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La Rivoluzione delle donne del XXI secolo: dalla solidarietà alla lotta comune

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Intervista a Meral Zin Çiçek – retejin.org 21 maggio 2019

combattenti curdeIn occasione dell’8 marzo, giornata internazionale delle donne, Meral Zin Çiçek di REPAK, Ufficio per le Relazioni delle donne curde, ha risposto ad alcune domande sulle prospettive del Movimento delle Donne Curde e di ciò che questo movimento si aspetta dal movimento di solidarietà internazionale.
Il testo dell’intervista è stato parzialmente sistemato per chiarezza, senza alterare le idee dell’intervistata.

1) Che tipo di solidarietà si aspetta il movimento curdo delle donne da parte delle donne di tutto il mondo?

Le donne di tutto il mondo stanno vivendo un momento storico, perché le condizioni e le esigenze di oggi rendono possibile per loro, nel XII secolo, portare a compimento la liberazione delle donne. Il nostro leader Abdullah Öcalan ha detto nel suo discorso per l’8 marzo del 1998 che il XIX secolo è stato il secolo dei partiti borghesi, il XX secolo è stato il secolo dei partiti dei lavoratori, e il XXI secolo sarà il secolo dei partiti che mettono al centro la liberazione delle donne.

Oggi possiamo vedere come questa verità si palesi sempre di più.. La liberazione delle donne sta determinando la liberazione di tutta la società e di tutti gli aspetti della vita. I conflitti tra le donne e il sistema di governo o il sistema capitalista patriarcale aumentano, e questo porta a intensificare la resistenza attraverso cui le donne alzano ancora più forte la loro voce contro il sistema.

Questo accade anche nei luoghi principali del mondo capitalista. Per esempio quest’anno in Europa, in molti paesi, le donne hanno preso parte allo sciopero dell’8 marzo. Questo è uno sviluppo molto importante se lo si mette in relazione alla situazione delle donne europee di qualche anno fa. In Paesi come gli USA, spesso considerati come il centro del capitalismo, milioni di donne hanno protestato contro Trump, e detto chiaramente che non le rappresenta. Le donne nere si stanno organizzando instancabilmente. Quindi è un dato di fatto che la lotta delle donne per l’uguaglianza stia crescendo in tutto il mondo.

Ma il problema principale è che dobbiamo trasformare questo grande potenziale in una forma organizzata di lotta. Ci sono milioni di donne nel mondo che si stanno battendo per liberarsi dal patriarcato, dal sessismo, dal capitalismo, dallo sfruttamento e dall’oppressione sotto svariate forme, ma questa resistenza non è ben organizzata. Possiamo dire che questo è il problema principale. Dobbiamo sviluppare meccanismi, strategie, obiettivi, tattiche comuni, incontrarci anche durante le azioni. Dobbiamo sviluppare un nuovo tipo di cultura politica femminile. E anche un nuovo modo di intendere la sorellanza. Per questo possiamo fare riferimento al concetto di solidarietà.

Pensiamo anche che sia necessario sviluppare ulteriormente la nozione di solidarietà, e di definire che cosa è per noi. Spesso è intesa all’interno del contesto di lotta di classe secondo una lettura molto marxista-leninista, come accade per la solidarietà internazionale dei lavoratori, o per esempio attraverso il concetto di unità dei proletari del mondo, come sorellanza e fratellanza basata sull’appartenenza di classe. Questo modo di concepire la solidarietà riguardava una lotta comune. Ma nella pratica non è andata così. Di solito una parte crede di trovarsi in una situazione migliore e di avere la possibilità di mostrare solidarietà ad altre persone che si trovano in situazioni meno favorevoli. Questo crea una sorta di gerarchia e perpetua certe relazioni di potere. Noi crediamo che nel mondo di oggi nessuna donna poter avere il lusso di dire: “Mi trovo in una situazione migliore di altre”. Siamo tutte sotto attacco del sistema patriarcale perché questo sistema è in crisi e cerca di salvarsi intensificando gli attacchi o concentrando i suoi attacchi contro le donne. In Kurdistan, ci siamo trovate di fronte le forme più brutali, alle espressioni più spietate del patriarcato, sia da parte dello stato fascista turco sia dell’ISIS. Dobbiamo combattere insieme, dobbiamo unire le nostre forze per riuscire a vincere il sistema. Per questo crediamo che sia necessario ripensare al concetto di solidarietà e di internazionalismo, soprattutto quando si tratta delle donne. Dobbiamo avvicinarci al concetto di lotta comune per difenderci una con l’altra e non solo mostrare solidarietà per l’altra.

