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La «guerra» ecologica dei giovani del Friday afgano

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Reportage. In Afghanistan non esiste una cultura ambientalista Gli attivisti universitari di «Oxygen» puntano a sensibilizzare le scuole

Giuliano Battiston, Il Manifesto, 13 agosto 2020

Abbiamo scelto il nome Oxygen perché quel che più ci manca qui è l’ossigeno, l’aria pulita, la libertà di respirare”. Ventitre anni, modi svelti e parlantina facile, Faredeen Barakzai arriva di fretta al Gol-e-Sang Center. In un piazzale circondato da vecchi container dipinti con colori pastello, ragazzi e ragazze provano numeri circensi, si passano di mano in mano birilli e palline, qualcun altro oscilla su alti trampoli, mentre una ragazza scatta fotografie. Siamo nel quartiere di Dehbori, a due passi dalla Kabul University, nella struttura che ospita anche la sede di Oxygen, la sezione locale di Friday For Future, la rete ecologista formatasi grazie all’attivista svedese Greta Thunberg.

Del comitato di Oxygen fanno parte 25 membri attivi, spiega Faredeen, “perlopiù giovani studenti e studentesse universitarie”, ma i volontari e simpatizzanti sono molti di più. “Ci riuniamo due volte alla settimana e pianifichiamo le attività, soprattutto formazione e sensibilizzazione”. Faredeen Barakzai snocciola numeri su numeri. Sono migliaia i bambini e i ragazzi coinvolti nei workshop promossi da Oxygen. Leggi tutto

“Quel che manca in Afghanistan è la cultura ecologista”, racconta Abdul Basir Bahksai, 21 anni, studente al dipartimento di Arte della Kabul University. “C’è molta ignoranza, non si pensa al domani, noi invece sappiamo quanto sia importante agire oggi per affrontare i problemi ambientali, già enormi”. In Afghanistan i danni legati al cambiamento climatico e allo sfruttamento intensivo delle risorse sono tanti: periodi di siccità sempre più prolungati e frequenti, piogge torrenziali, alluvioni, falde acquifere ridotte, inquinamento dell’aria. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari umanitari (Ocha), nel 2019 più di mezzo milione di persone ha dovuto abbandonare la propria casa a causa delle condizioni estreme del clima. Mentre per il Development Programme dell’Onu, tra 10 anni degradazione del suolo e desertificazione avranno effetti su più di un terzo dei 38 milioni di abitanti del Paese. Le istituzioni sono consapevoli dei rischi, ma i fondi scarseggiano. Così il governo punta sui programmi di informazione, tanto che l’Agenzia nazionale per la protezione ambientale (Nepa) nel 2019 ha siglato un accordo perfino con il ministero per gli Affari religiosi: agli ulema governativi è affidato il compito di sollevare questioni ambientali durante i loro sermoni.

Lo fanno anche i ragazzi e le ragazze di Oxygen, con metodi diversi. “Usiamo il teatro per raggiungere bambini e gente senza istruzione”, continua Abdul Basir Bahksai, che racconta di spettacoli sui rifiuti e sul cambiamento climatico, di forte impatto emotivo, portati negli asilo nido o nei parchi. Al fondo, l’idea che occorra innanzitutto trasmettere saperi, conoscenze. Shahla Jawid, 24 anni, studentessa universitaria al quarto anno di Farmacia alla Kabul University, ha aderito a Oxygen per rendersi utile, “per mettere le mie capacità a disposizione degli altri”. Ha seguito un percorso graduale e preciso: “Learn, Act, Impact, impara, agisci, cambia le cose. Nei primi due-tre mesi studiamo molto, poi forniamo le conoscenze agli altri, attraverso incontri, workshop, manifestazioni”.

Organizzare una manifestazione a Kabul, città con un tasso di crescita urbanistica del 14% annuo, non è scontato. “Le elezioni, un attentato, la visita di un diplomatico straniero, la sicurezza: la polizia trova sempre una ragione per non darci il permesso, ma abbiamo imparato a prendere le misure”, racconta Faredeen Barakzai con un pizzico di ironia. Per Shahla Jawid le manifestazioni sono essenziali: “ci aiutano a rendere visibili i temi che ci stanno a cuore, ma anche a capire la gente”. Gli attivisti di Oxygen hanno organizzato anche iniziative simboliche: “travestiti” da alberi per le vie della città per ricordare l’importanza di piantare e prendersi cura degli alberi; installazioni artistiche realizzate con i rifiuti nei parchi-cittadini per invitare i cittadini a riciclare; corse in bicicletta con il megafono per dare consigli; grandi striscioni per combattere l’inquinamento dell’aria, uno dei problemi più sentiti nella capitale afghana, soprattutto in inverno.

“D’inverno si brucia di tutto per riscaldarsi”, nota con disappunto Shahla Jawid, “plastica, stracci, pneumatici, carbone e benzina di bassa qualità, rifiuti”. Il risultato è allarmante. In inverno, l’indice di qualità dell’aria (Aqi) supera quota 300, un valore considerato rischioso per la salute. La concentrazione di PM2.5 è di 57 micrometri/m3, molto superiore alla soglia massima raccomandata di 10 micrometri/m3. Secondo il rapporto “State of Global Air 2019” realizzato dall’Health Effects Institute di Boston, nel Paese nel 2017 ci sarebbero state 26.000 morti riconducibili all’inquinamento dell’aria, mentre sono state circa 3.500 quelle causate dalla guerra nello stesso anno. Nella sola Kabul i morti per inquinamento sarebbero circa 3.000 ogni anno. Numeri confermati dal ministero della Salute pubblica, che registra sempre più casi di pazienti con problemi respiratori e cardiovascolari. “La guerra non è il problema più importante. Alla guerra si può mettere fine con un accordo politico, ma i cambiamenti climatici possono essere irreversibili”, sintetizza con efficacia Qais Morshid, 23 anni, attivista di Oxygen e studente di Relazioni internazionali.

Non tutti i cittadini di Kabul la pensano così: “qualcuno ci incoraggia ad andare avanti, qualcuno ci aiuta a raccogliere l’immondizia in giro per la città, ma altri dicono che perdiamo tempo, che i problemi veri sono altri. Ognuno può fare la sua parte. Anche qui in Afghanistan”, conclude Somaya Jafari prima di tornare a disegnare i manifesti per le prossime iniziative pubbliche. A partire dal Global Day of Climate Action indetto dalla rete Friday For Future per il 25 settembre.

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