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Afghanistan: fame o diritti

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ISPI Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 14 settembre 2021 telegram 14.09 upd

ONU vs talebani

1,2 miliardi di dollari in aiuti per l’Afghanistan: questa è la cifra concordata dai rappresentanti di circa 40 paesi donatori, riunitisi ieri a Ginevra. Si tratta del doppio di quanto l’ONU aveva indicato come somma necessaria entro fine anno per scongiurare una carestia che avrebbe colpito circa un terzo della popolazione afghana.

Neanche un centesimo passerà però dalle casse del governo talebano: i finanziamenti saranno gestiti direttamente dalle Nazioni Unite. Tuttavia, il regime può sempre ostacolare e fermare l’azione dell’ONU nel paese se non ottiene ciò che vuole. Un vero e proprio dilemma per la comunità internazionale: come evitare una crisi umanitaria senza però dare ai talebani legittimità e risorse.

Bastone e carota

Con la nascita dell’emirato islamico, governi occidentali e istituzioni internazionali hanno sospeso gli aiuti umanitari, che rappresentavano il 40% del PIL afghano (77 i miliardi di dollari ricevuti negli ultimi vent’anni). Da questi fondi dipendeva il sostentamento di circa la metà della popolazione, ora esposta alla povertà estrema anche a causa della grave siccità che ha spazzato via il 40% del raccolto di grano del paese.

Ma l’Occidente non vuole (ancora) sbloccare i 10 miliardi di dollari delle riserve della banca centrale afghana, congelati all’estero (in gran parte negli Usa): uno strumento chiave per fare pressione sui talebani e costringerli a un impegno condizionato. Soldi, in cambio del rispetto dei diritti di base degli afghani. Good luck…

The Terminal

Altra questione chiave riguarda l’ingresso degli aiuti umanitari in Afghanistan (e l’uscita delle persone ancora da evacuare). Turchia e Qatar stanno lavorando per garantire il ripristino completo del traffico aereo nel paese ma, a causa dell’opposizione talebana, non possono assicurare le condizioni base di sicurezza, attualmente precarie come dimostrato dal caotico ritiro di fine agosto.

Ritiro di cui ieri e oggi Blinken ha risposto al Congresso USA: tra prevedibili accuse alla presidenza Trump (“abbiamo ereditato una scadenza, non un piano”) e riferimenti alla Cina (“ci avrebbe voluti distratti lì per un altro decennio”), l’amministrazione Biden è oggi costretta a cercare di ripulire la propria offuscata immagine internazionale. La gestione del dialogo “obbligato” con i talebani sarà il primo banco di prova.

 

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