2) Le donne guidano la rivoluzione in Rojava. Quasi sette anni dopo il suo inizio, cosa ha imparato il movimento delle donne dalla sua esperienza in Rojava?

Abbiamo imparato moltissime cose. È ancora un processo in corso, e non è senza problemi. Non possiamo averne una visione idealizzata. Quando parliamo del ruolo di guida delle donne nella rivoluzione, non significa semplicemente aumentare i numeri. Non è una questione di quantità, ciò che importa è la qualità. Riguarda la trasformazione dei ruoli e degli obiettivi. Forse le donne in Rojava non sono maggioritarie in termini numerici. Ma se guardate alla qualità del loro impegno, sono coinvolte nel processo di guida perché stanno dando al processo rivoluzionario una caratteristica femminile. Le donne sono al centro di tutti i cambiamenti. Partecipano e sono rappresentate in ugual modo in tutti i processi decisionali.

Ma questo non è stato fatto grazie ad azioni individuali. Si tratta davvero di rappresentare la volontà collettiva e organizzata del movimento delle donne. Penso sia una questione molto importante. Non sei forte in quanto persona singola. Anche se come persona mi rafforzo, questo succede perché sono parte di una forza autonoma organizzata. Credo che per le nostre sorelle sparse nel mondo questo sia il più grande insegnamento della rivoluzione del Rojava. Non ci può essere liberazione individuale. Deve esserci sempre un processo collettivo e deve esserci un rapporto dialettico tra la liberazione sociale e individuale. Penso che la rivoluzione del Rojava stia mostrando questo a tutto il mondo.

Queste donne, quelle che fanno parte degli organismi misti di governo, autodifesa, istruzione e altre attività della vita di tutti i giorni, sono allo stesso tempo parte del movimento delle donne e allo stesso tempo sono state scelte dal movimento delle donne. Significa che il movimento delle donne sceglie tutte le donne che saranno candidate alle elezioni o che entreranno negli organismi misti di governo. Quindi, da una parte le donne si stanno organizzando autonomamente, dall’altra partecipano alla pari a tutte le decisioni generali e agli organismi di governo. Questo richiede un livello davvero profondo di consapevolezza delle donne, di consapevolezza di genere. E questo non lo abbiamo ottenuto in un giorno. Si è trattato di un processo molto lungo ed è ancora in corso.

È costante una forte riflessione tra sviluppi pratici, esperienze concrete e teoria. Rifletti su ciò che sta accadendo nella pratica e provi a sviluppare una tesi ideologica a partire da questo. E poi sviluppi ulteriormente la tua tesi e la applichi a soluzioni pratiche. Teoria e pratica sono sempre legate a doppio filo. A partire da questa idea tiriamo fuori sempre nuovi insegnamenti dal Rojava.

Non è che da quarant’anni, segretamente, il movimento educasse o rafforzasse le donne, aspettando il momento della rivoluzione e poi, quando è arrivato il momento, ha tirato fuori le donne dicendo loro di andare e giocare il proprio ruolo. Non è così che funziona. Queste non sono persone perfette, non sono militanti perfetti, rivoluzionari. Imparano facendo, e nel frattempo e tutto il tempo fanno autoriflessione.

