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Afghanistan, i colloqui di pace tra governo e talebani non fermano la strage di civili. Oltre tremila bambini uccisi solo nel 2019

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Valigiablu.it – Roberta Aiello – 31 gennaio 2021

attentato

Zarifa Ghafari ha 27 anni. È la sindaca di Maidan Shar, la capitale della provincia di Wardak, nel cuore dell’Afghanistan. È la più giovane prima cittadina di tutto il paese. Dal lunedì al sabato fa la pendolare da Kabul, dove abita, a Maidan Shar, dove lavora, e ritorno. Per spostarsi è costretta a percorrere la National Highway 1, costruita dagli americani dopo decenni di guerra.

Diciassette anni dopo il completamento l’autostrada è sotto l’attacco costante dei talebani. «Ogni volta che esco penso che potrebbe essere il mio ultimo viaggio», racconta Ghafari a Rolling Stone. «Questa strada così pericolosa potrebbe decidere il mio destino».

«Ai talebani piace nascondersi dietro gli alberi e le case lungo la strada e attaccare», prosegue la donna, guardando all’esterno dai finestrini crivellati di colpi della sua auto. «Può succedere di tutto».

Da quando è diventata una delle prime donne a ricoprire la carica di sindaco in Afghanistan, Ghafari è sopravvissuta a diversi tentativi di omicidio, incluso uno a marzo dello scorso anno, quando uomini armati hanno colpito con vari proiettili la sua Toyota, a Kabul, mancando di poco il fidanzato.

 

Dopo mesi di richieste ignorate, il governo le ha finalmente fornito un veicolo blindato per muoversi. «Se i talebani ne avranno la possibilità, sicuramente mi uccideranno», dice. «Sono nella loro lista nera».

La vita di Ghafari, come per la maggior parte delle donne nel paese, non è stata semplice. Da bambina è stata costretta a frequentare in segreto una scuola per ragazze. Nell’era post-talebana ha conseguito una laurea in economia e ha lanciato un’emittente radiofonica, finanziata dagli Stati Uniti, rivolta alle donne. Nel 2018, il presidente Ashraf Ghani l’ha scelta tra 137 candidati uomini come sindaca di Maidan Shar, capitale di una provincia strategicamente importante al confine con Kabul, dove i talebani godono di sostegno. «Tutto quello che avevo da offrire era il mio talento e la mia istruzione», conclude. «Nient’altro».

Lo scorso 5 novembre il padre di Ghafari è stato ucciso in un attacco di fronte alla sua abitazione. Non si è risaliti agli autori dell’assassinio. Per la figlia l’uomo è stato ucciso dai talebani.

Attualmente i talebani controllano o si contendono quasi metà del paese, comprese ampie parti della Highway 1, e continuano a guadagnare terreno dopo la firma dell’accordo di pace con gli Stati Uniti, sottoscritto a Doha il 29 febbraio 2020, che prossimamente sarà rivisto dall’amministrazione americana appena insediatasi. In cambio di un vago impegno a ridurre le ostilità, a non ospitare gruppi terroristici come Al Qaeda e a partecipare ai colloqui di pace – per porre fine alla guerra nel paese – con il governo afghano, l’amministrazione Trump si era impegnata a un ritiro completo delle truppe. Ad oggi, però, sono presenti nel paese ancora 2.500 unità.

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Il 5 gennaio è iniziata a Doha la prima sessione del secondo ciclo di colloqui intra-afghani, dopo tre settimane di pausa, senza che vi siano stati annunci significativi sul loro andamento.

I negoziati, tuttavia, sono segnati da un’ondata di incessante violenza, con un aumento di uccisioni di funzionari, giudici, giornalisti e attivisti che il governo attribuisce ai talebani.

A margine dei colloqui di pace Waheed Omar, portavoce del presidente afghano Ashraf Ghani, ha dichiarato che “i talebani non solo non hanno ridotto la violenza, ma l’hanno aumentata” per incutere paura e aumentare la tensione nel governo.

Per i talebani, l’obiettivo di questi attacchi potrebbe essere duplice: compromettere la fiducia dell’opinione pubblica nelle autorità ed eliminare fisicamente chi potrebbe opporsi alla loro visione di giustizia, specialmente se dovessero tornare al potere grazie all’accordo di pace.

Ad ogni modo, il gruppo continua a negare le accuse di paternità degli omicidi.

«I dipendenti del governo, delle istituzioni, delle organizzazioni e gli attivisti della società civile e le persone non sono mai stati nella nostra lista di obiettivi. I nostri mujaheddin non sono coinvolti nella loro uccisione», ha detto al New York TimesZabihullah Mujahid, un portavoce dei talebani. «Abbiamo condannato queste uccisioni e respingiamo qualsiasi coinvolgimento».

Secondo i dati pubblicati all’inizio di quest’anno dal New York Times il 2020 è stato uno degli anni più sanguinosi in Afghanistan.

Nonostante la mancanza di dati ufficiali, il quotidiano americano ha documentato la morte di 136 civili e 168 membri delle forze di sicurezza.

