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Laura Quagliuolo: “Per le donne afghane è fondamentale sapere che non sono sole”

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Pressenza  – Andrea de Lotto – 17 agosto 2021

scuola HAWCA a Kabul 2003 foto Mauro Sioli 820x545

Nel novembre 2017 avevamo intervistato Laura Quagliuolo, attivista milanese del CISDA – Coordinamento Italiano in sostegno donne afghane. Ora torniamo a parlare con lei della drammatica situazione che l’Afghanistan sta vivendo.

Laura, raccontaci più che puoi, anche se immagino tu sia molto presa in questo momento

Ho contribuito a fondare il CISDA, una piccola e attiva associazione di donne che lavorano dal 1999 al fianco di alcune associazioni e ONG di donne afghane per sostenere i loro progetti umanitari e politici. Per il CISDA ho organizzato, insieme alle mie compagne, diversi viaggi in Afghanistan e in Pakistan, tra i rifugiati afghani, per accompagnare delegazioni di donne interessate a vedere con i propri occhi le condizioni in cui versa il paese e a incontrare donne coraggiose che con pochi mezzi e tantissimi rischi lavorano, dal basso, per istruire ed emancipare bambini e donne.

Prima abbiamo iniziato “informalmente”, poi dal 2004 abbiamo dato vita al CISDA e raccolto fondi per i progetti che le stesse donne afghane, soprattutto di RAWA, ci proponevano. Le abbiamo ospitate più volte, donne straordinarie. Non hanno mai voluto lasciare il paese e anche adesso che le condizioni si stanno facendo nuovamente dure vogliono rimanere e lottare.

C’è da dire che le donne di RAWA sono rimaste clandestine anche in questi anni di “presunta democrazia”. Fin da subito loro, e noi con loro, hanno denunciato che coloro che “erano stati messi al governo” erano signori della guerra che in passato avevano ucciso e fatto disastri nella guerra civile tra il ’92 e il ’96 (fino a 70mila morti nella sola Kabul in quegli anni). In questi ultimi decenni non c’è stato nulla di democratico, solo una facciata e i frutti li abbiamo visti adesso.

In tutti questi anni abbiamo cercato, con enorme fatica, di dare voce a queste donne che rimanevano comunque escluse sotto l’occupazione statunitense. Se oggi c’è una grande attenzione, domani torneranno nel dimenticatoio, come è sempre avvenuto.

Facemmo un primo viaggio subito dopo il crollo delle Torri Gemelle, una delegazione con giornalisti, attivisti, parlamentari, fotografi. Da lì è iniziato un lavoro molto grosso, tra le poche testimoni nei campi profughi in Pakistan e in Afghanistan. Abbiamo girato mezza Italia per raccontare quello che succedeva là. La rete è cresciuta nel corso degli anni. Io sono stata una ventina di volte da quelle parti, sempre a nostre spese, visto che siamo tutte volontarie. Abbiamo sempre sostenuto progetti ideati dalle stesse donne afghane, progetti carichi di senso, autosostenibili e in grado di garantire una continuità che spesso altrove manca. Siamo riuscite ad organizzare ogni anno almeno una delegazione, formata da 10-15 persone; ultimamente i numeri erano più ridotti dal momento che la sicurezza era diminuita.

Il vostro riferimento era soprattutto RAWA (Revolutionary Association of the Women of Afghanistan –Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane)?

Si, ma non solo. Per esempio c’è anche Hambastagi, il Partito della Solidarietà, un partito laico; con loro e con altre associazioni abbiamo denunciato il fondamentalismo e l’occupazione delle truppe NATO, per costruire dei progetti di solidarietà dal basso – scuole per le donne, campi di zafferano per le donne, corsi di formazione, consegna di capre alle donne, alle vedove…

Il fatto che RAWA sia rimasta clandestina la dice lunga sugli scarsi passi avanti fatti in questi 20 anni: la sicurezza in quella regione non è mai stata veramente garantita. Ai progetti concreti si affiancava una denuncia politica molto forte che non era certo gradita. Il governo, messo lì dagli occidentali e che ora si è sciolto come neve al sole, ha rubato un’enorme quantità di denaro che arrivava nel paese. I soldi della ricostruzione finivano in corruzione.

Cosa vi chiedono in questi giorni?

Stiamo continuando a sostenerle, diffondendo notizie, raccogliendo fondi; per loro è molto importante sapere di non essere sole, di poter contare su un sostegno esterno forte. La situazione era ed è durissima; la miseria, soprattutto nelle città, è enorme. Migliaia di bambini girano chiedendo l’elemosina. Nel 2019, ultimo anno in cui sono andata in Afghanistan, ho visto campi di sfollati con fogne a cielo aperto, case di fango, senza acqua corrente, luce, assistenza medica. Ricordo che nel paese l’87 % delle donne è analfabeta (il 50% dei maschi). Le donne da sole non possono vivere, devono avere accanto un uomo che sia il marito, il padre o il fratello.

