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Il leader curdo resta nella galera turca in beffa alla Corte sui diritti umani.

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Remocontro – 26 dicembre 2020 

Denìmitras carcereIl presidente turco Erdoğan ha respinto la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che chiedeva l’immediata liberazione del leader curdo Selahattin Demirtaş. «Sentenza non è vincolante per Ankara», per il presidente, che accusa la Corte di parzialità anti turca.

L’antiterrorismo contro opposizione e dissenso

Che la Turchia sia ormai una democrazia formale a regime autoritario, è noto al mondo. A stupire ormai, è l’accelerazione senza alcun ritegno formale del dispotismo anche personale del presidente a poteri ormai assoluti. Selahattin Demirtaş, l’oggetto della sentenza della Corte europea, è da 4 anni chiuso in una cella di massima sicurezza in un carcere turco, in attesa di processi dall’accusa di terrorismo. Demirtaş è leader e fondatore del Partito democratico dei popoli (HDP), organizzazione di sinistra filocurda, al momento del suo arresto, il 4 novembre 2016, era parlamentare e presidente del suo partito, «impegnato a traghettare la galassia del movimento curdo e quella per i diritti umani sul terreno della lotta politica civile e pacifica», scrive Mariano Giustino sull’HuffPost.

Le ‘celle bara’ per presunti terroristi

Da oltre quattro anni in una cella di ‘tipo F’, del carcere di massima sicurezza di Edirne. Le ‘celle bara’, 12 metri quadrati  per tre detenuti, completamente isolate da tutti gli altri bracci del penitenziario. Lo spazio all’aperto, a cui si accede dalla stessa cella, è costituito da un micro cortile circondato da alte mura. Le colpe di Demirtaş? È accusato di aver incitato alla violenza e di aver invitato la popolazione di Diyarbakir  a marciare per protesta contro il coprifuoco, imposto nell’ottobre 2014. È inoltre accusato di aver citato il PKK e il suo fondatore Abdullah Öcalan –un mito tra la popolazione curda- durante i suoi comizi. Nel 2018, Demirtaş viene condannato a 4 anni e 8 mesi di carcere per “propaganda per un’organizzazione terroristica”. Ora sono in corso i processi per altri capi di imputazione a rischio di ergastolo.

‘Chi se ne frega’ di Erdogan anche in casa

Quando il 2 settembre 2019 la 19ª Corte d’Appello di İstanbul, caduta l’accusa più grave di “appartenenza ad un’organizzazione terroristica armata” , si era espressa per la sua liberazione, fu subito formulata una nuova accusa di terrorismo. E in piana pandemia, giugno 2020, la Corte costituzionale turca ha ritenuto il periodo di detenzione irragionevole e ha stabilito un risarcimento per lui per danno morale di 50 mila lire turche. Ma lui resta in carcere. Ora la sentenza di scarcerazione della Grand Chambre, formalmente vincolante, ma Ankara fa valere una presunta prevalente giurisdizione delle Corti turche. «Il presidente Erdoğan non considera affatto che il suo paese è firmatario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e membro del Consiglio d’Europa».

Detenzione politica a interesse personale

Secondo la Corte europea, Demirtaş è ancora in ‘custodia cautelare’ perché il leader curdo è visto dal presidente turco come un pericoloso concorrente nelle dinamiche politiche interne. Nel 2012 nasce il Partito democratico dei popoli (Halkların Demokratik Partisi, HDP). E l’HDP diventa la terza forza politica del paese, riuscendo ad estendere la propria influenza oltre i confini del sudest anatolico a maggioranza curda. Una forza politica capace di raccogliere il consenso delle minoranze etniche, religiose e sociali di tutto il paese. Uno dei tre partiti che riescono a superare la folle soglia di sbarramento elettorale del 10%. E le recenti vittorie della opposizione ad Ankara, Izmir e soprattutto Istanbul, inquietano il regime di Erdogan.

«Da quando è stato fondato, l’HDP ha visto decimare la sua classe dirigente: 13 parlamentari arrestati, oltre cento sindaci defenestrati, molti dei quali finiti dietro le sbarre assieme a oltre ventimila tra dirigenti e militanti».

 

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