Quindi è importante per le altre persone sapere che ci troviamo ad affrontare moltissimi problemi. Creare una società comunalista, specialmente nel Medio Oriente e specialmente nella società curda, che è oppressa e schiavizzata e non ha preso decisioni per sé per lungo tempo… partire da una società come questa per creare un sistema comunalista è un lavoro davvero duro. Ma le cose importanti non sono i problemi in sé, perché si può incorrere in qualsiasi tipo di problema durante una rivoluzione. La cosa importante è come li gestisci. Quali sono le soluzioni, qual è il tuo approccio di fronte a questi problemi? Stai davvero risolvendo il problema oppure lo stai facendo diventare più grave? Penso che l’intero processo politico in Rojava, nonostante le difficoltà, stia avanzando, perché sta anche sviluppando la capacità di trovare soluzioni ai problemi. E anche questo ha a che fare con la rivoluzione: trovare soluzioni ai problemi della società.

3) A proposito di Rojava … per il movimento delle donne, quali sarebbero i limiti che non si devono superare durante i negoziati con il regime o altri poteri?

Lo scopo di questi negoziati sarebbe da una parte quello di creare uno status per il popolo curdo e dall’altro di creare un sistema democratico per l’intera Siria, perché in realtà la questione non è quella di offrire uno status solo ai curdi. Possiamo vederlo qui ora [nel Kurdistan meridionale]. Dopo il 2003, hanno creato uno status internazionalmente riconosciuto per la regione curda, ma senza creare parallelamente un sistema democratico per l’intero Iraq. Quindi ci sono ancora relazioni molto problematiche tra i curdi e Baghdad. Non è possibile creare soluzioni isolate. La nostra formula è «Rojava libero, Siria democratica». E questo dovrebbe valere per tutte le parti del Kurdistan. Deve essere un processo. Senza di esso non sarebbe possibile mantenere nessuna delle conquiste fatte. È ciò che abbiamo visto qui, nel Kurdistan iracheno, dopo il referendum. Queste esperienze ci devono fornire degli insegnamenti.

Per quanto riguarda la Siria il problema non è ottenere l’approvazione da Damasco, che potrebbe dire “Va bene, potete avere il vostro governo in quella zona”; non si tratta semplicemente di creare un’autonomia per i curdi. Dobbiamo usare questo processo, questi negoziati per la democratizzazione dell’intero Stato e creare una Siria democratica, in cui tutte le persone che vivono all’interno di questi confini possano stare insieme e governarsi, affinché le realtà autonome si riuniscano sotto un unico ombrello, che potrebbe essere qualcosa di simile a un’entità più grande, che protegga tutte queste identità diverse. In questo modo si avanza trovando una soluzione.

Quali sarebbero i limiti da non superare? La volontà delle persone, per esempio. Non è possibile tornare indietro. Come potrebbero le persone che vivono nel nord della Siria, che ora si governano da sé, accettare il ritorno alla situazione precedente al 2012? Ciò è chiaramente impossibile non solo per i curdi, ma anche per tutte le altre comunità che vivono in quella regione. Quindi direi che il limite da non superare è proprio l’autonomia. L’autonomia è il popolo che si amministra, è la forma organizzata dell’espressione della volontà del popolo. Non sono in grado di parlare a nome di tutti i popoli, ma, teoricamente, potrebbe esserci coesistenza se si ha modo di discutere, trovare e creare soluzioni. L’importante è che i popoli siano in grado di governarsi all’interno di un sistema democratico. Sarebbe un modello per l’intera regione, perché fornirebbe un’opportunità per superare il nazionalismo e il settarismo.

4) Quali sono le vostre prospettive per il movimento delle donne?

