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Centinaia le famiglie italiane pronte ad accogliere i profughi afghani

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«Siamo stati inondati di richieste da parte delle famiglie italiane che si sono dette disponibili ad ospitare in casa i profughi afghani, in pochi giorni ne abbiamo ricevute più di trecento»

Anna Spena – Vita – 26 agosto 2021

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«Siamo stati inondati di richieste da parte delle famiglie italiane che si sono dette disponibili ad ospitare in casa i profughi afghani, in pochi giorni ne abbiamo ricevute più di trecento», racconta Fabiana Musicco, direttrice di Refugees Welcome Italia, organizzazione indipendente che promuove la mobilitazione dei cittadini per favorire l’inclusione sociale dei migranti arrivati in Italia. «L’accoglienza diffusa è un modello che funziona, è praticabile e può crescere velocemente»

Stando ai dati riportati sul sito del Ministero della difesa, aggiornati al 25 agosto, sono 4400 i cittadini afghani evacuati dal Paese con l’operazione Aquila Omnia iniziata lo scorso giugno, i ponti aerei si sono intensificati negli ultimi dieci giorni dopo la presa di Kabul da parte dei talebani. Cosa succede una volta arrivati in Italia? «Il sistema di accoglienza tradizionale non è ancora organizzato con procedure precise», spiega Fabiana Musicco, direttrice di Refugees Welcome Italia, organizzazione indipendente che promuove la mobilitazione dei cittadini per favorire l’inclusione sociale di rifugiati, rifugiate e di giovani migranti arrivati in Italia come minori soli non accompagnati.

«Ma dopo le immagini arrivate dall’aeroporto di Kabul», continua, «siamo stati inondati di richieste da parte delle famiglie italiane che si sono dette disponibili ad ospitare in casa i profughi afghani, in pochi giorni ne abbiamo ricevute più di trecento». Ma come funziona l’accoglienza? Sulla piattaforma di Refugees Welcome, una rete capillare che si è sviluppata in 30 città, ed ha già all’attivo 300 convivenze su tutto il territorio nazionale, è possibile compilare un form e inoltrare la richiesta con la disponibilità ad accogliere.

Due i requisiti: «accettare che la permanenza duri almeno sei mesi e una stanza da mettere a disposizione del rifugiato. Prima di incontrare di persona le famiglie facciamo un colloquio telefonico dove chiariamo che si parla di ospitalità di lungo periodo e poi fissiamo un appuntamento. Con le famiglie, intese in senso lato, facciamo un percorso di formazione, le aiutiamo a comprendere chi sono i rifugiati e da che situazione arrivano. È attraverso le relazioni che si costruiscono comunità diverse, queste sono un fattore decisivo affinché le persone possano sentirsi davvero accolte e orientate alla costruzione del loro progetto di vita».

In un secondo momento «i vari gruppi territoriali fanno un abbinamento tra l’ospitante e l’ospitato», aggiunge Musicco. «Si incontrano, e solo allora firmano il patto di ospitalità. Gli attivisti territoriali sono sempre presenti in tutte le fasi dell’accoglienza». L’esperienza di Refugees Welcome è piccola ma emblematica di quello che in Italia si potrebbe realizzare: «siamo pronti a traferire la nostra metodologia. Le istituzioni dovrebbero fare uno sforzo in più, i comuni sembrano favorevoli ma poi nei fatti il sistema è rigido, burocratico. L’accoglienza diffusa è un modello che può funzionare soprattutto nel nostro Paese dove i flussi migratori – benché spesso si voglia far passare un messaggio diverso – sono bassi, la pressione non è insostenibile.
L’accoglienza diffusa quindi è praticabile e può crescere, in Italia ci sono le competenze per farlo». Tutta la società civile ricorda la necessità di aprire corridoi umanitari: «ma che succederà dopo oggi con l’ultimo ponte aereo? In questi anni sono stati tantissimi gli afghani che hanno lasciato il Paese, profughi oggi bloccati sulla Rotta Balcanica o respinti alla frontiera. La migrazione forzata è una scelta dura, dolorosa. L’Europa perché non accoglie chi è già vicino ai suoi confini?».

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