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Per la liberazione di Reber Apo e la difesa della rivoluzione delle donne

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ReteJin – marzo 2020

Marcia2020 copy Una testimonianza di una compagna della Retejin che ha partecipato alla LongMarch2020 per la liberazione di Reber Apo Ocalan e la difesa della rivoluzione delle donne.

“Se Reber Apo [Abdullah Öcalan], il leader del movimento di liberazione kurdo chiuso in un carcere, fosse un giardiniere, mi aspetterei che il suo giardino fosse selvaggio e colorato, uno spazio che si estende oltre i suoi confini con uno splendido mix di verdure, alberi, fiori e vigne. Pensando ai suoi scritti sulla trasformazione politica, lo immagino come un permaculturalista [permanente + cultura], capace di creare un giardino che asseconda la saggezza della natura […] e non destinato all’autodistruzione, come tende a essere il sistema corrente.”  da Make Rojava Green Again, 29 luglio 2019”

 

Öcalan è un leader rivoluzionario, ha guidato la ventinovesima ribellione dei kurdi degli ultimi 100 anni e, nonostante le condizioni di isolamento che gli sono state imposte, è anche colui che tra il 1993 e il 2013 ha dichiarato più volte cessate il fuoco unilaterali, offrendo una soluzione politica che lo stato turco non ha mai voluto accettare; invece, in tutti questi anni, il popolo kurdo ha visto solo una violenta repressione e la negazione di tutti i suoi diritti.

Sono passati 21 anni e Reber Apo è ancora prigioniero dello stato turco, in isolamento. Perché vedesse una volta i suoi avvocati e familiari, la deputata dell’HDP Leyla Güven è rimasta in sciopero della fame dal 7 novembre 2018 al 26 maggio 2019 e come lei centinaia di prigionieri politici in Turchia e decine di attivisti kurdi in tutta Europa.

Il confederalismo democratico, progetto politico e sociale di Öcalan, è l’unica possibilità per i popoli del Medio Oriente di trovare pace, nel rispetto di tutte le genti che lo abitano, nel rispetto dell’ambiente e soprattutto grazie al ruolo di primo piano assegnato alle donne.

Perché Öcalan torni libero è necessario far sentire le nostre voci, chiedere giustizia, puntare il dito contro le istituzioni europee che si limitano a qualche dichiarazione di circostanza quando lo stato turco, per mano del suo potente esercito, uccide, invade, distrugge, ma che nei fatti non fanno nulla per fermare la mano dell’assassino Erdogan, il quale ricatta un intero continente con la questione dei migranti, e che per massacrare i kurdi continua ad acquistare armamenti sofisticati, garantendo ricchi affari ai diversi paesi della UE.

Ho deciso di partecipare alla lunga marcia 2020 per sentirmi vicina alle compagne e ai compagni, per poter gridare la mia rabbia contro questa grande ingiustizia.

Ci incontriamo il 9 febbraio, a Saarbrücken, una cittadina tedesca a pochi chilometri da Lussemburgo, sede della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, da dove, la mattina del giorno seguente, avrà inizio la marcia. Veniamo accolti e accolte con calore nella sede della comunità kurda che, via via che passano le ore, si riempie di voci e di abbracci; ci sono compagni e compagne da ogni parte del mondo (Spagna, Francia, Svizzera, Germania, Italia, Belgio, Portogallo, Slovenia, USA, Canada, Australia, Sud Africa, Svezia, Cile, Messico, Regno Unito…): ciascuno porta con sé la sua esperienza, la sua lotta e le sue speranze. Si parla con tutti e tutte, ci si presenta, ci si racconta intorno a un çay e a uno spuntino a base di pomodori, olive, formaggio e pane.

Le compagne e i compagni che organizzano la marcia, anche loro provenienti da ogni parte del mondo, sono splendidi, si prendono cura di noi, ci spiegano ogni passaggio, ci danno suggerimenti e ci affiancano con intelligenza, pacatezza, discrezione, facendoci sentire sempre coinvolti, accolti e partecipi; non si comportano da capi, ma da compagni di strada.