La nostra prospettiva è prima di tutto rafforzare le nostre organizzazioni autonome, in modo da riuscire a giocare il nostro ruolo nella rivoluzione. Ciò che abbiamo è qualcosa di simile a una rivoluzione nella rivoluzione. Prima dicevo che la rivoluzione delle donne sta determinando la liberazione dell’intera società: la stessa cosa vale per le relazioni tra il movimento delle donne e il movimento generale. Se il movimento delle donne è forte, anche il movimento generale è forte. Se è debole allora tutto il movimento si indebolirà. Le cose stanno così. Per questo motivo per noi, in quanto movimento delle donne, è molto importante rafforzare noi stesse ideologicamente, praticamente, politicamente… approfondire il livello di organizzazione autonoma, di conoscenza e di consapevolezza, essere capaci di giocare il nostro ruolo storico all’interno del nostro movimento di liberazione nazionale e allo stesso tempo universale. Pensiamo di avere una specie di dovere storico nei confronti delle nostre sorelle nel mondo, di avere delle responsabilità nei loro confronti. Di avere anche un ruolo unico da giocare in alcuni aspetti. Dobbiamo essere all’altezza di queste responsabilità. Noi non consideriamo il Kurdistan come un’isola, dicendo che non ci importa di ciò che ci succede intorno. Dobbiamo adempiere al nostro ruolo nel Medio Oriente e, facendo questo, pensiamo anche al ruolo delle donne nel mondo intero.

Adesso per le quattro parti del Kurdistan è importante rendere forte il ruolo di guida e la partecipazione delle donne nella rivoluzione, non solo in Rojava, ma anche nel nord del Kurdistan (Kurdistan turco) nella lotta contro il fascismo. Una delle principali caratteristiche del fascismo è che è nemico delle donne. Se guardiamo a quello che successe negli anni Trenta in Spagna, Germania, Italia, troviamo esempi molto concreti di come per prima cosa il fascismo costrinse le donne a ritornare ai loro ruoli tradizionali. Hanno trattato le donne come macchine da riproduzione per creare nuovi soldati fascisti per il regime. La profonda natura del fascismo è misogina. Per questo, in Turchia e nel nord del Kurdistan oggi la forza più importante e più dinamica è il movimento delle donne. E non si tratta solo del movimento delle donne curde. Anche il movimento femminista turco è molto forte. Ma adesso per noi è importante unirsi, formare un fronte di donne capace di sconfiggere il regime fascista che è davvero contro le donne. Il sud del Kuridstan (Iraq), sta vivendo una crisi profonda. Anche in questo caso è molto importante rendere forti le donne, perché guardando alle radici della crisi stessa è chiaro che è stata provocata dagli uomini. Qui purtroppo non c’è una forte rappresentanza di donne nella politica. Per esempio, ci sono state molte discussioni politiche la scorsa settimana per la formazione del governo. Ma non si è vista nessuna donna al tavolo. Erano solo uomini. Lo stile della politica nel sud del Kurdistan è molto maschile e non trova alcuna soluzione ai problemi: in realtà, questa modalità politica li rende ancora più gravi. Crediamo che anche qui il cambiamento sia possibile solo attraverso lo sviluppo di una cultura politica democratica. E non pensiamo che questo possa essere fatto dagli uomini. Può essere fatto solo dalle donne, solo da chi è escluso e marginalizzato.

I problemi ben radicati che stiamo affrontando qui sono anche presenti in Iraq in generale, che è uno Stato non naturale, che non riflette la realtà culturale, etnica o religiosa della regione e che per questo genera sempre nuove crisi, conflitti e contraddizioni tra sette, religioni e gruppi etnici. E se ci sono molte crisi, allora è molto facile per le forze esterne comandare, controllare l’intera regione, perché è un inferno. Quindi, per essere in grado di superare questa situazione, che si va ripetendo ormai da un secolo, è fondamentale stabilizzare e rafforzare la posizione di guida delle donne. Qui è la necessità principale. Potrei dire lo stesso per l’Iran e per l’Est del Kurdistan perché anche là stanno vivendo davvero un processo storico. Ci sono molte possibilità. L’ultima volta che le donne in Iran hanno potuto celebrare l’8 marzo risale a quarant’anni fa, nel 1979. Tantissime donne sono in prigione e subiscono pene capitali, ogni giorno! La situazione lì è davvero pericolosa. Allo stesso tempo possiamo vedere che sempre più donne stanno alzando le loro voci, stanno protestando e dicono di non accettare più questo sistema. Questo dà speranza.