Rawa e altre associazioni di donne in questi anni hanno cercato di fare tutto il possibile perché la situazione delle bimbe, delle ragazze, delle donne, cambiasse; lo sforzo è stato grandissimo. Piccoli esempi di grande innovazione, gruppi sportivi femminili, orchestre di ragazze: lo studio, la cultura, l’arte, la musica, lo sport erano importanti strumenti di liberazione. Era ed è un lavoro certosino che avanzava piano piano, tra un mare di difficoltà.

Queste donne trovavano una “sponda” tra gli uomini?

Si, certo, i loro compagni le sostenevano e le sostengono. In passato, nel primo periodo dei talebani, le donne non potevano muoversi se non accompagnate da un maschio. Il burka le aiutava a nascondersi e i loro compagni le accompagnavano dove volevano andare. Anche nel Partito della solidarietà vi sono uomini che sostengono i diritti per tutti. Poi, certo, sono le donne in primis a lottare per i propri diritti.

Si aspettavano quello che è successo negli ultimi giorni?

Si, certamente. Il governo era corrotto e sempre più debole e impopolare, stava su solo grazie agli eserciti occidentali. I talebani hanno fatto la trattativa con gli Usa, portandosi anche tre donne come biglietto da visita. Esercito afgano, ma in primis presidente e generali, si sono involati in un attimo.

I diritti delle donne sono stati parzialmente rispettati in questi anni, ma quasi solo nelle città e soprattutto a Kabul, che era un po’ la “vetrina”. Nelle zone rurali le violenze verso le donne non si sono mai fermate: violenze in casa, matrimoni forzati, poligamia, minori cedute come spose. Nelle zone che i talebani non hanno mai smesso di governare le donne potevano essere lapidate per adulterio. Insomma, pensare che i diritti delle donne, con la presenza degli occidentali, fossero davvero garantiti, è una sciocchezza, in gran parte in malafede. Tutto questo perché abbiamo messo le persone sbagliate nei posti di comando. Ricordo che tre mesi fa il Ministro dell’Educazione del governo afghano aveva promulgato una legge (respinta per le proteste popolari) in cui si diceva che le donne sopra i 12 anni non dovevano cantare in pubblico. I soldati occidentali si sono ingloriosamente dileguati prima ancora. I talebani, nel frattempo, con la loro propaganda, andavano avanti. Certo che si aspettavano quello che è successo.

Riuscite a mantenere i contatti? Cosa vi raccontano?

Sostanzialmente sì, anche se con qualche difficoltà in più. Ci dicono che nelle province i talebani stanno facendo ben altro da quello che vanno promettendo. Hanno sgozzato soldati e bruciato caserme, mercati, proprietà. Grazie alla propaganda, all’assenza di resistenza, all’ignoranza della popolazione, hanno riconquistato il paese in 10 giorni.

Noi stiamo facendo una raccolta fondi e rispondendo a tutti i giornalisti che ci chiedono informazioni; stiamo chiedendo che si aprano corridoi umanitari, non tanto per le donne di Rawa, che non vogliono lasciare il paese, quanto per gli afghani che stanno rischiando la pelle.

Un’ultima domanda: come vivi tutto questo parlare di Afghanistan sui grandi media?

Mi arrabbio molto: il racconto “italiano” che “noi siamo stati bravi… ecc, ecc” è una falsità. NOI ABBIAMO FINANZIATO da vent’anni tutte le missioni! Non hanno mai ascoltato, tanto meno sostenuto, le voci dei democratici che raccontavano quello che stava succedendo in Afghanistan: corruzione, signori della guerra al potere, oppressione sulle donne, repressione delle voci critiche. L’interesse degli USA non era portare democrazia e libertà per le donne, bensì controllare un paese che strategicamente, geopoliticamente, è fondamentale per controllare Russia, Cina, Pakistan, Iran, il Medio Oriente. Questo era il vero interesse degli USA.

In Afghanistan, come in Libia o in Iraq, ovunque l’Occidente va a mettere le zampe crea terrore e cresce il terrorismo. Il terrorismo si sconfigge con le bombe sui civili? A queste domande devono e dovranno rispondere i nostri governi. Il governo italiano ha speso per le missioni in Afghanistan 8 miliardi e mezzo di euro in 20 anni. Dove sono finiti tutti questi soldi? Tutto questo mi fa arrabbiare, e molto, così come le bugie e le disattenzioni totali verso le realtà democratiche, seppur piccole, ma vere, che si muovono in questi paesi. In Afghanistan c’è il fondamentalismo, certo, ma anche altro, che nessuno ha ascoltato.

E’ il 17 agosto, fa un gran caldo a Milano. Laura mi ha dedicato un po’ del suo tempo prezioso e io la ringrazio. Provo un’enorme stima e rispetto per questa donna che come tante altre è stata vicina a un popolo martoriato, rispetto al quale adesso ci svegliamo. Cerchiamo di recuperare tutti e tutte, quello che troppo poco abbiamo fatto in questi anni.

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