Un gruppo di compagni kurdi più anziani non ci fa mai mancare tè, caffè, generi di conforto, pranzi e cene. Le soste nei paesi e nelle città che attraversiamo sono sempre riscaldate da musiche, danze, chiacchiere e çay.

La prima sera, a Guenange, nella palestra in cui dormiremo, dopo il saluto del sindaco si formano le comuni, ciascuna composta da 10/12 compagni e compagne che alla fine di ogni giornata si confronteranno in un tekmil, per dirsi che cosa ha funzionato e cosa no durante la marcia e durante le soste, per fare delle proposte; poi i portavoce di ciascuna comune riferiranno agli altri i problemi emersi per trovare, insieme, le modalità per risolverli.

Si formano anche delle commissioni: una si incarica di preparare lo striscione degli internazionalisti (il cui slogan sarà WE ARE YOUR MOUNTAINS, con i nomi di tutti i paesi da cui proveniamo, per richiamare il detto KURDS HAVE NO FRIENDS BUT THE MOUNTAINS – i kurdi non hanno amici se non le montagne) e l’altra di stilare un comunicato da leggere l’ultimo giorno, dal palco della grande manifestazione di Strasburgo.

Ogni decisione viene condivisa, ciascuno e ciascuna può esprimere il suo pensiero, chiedere modifiche e aggiustamenti.

Sperimentiamo come funziona vivere in una comunità con i principi del confederalismo democratico.

Durante la marcia siamo accompagnati da due furgoni, uno per portare i nostri zaini, uno per le provviste e il çay e da un camper, per chi sente la necessità di fare una pausa dal freddo e dalla pioggia.

Ogni sera sono previste attività e incontri sull’importanza di Öcalan per il movimento delle donne kurde e su come si è sviluppata la jineology, la scienza delle donne, sulle ragioni della resistenza fatta attraverso gli scioperi della fame (raccontata dalla voce di chi ha portato avanti un lungo sciopero in Europa), sul significato e le modalità del tekmil, sui principi della jineology, sul confederalismo democratico e la attuale situazione politica in Rojava e nell’area.

Una delle sere è prevista l’anteprima assoluta di Ji bo azadiyê (Il finale sarà spettacolare – https://www.facebook.com/filmjiboazadiye/), di Ersin Çelik, un film sull’assedio di Sur (il quartiere più antico di Amed, assediato e devastato dall’esercito turco nel 2016) che ha visto la durissima e dolorosissima resistenza di pochi compagni e compagne. E poi una riunione tra sole donne, un concerto di musica kurda, una serata in cui ciascuno poteva presentare una canzone, una danza, una poesia, una testimonianza della resistenza passata e presente del suo paese, e un’altra sera in cui abbiamo potuto raccontarci di noi, delle nostre lotte per la terra, per la giustizia, per la casa, contro la guerra…; è uscita una ricchezza immensa, che andava a comporre uno splendido mosaico di storie di resistenza e di speranza, qualcosa che poteva assomigliare a un “giardino selvaggio e colorato”.

Venerdì, a Strasburgo, il giorno prima della manifestazione, c’è stato l’incontro con altri due spezzoni di marcia, uno arrivava dalla Svizzera e uno dalla Germania. L’arrivo di ogni spezzone è stato accompagnato da slogan, abbracci e strette di mano, musica, danze e molta emozione; poi abbiamo sfilato per le vie di Strasburgo e la sera una grande festa, tutti insieme, per prepararci al grande corteo del giorno successivo.

Sono grata ai compagni e alle compagne per questa esperienza, che che mi ha donato molto e mi ha dato la forza di andare avanti e continuare a contribuire, come posso e come so, alla lotta globale contro il patriarcato e il capitalismo.

#bijiRojava #bijiReberApo

Laura

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