Evidentemente, abbiamo importanti sviluppi in tutte le parti del Kurdistan. Gli Stati che occupano le diverse parti del Kurdistan stanno mettendo molto a rischio le nostre vite perché questi regimi fascisti e dominati dal maschile vogliono mantenere le loro posizioni di potere. Ma possiamo vedere che ovunque le donne sono la speranza più grande e determinano la lotta rivoluzionaria. Per questo, posso dire che per l’8 marzo di quest’anno abbiamo molti motivi per essere fiduciose.

5) Si potrebbe dire che il movimento delle donne si stia in qualche modo facendo sì che l’intera organizzazione si attenga alla teoria di Öcalan?

Perché la liberazione delle donne è così centrale per il PKK? Questo non è iniziato con il cambio di paradigma. Alla fine degli anni ’80, Abdullah Öcalan iniziò a sviluppare la propria analisi sulla questione del patriarcato. Una delle principali dinamiche che lo portarono a questo fu il suo matrimonio con Fatma, che era il suo nome di battaglia. Lei fu tra i fondatori del PKK e lasciò il movimento nel 1986. Fu inviata in Europa dopo il 3° congresso del PKK per organizzare il movimento lì. Qualche tempo dopo il suo arrivo lasciò il movimento. Da allora non c’è stato più alcun contatto con lei. Non era un matrimonio normale, era attraversato da conflitti. Ma era anche un matrimonio d’amore. Per molto tempo è stato descritto come qualcos’altro, come se lei fosse stata un’agente inviata dallo stato turco per controllare il PKK. Öcalan in seguito ne scrisse e disse che amava davvero la donna che aveva sposato, che tra loro vi furono grandi conflitti e che, alla fine, questi conflitti lo avevano portato a riflettere sul problema della liberazione delle donne. Arrivò a quel punto attraverso la sua esperienza diretta. Iniziò alla fine degli anni ’80. Poi, nei primi anni ’90, quando l’Unione Sovietica crollò, lui stava mettendo la questione delle donne sempre più al centro del socialismo, attribuiva al socialismo caratteristiche femminili. In questo modo voleva anche fornire risposte per proteggere l’eredità del socialismo. Mentre criticava Marx, diceva che non stava rigettando le sue teorie, ma voleva cercare di fare nuovi passi avanti. Negli anni ’90, dopo il collasso del sistema sovietico, ha sviluppato molte analisi sul socialismo democratico, sul perché è importante condurre una lotta democratica all’interno del movimento rivoluzionario e sul perché la lotta rivoluzionaria debba essere democratizzata. Non puoi essere un socialista se non sei un democratico. La sua analisi lo ha portato a dire che il crollo dell’Unione Sovietica fosse dovuto alla mancanza di democrazia. C’era mancanza di libertà e non c’era una particolare prospettiva femminile. È in questo modo che è arrivato al cambio di paradigma. È stato più tardi, si può dire nel 2005, o anche prima, nel 2004, quando è stato pubblicato il suo libro Oltre lo Stato, il Potere e la Violenza (Parastina geleki). Ma poi, nel 2005, si tenne il congresso dopo il quale il movimento stesso iniziò a organizzarsi sui principi del confederalismo democratico che è diventato la struttura dell’organizzazione. Il cambio di paradigma iniziò prima, ma quello fu il momento in cui iniziarono a metterlo in pratica. Quello fu il periodo in cui tutti i militanti del PKK leggevano nuovi testi. Abdullah Öcalan, attraverso gli incontri con i suoi avvocati, fece sapere ai militanti quali libri stava leggendo e chiese che anche altre persone li leggessero. Ricordo che nel 2002 o nel 2003 aveva menzionato Ecologia della libertà, di Murray Bookchin. Quello era il momento in cui le persone cominciavano a leggere di ecologia e cose del genere.

