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Afghanistan, ultima frontiera

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Corriere del Ticino – Venerdì 16 luglio 2021 – DENTRO LA NOTIZIA – Giona Carcano

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Dopo l’Occidente, l’inferno.
L’annuncio di Washington di voler lasciare l’Afghanistan entro fine agosto dopo vent’anni di costosissima e dispersiva guerra potrebbe causare al Paese asiatico danni difficilmente calcolabili. In termini di società, di vite umane, di instabilità politica. È la grande base aerea di Bagram – costruita dagli americani e servita come testa di ponte per far entrare mezzi e uomini in Afghanistan – il simbolo di una terra che rischia di ripiombare in una crisi senza fine, con sanguinose lotte fra etnie e religioni diverse. Bagram oggi è vuota, una città fantasma.
Dall’oggi al domani gli americani sono spariti a bordo dei giganteschi C-5. E dietro di loro, nel vuoto quasi assoluto di potere, hanno lasciato vaste aree nelle mani dei talebani.
Non solo: in queste settimane l’emirato islamico si è impossessato di centinaia di mezzi corazzati dell’esercito americano, abbandonati sul posto perché non valeva più la pena riportarli indietro.

I punti strategici
La nuova espansione talebana in Afghanistan preoccupa. Dopo il crollo dell’argine occidentale, gli estremisti stanno riacquistando sempre più potere, militare e politico. Con la compiacenza del governo di Ashraf Ghani, da sempre morbido nei confronti dei fondamentalisti.
Per capire cosa sta succedendo e quali sono le prospettive del Paese abbiamo contattato Basir Ahang, giornalista, poeta e scrittore afghano di etnia hazara. «In questo momento i talebani stanno avanzando, prendendo il controllo delle aree strategiche», dice dal Regno Unito, dove vive. «L’altro giorno hanno conquistato una zona di confine fra l’Afghanistan e il Belucistan, in Pakistan.
La missione degli Stati Uniti in Afghanistan finirà ufficialmente il 31 agosto. Molte truppe hanno già lasciato il Paese. Una via d’accesso nel sud-est del Paese. Uno snodo vitale, perché d’ora in avanti gli aiuti dei pakistani ai talebani arriveranno più facilmente. Prima, invece, dovevano percorrere tortuose strade di montagna a nord. Ma non arriveranno solo aiuti di tipo militare, bensì anche di influenza. Si parla di trasferire la Quetta Shura (il governo-ombra talebano riparato in Pakistan dopo il collasso del regime in seguito all’arrivo delle forze occidentali, ndr) nel sud del Paese». Un altro problema, come accennato poco fa, riguarda i mezzi lasciati sul posto dalle forze occidentali. Ancora il giornalista: «Quando i talebani arrivano nelle basi lasciate vuote, trovano di tutto. Blindati, fuoristrada, auto. Veicoli americani o della NATO, spesso nuovi di pacca. E queste razzie sono come benzina sul fuoco, accelerano ulteriormente l’avanzata dei fondamentalisti».

I valori ancestrali
I talebani diventeranno sempre più forti. Del resto hanno campo libero, anche perché sono tollerati dall’attuale leadership.
«Da quello che so, Ashraf Ghani non ha nessuna intenzione di combatterli», spiega. «Anzi, il presidente vede in loro una forza armata capace di garantire la dominanza pashtun in Afghanistan, l’etnia da cui proviene lui stesso».
E certi valori ancestrali, l’appartenenza a un’etnia in questo caso, non si dimenticano mai, come ci racconta Ahang.
Difficilmente, quindi, Ghani si metterà contro i talebani. Un problema nel problema, sì, che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa delle minoranze.
«Per Ghani reprimere i talebani significa reprimere la sua etnia. E questo, semplicemente, è inammissibile dal suo punto di vista».

L’esercito infiltrato
In pochissime settimane i talebani hanno conquistato territori e punti strategici. Viene da chiedersi, allora, come sia stato possibile. Emarginati e scacciati dagli occidentali per anni, hanno immediatamente trovato linfa vitale. Come se fossero sempre stati lì, nascosti ma pronti a riprendersi il Paese. «Il comportamento ambiguo
del governo è evidente, anche in questi giorni», dice il giornalista. «Nel nord, forze armate popolari formate da tajiki, uzbeki e hazara hanno lanciato delle offensive contro i
ribelli. Ma il governo non li ha minimamente sostenuti». Un segnale di abbandono totale, che si riflette con la paura di entrare a far parte dell’esercito nazionale o della polizia.
«Chi combatte davvero, sono le forze della resistenza popolare». Ma è dal 2005 che i talebani – prima scomparsi o nascosti sulle montagne al nord – hanno cominciato a riacquistare forza. «Molti intellettuali pashtun hanno dato vita a una profonda campagna di propaganda in favore dei talebani, contagiando anche alcuni giornalisti occidentali. Sono passati per eroi, per liberatori.
Invece sono l’esatto opposto.
Il problema è che negli anni si è dato loro sempre più spazio. Durante un attacco dei talebani, i capi dell’esercito hanno ad esempio l’obbligo di contattare il Ministero della difesa che a sua volta deve chiedere l’autorizzazione a Ghani. Ed è lui a decidere se rispondere all’attacco o meno.
Non ci si sente protetti, nemmeno fra i soldati. Anche perché nelle stesse forze armate sono presenti infiltrati talebani, e questo già all’epoca della presidenza di Hamid Karzai».
Un meccanismo distorto costato la vita, secondo Ahang, a 70.000 soldati. «Più del 90% di loro sono morti perché, quando sono stati attaccati, non hanno ricevuto alcun appoggio del governo. Sono stati lasciati morire durante gli assedi». Altri, invece, sono morti per mano di soldati talebani infiltrati. «Come a Mazar-i- Sharif il 25 aprile 2017, quando vennero ammazzati più di 190 fra soldati e ufficiali», ricorda Ahang.

