF senza superare i propri obblighi dell’accordo di Doha, o altrimenti approfittare della netta riduzione della pressione militare contro di loro. La crescente presenza di combattenti stranieri segnalati nelle province di Maidan Wardak e Nangarhar, tuttavia, è allarmante tanto per i combattenti talebani quanto per i residenti.

Le forze governative sono molto sospettose delle intenzioni degli americani e pensano che gli USA abbiano fatto l’accordo di Doha in mala fede, con scarso riguardo verso le conseguenze per gli afghani stessi. Molti di quelli che hanno parlato con l’AAN vedono l’accordo come un beneficio per gli USA e per i Talebani a scapito del governo afghano e delle ANSF, i cui membri, precisano, muoiono ancora ogni giorno. Molti membri delle ANSF che hanno parlato con l’AAN hanno anche espresso frustrazione per l’improvvisa passività del governo nei confronti dei talebani. Dopo le gravi perdite dei talebani sofferte nell’intensa campagna aerea degli USA dell’anno scorso e la paura portata all’estremo dai raid notturni su larga scala, gli ordini di Ghani dopo Doha, cioè di sola difesa, hanno permesso ai talebani il controllo indisturbato delle aree già sotto il loro dominio e una maggiore libertà di imporsi nelle aree contestate, soprattutto sulle strade maggiori e quelle principali. Per molti funzionari del governo e della sicurezza, senza considerare se l’obiettivo di pace presunto possa essere soddisfatto, i nuovi ordini sono militarmente deboli e politicamente folli.

In questo panorama, i talebani hanno pochi incentivi per ridurre la violenza. Devono difendersi raramente oggi, quindi una riduzione generale nel ritmo delle operazioni, la cosa più vicina che l’insurrezione ha avuto in tempo di inattività, potranno concentrarsi sull’addestramento, consolidare il loro controllo dove possono, pianificare le contingenze future o semplicemente riprendersi. Anche se i talebani non sembrano concentrati sulla conquista territoriale su larga scala per adesso, hanno approfittato della tregua nelle operazioni offensive contro di loro consolidando il loro controllo attorno ai centri urbani che potrebbero voler attaccare in futuro, in particolar modo se la minaccia degli attacchi aerei degli USA è sparita completamente. Nel mentre, l’atteggiamento difensivo attuale rende le ANSF vulnerabili agli attacchi e comporta una crescita del numero di vittime e morale depresso: non è sostenibile. 

a cura di Rachel Reid e Kate Clark

(1) I rapporti precedenti:

Team dell’AAN, Voices from the Districts, the Violence Mapped (1): What has happened since the reduction in violence ended?, 21 marzo 2020;

Kate Clark, Voices from the Districts, the Violence Mapped (2): Assessing the conflict a month after the US-Taleban agreement, 8 aprile 2020;

Reza Kazemi e Fazl Rahman Muzhary, Covid-19 in Afghanistan (4): A precarious interplay between war and epidemic, 19 giugno 2020;

Kate Clark, War in Afghanistan in 2020: Just as much violence, but no one wants to talk about it, 16 agosto 2020.

(2) La letteratura sui pregiudizi cognitivi nella negoziazione descrive ciò come “pregiudizi di auto conferma” o “pregiudizi di memoria,” dove entrambe le parti ricevono informazioni identiche ma ricordano quelle che gli sono più favorevoli. Per saperne di più vedi Andrea Caputo: “A literature review of cognitive biases in negotiation processes” in International Journal of Conflict Management, settembre 2013.   

(3) I due distretti di Wardak nella regione di Hazarajat sono Hesa-ye Awwal Behsud (Behsud 1) e Markaz-e Behsud (Behsud 2).

(4) Molti di quelli indicati come ceceni non sono per forza ceceni, ma piuttosto, come abbiamo riportato, “musulmani stranieri non identificati”. Vedi i rapporti dell’AAN.

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