Perché possiamo considerare il movimento delle donne come protettore dell’ideologia? Il paradigma stesso mette al centro la liberazione delle donne. Come ho detto, può essere realizzato solo dal ruolo di guida delle donne, che devono essere i soggetti del processo rivoluzionario. Le donne si stanno organizzando secondo questo paradigma. E solo loro stesse che stanno anche realizzando questo paradigma. Questo dà loro un ruolo storico. E l’hanno sempre avuto, perché loro sono le oppresse, sono le emarginate. Stanno lottando insieme ai loro compagni, ma alla fine sono donne e questo rende per loro le cose diverse, e conferisce loro un ruolo speciale nella rivoluzione.

6) Siete in contatto con altre organizzazioni di donne in Medio Oriente? Hanno appreso qualcosa da voi, e voi, avete appreso qualcosa da loro?

Sì, sin dall’inizio. È anche importante ricordare che il PKK poté iniziare la guerriglia grazie alla solidarietà e all’internazionalismo dei popoli del Medio Oriente. Nel 1979, quando Abdullah Öcalan attraversò il confine con Kobane con un documento di identità falso e da lì andò in Siria per prendere contatto con movimenti rivoluzionari libanesi e palestinesi, il PKK non era conosciuto. Molti quadri dirigenti erano incarcerati nella prigione di Diyarbakir e stava per essere messo in atto il colpo di stato militare turco del 12 settembre 1980. Quindi, in condizioni così difficili, senza parlare arabo, senza alcuna opportunità materiale, semplicemente attraverso la nozione di solidarietà del popolo, fu possibile per loro creare il terreno per iniziare la guerriglia, il 15 agosto 1984. E ciò fu reso possibile dai movimenti rivoluzionari in Medio Oriente. Andarono prima nei campi militari del movimento di liberazione palestinese. Più tardi furono in grado di costruire i propri campi, dove fornivano addestramento militare, politico e ideologico, e educarono i quadri del movimento. Non avevano soldi in tasca. Molti militanti del PKK sono morti anche a causa degli attacchi israeliani, in quanto erano solidali con i palestinesi. È da qui che sono partiti e questo è successo 40 anni fa.

Fin dall’inizio, il PKK è sempre stato un movimento mediorientale con una forte spinta internazionalista, che gli impedì di diventare un movimento nazionalista. Questo è ciò che è stato, per 40 anni. I movimenti, quello generale o quello delle donne, non stanno stabilendo relazioni a partire dalla rivoluzione del Rojava, dopo Kobane. Ci sono sempre stati uffici e rappresentanze o altri strumenti per cooperare, in base alle condizioni e alle opportunità, per portare avanti una lotta comune in solidarietà.

Ma per il movimento delle donne kurde è particolarmente importante migliorare i rapporti con i movimenti di donne in Medio Oriente. Anzi, diciamo piuttosto con le organizzazioni di donne, perché se guardiamo alla situazione odierna non siamo in grado di parlare di altri grandi movimenti di donne. Anche questo è un problema che dobbiamo analizzare – perché è così? Tuttavia, assistiamo a molte lotte di donne in Libano, Palestina, Egitto, dove le donne hanno svolto un ruolo molto importante contro il regime di Moubarak, malgrado abbiano dovuto affrontare molestie sessuali, attacchi e così via. È successo anche in posti come la Tunisia, dove le donne sono riuscite a fare molte conquiste. Prima parlavo anche dell’Iran e dell’Afghanistan, dove le nostre sorelle, nonostante tutti gli attacchi dei signori della guerra e degli imperialisti, si stanno organizzando da sole. Quindi, c’è un grande potenziale.