Non resta che combattere
La prospettiva del disimpegno totale degli americani lascia le etnie minoritarie senza alcun appoggio di fronte ai talebani.
«Gli hazara, storicamente perseguitati, patiranno», sottolinea Ahang. «Già sotto il regime talebano ci furono massacri contro questa popolazione. C’è un odio che non scomparirà mai, anche di natura religiosa (gli hazara sono sciiti, ndr)». Le prospettive sono dunque cupe, per l’intero Afghanistan.
«Per i tajiki, gli uzbeki e gli hazara questo è un momento drammatico», ribadisce. «Per salvarsi sono obbligati a imbracciare le poche armi e combattere i talebani. Verrà versato
sangue, ancora e ancora, in quello che rischia di diventare un nuovo genocidio».

Le donne, le più esposte
Nel drammatico scenario dipinto da Basir Ahang riguardo alle minoranze etniche e religiose, va inserita una componente ancora più sensibile e indifesa: la donna. La figura femminile in Afghanistan subisce da decenni soprusi di ogni genere.
Soprusi mai sopiti nemmeno con l’occupazione americana nel Paese, ma che ora potrebbero tragicamente esplodere. «Innanzitutto non bisogna commettere l’errore di pensare che con gli americani la condizione della donna fosse migliore», dice Cristiana
Cella, scrittrice, giornalista e parte del CISDA (coordinamento italiano sostegno donne in Afghanistan). «Si tratta di una favola che viene raccontata in questi giorni. La realtà è un’altra: sono vent’anni che le donne laggiù vivono in condizioni tremende, raccapriccianti.
Poco è cambiato dagli anni Novanta. Il paradosso è che ci sono leggi fatte e pensate per le donne, ma non vengono applicate. Le leggi in uso sono un insieme di leggi tribali, sharia e fondamentalismo.
L’87% delle donne afghane ha subito violenza, mentre fino all’80% dei matrimoni sono forzati. La situazione quindi è catastrofica. Salvo certe oasi in cui i diritti delle donne vengono rispettati, nel resto del
Paese la donna deve lottare ogni giorno contro i soprusi.
La resistenza c’è, ci sono organizzazioni di donne afghane che combattono da 40 anni. Hanno resistito ai russi, ai talebani, agli americani. Resisteranno ancora, ne sono certa, perché sono donne che sanno cavarsela in qualsiasi situazione». Resistere, provare a cambiare il mondo, passa da un concetto basilare.
Ancora Cella:
«I talebani vogliono distruggere l’istruzione, perché dove c’è ignoranza il fondamentalismo può galoppare. E quei gruppi di donne come la RAWA (Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan, risalente agli anni Settanta, ndr) provano clandestinamente a istruire altre donne.
Ci vorrà tempo, tantissimo tempo. Ma la speranza è che l’istruzione, la cultura, la luce possano vincere contro l’ignoranza, l’analfabetismo, l’oscurità portati dai fondamentalisti».

Afghanistan, ultima frontiera
VOCI DAL CAOS / Con la partenza delle truppe americane il Paese sta sprofondando nelle mani dei talebani – Il governo Ghani non interviene
Il giornalista e scrittore Basir Ahang: «Le prospettive sono cupe, in particolare per le minoranze etniche e religiose: si rischia un nuovo genocidio»

La situazione
Le condizioni per il cessate il fuoco dei fondamentalisti

La proposta
I talebani hanno proposto un cessate il fuoco di tre mesi in cambio del rilascio di 7.000 prigionieri detenuti nelle carceri afghane. Lo ha reso noto ieri Nader Nadery, negoziatore del governo. «È una grande richiesta», ha commentato, aggiungendo che gli insorti chiedono anche che i nomi dei loro leader vengano rimossi dalla lista nera delle Nazioni Unite.

Le minacce di morte

In questi giorni Basir Ahang ha ricevuto decine di minacce di morte, in particolare via Twitter.
«Il 90% di questi account appartiene a persone afghane che vivono in Europa, in particolare in Germania», commenta il giornalista.
«Spesso si tratta di ragazzi giovanissimi, emigrati di recente.
Fanno propaganda, reclutano altri talebani e minacciano chi prova a resistere. Sono soggetti pericolosi, perché profondamente ignoranti. E l’ignoranza mista al fondamentalismo può portarli a compiere atti assurdi. Le bandiere dei terroristi possono venir alzate ovunque, anche nel cuore dell’Occidente».
Negli ultimi giorni i talebani hanno preso il controllo di vaste aree del Paese. L’avanzata dei ribelli viene facilitata dai mezzi militari abbandonati dagli americani

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