Sebbene molti omicidi non siano stati rivendicati, i principali indiziati restano i talebani, nonostante altri sostengano che i responsabili possano essere membri di fazioni governative o militanti dello Stato Islamico (IS) che scatenano il caos per regolare vecchi conti sospesi.

Nell’articolo il New York Times evidenzia, però, come gli attacchi non seguano la precedente strategia dei talebani che prendeva di mira funzionari di alto profilo. Gli attentati non rivendicati, infatti, hanno coinvolto giornalisti, funzionari pubblici e operatori per i diritti umani, nonché soldati semplici.

Lo scorso 13 gennaio, alla presentazione del rapporto annuale 2021 Human Rights Watch (HRW) ha affermato che, nel 2020, l’Afghanistan ha continuato ad essere il paese in cui si registra il più alto numero di vittime tra i civili a seguito di attacchi, soprattutto da quando sono partiti i colloqui di pace tra il governo afghano e i talebani.

Secondo la ONG i talebani sono i principali autori di attentati con ordigni esplosivi improvvisati (IED) che hanno causato morti e feriti tra i civili. Anche il governo afghano, per quanto in misura inferiore, ha provocato decine di vittime e feriti tra la popolazione, così come il gruppo armato dello Stato Islamico.

Donne e bambini afghani rappresentano la metà di tutte le vittime coinvolte.

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“Mentre i combattimenti proseguivano, mentre i colloqui di pace facevano fatica a decollare, tutte le parti del conflitto in Afghanistan hanno continuato a causare terribili danni ai civili”, ha detto Patricia Gossman, direttrice associata per l’Asia di Human Rights Watch. “I paesi che sostengono il processo di pace dovrebbero mettere pressione affinché siano assunti impegni chiari per proteggere i civili e sostenere i diritti umani, in particolare i diritti delle donne, il diritto all’istruzione e a sostegno della libertà dei media”.

Il primo ciclo di colloqui dei negoziati intra-afghani era iniziato il 12 settembre. Per tutto il 2020, gruppi per i diritti delle donne afghane e altri attivisti hanno chiesto di poter essere rappresentati nel corso degli incontri con i talebani per preservare le garanzie costituzionali sull’uguaglianza e altri diritti delle donne in diversi ambiti.

Ai talebani HRW ha attribuito una serie di attacchi a giornalisti, tra cui quello che ha colpito Mohammad Ilyas Dayee, che lavorava per Radio Free Europe/Radio Liberty, ucciso da una bomba magnetica il 12 novembre. Ma i giornalisti – secondo l’ONG – hanno subito minacce anche da funzionari governativi.

Che la situazione in Afghanistan continuasse ad essere estremamente pericolosa lo avevano affermato, già a giugno 2020, le Nazioni Unite dichiarando il paese, per il quinto anno consecutivo, il più letale del pianeta per i bambini, seguito da Siria e Yemen.

Nel suo rapporto annuale sui bambini nei conflitti armati, il segretario generale delle Nazioni Unite ha infatti riferito che più di 3.000 bambini afghani sono stati uccisi nel 2019 e circa altrettanti sono rimasti feriti in maniera devastante da combattimenti, ordigni esplosivi improvvisati e attacchi suicidi.

Più di 1.200 vittime sono state attribuite ai talebani, mentre le forze governative e filogovernative, tra cui l’Esercito nazionale afghano e le Forze di difesa e sicurezza nazionali, sarebbero responsabili di circa mille morti.

Se 2019 e 2020 sono stati anni ancora segnati da primati tragici, il 2021 si è aperto sulla scia dei precedenti.

Domenica 17 gennaio due donne giudici che lavoravano presso la Corte suprema afghana sono state uccise da uomini armati non identificati mentre si recavano a lavoro.

Qadria Yasini, 53 anni, e Zakia Herawi, 34 anni, sono state uccise da colpi di arma da fuoco in un’imboscata tesa al mattino che ha coinvolto anche l’autista rimasto ferito.

L’attacco è avvenuto nella zona di Qala-e-Fathullah, a Kabul, e non è stato rivendicato.

Il quotidiano locale Tolo News ha riferito che testimoni oculari hanno visto due uomini su una motocicletta aprire il fuoco sull’auto.

La Corte suprema dell’Afghanistan era già stata obiettivo di un attacco nel febbraio 2017 quando un attentato suicida nel parcheggio dell’edificio ha ucciso almeno 20 dipendenti e ne ha feriti 41.

Secondo quanto riportato dall’associazione indipendente, con sede a Kabul, Afghan Peace Watch dall’inizio dell’anno al 20 gennaio sono state 40 le persone uccise. Altre se ne sono aggiunte nei giorni scorsi.

Tra le vittime degli attacchi il vice governatore di Kabul, il caporedattore di un’emittente radiofonica nella provincia di Ghor e un’attivista per i diritti delle donne nella provincia di Kapisa.

«Questa campagna di omicidi è focalizzata sull’uccisione delle menti dell’Afghanistan”, ha detto Habib Khan, fondatore di Afghan Peace Watch. «Quello che sta accadendo può creare un vuoto che richiederà decenni per essere riempito».

 

 

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