Per il movimento curdo, la storia è sempre stata un elemento molto importante e noi pensiamo che il Medio Oriente sia stato un tempo il terreno per la prima rivoluzione sociale, la rivoluzione neolitica. Per la prima volta nella storia dell’umanità le persone hanno iniziato a insediarsi, a vivere in nuove forme di società; che a quel tempo era guidata dalle donne. Ciò di cui stiamo parlando è creare il terreno per una seconda grande rivoluzione delle donne in Medio Oriente, perché pensiamo che questa sia l’unica possibilità di trovare una soluzione per porre fine alla grande crisi in Medio Oriente, contro tutte le guerre e i conflitti in corso, e creare vera democrazia e libertà. Ciò può essere fatto solo attraverso la rivoluzione delle donne e quindi questo ha per noi un’importanza strategica – non pragmatica, non stiamo guardando alla situazione in modo pragmatico – per noi migliorare i nostri rapporti con le nostre sorelle qui in Medio Oriente è un grande obiettivo strategico. E così facendo, dobbiamo anche impegnarci in una lotta molto efficace contro la modernità capitalista.

Abbiamo sempre creduto che ciò potesse essere fatto solo con il ruolo guida delle donne, perché la modernità capitalista, o diciamo il sistema capitalista, sta cercando di organizzarsi in Medio Oriente, specialmente negli ultimi cento anni, a partire dalla prima guerra mondiale. I confini di oggi non sono naturali. Sono stati creati dalle forze imperialiste. Gli Stati esistenti non sono adatti alle realtà locali. Riproducono continuamente conflitti, guerre, crisi a vantaggio del sistema capitalista di questi Stati. Per questo il sistema utilizza tre strumenti principali: nazionalismo o sciovinismo, settarismo e sessismo. Queste sono questioni che stanno davvero dividendo le persone, impedendo loro di unirsi. Questi sono strumenti con cui si può davvero dividere le persone. Per esempio la realtà kurda è divisa grazie al nazionalismo. Se vogliamo davvero trovare una soluzione ai problemi che abbiamo qui, dobbiamo superare il nazionalismo, il settarismo e il sessismo. E questo può essere fatto solo dalle donne. Quindi è molto importante per noi creare qualcosa come un’unione di donne mediorientali, non su delle linee nazionaliste, etniche o settarie, ma soprattutto come donne. Abbiamo più motivi per unirci come donne.

7) Come vuoi concludere?

Dato che vieni dalla Francia, dirò che la nostra comprensione della solidarietà internazionale dovrebbe includere anche la ricerca di nuove idee. Dobbiamo stabilire alcuni meccanismi con cui potremmo sviluppare una strategia comune, tattiche, o diciamo anche un linguaggio comune, una cultura comune. Quali sono i nostri principi come donne? In base a quali principi possiamo unirci? Cose del genere. Abbiamo bisogno di produzione teorica e intellettuale – e questo dovrebbe essere fatto insieme.

Questa è una questione importante per le donne in Francia e penso che al momento ci sia una grande mancanza. Forse ho torto ma guardando la situazione attuale, sembra esserci una disconnessione tra un passato più radicale e ciò che vediamo oggi. Quindi penso che per la gente in Francia sia molto importante ripensare alcuni concetti come il socialismo. Che cosa intendiamo quando parliamo di internazionalismo? Cos’è il femminismo, cos’è la liberazione delle donne? Cos’è il liberalismo? E l’ideologia della classe media? O, più in generale, dovremmo comprendere ciò che sta annullando gli aspetti radicali delle nostre lotte, trasformandole in qualcosa di estremamente liberale. Penso che una cosa del genere possa essere accaduta in Francia, se si guarda al potenziale che ha la Francia – e sto parlando della gente che lotta, non dello Stato. Un potenziale così grande e malgrado questo una posizione così debole ora. Sembra essere una contraddizione per noi, considerando l’esistenza di una tradizione così importante, un patrimonio così prezioso, compresa la Comune di Parigi. Oggi la gente dovrebbe proteggere i movimenti rivoluzionari in tutto il mondo. È fondamentale proteggere le lotte rivoluzionarie e il loro retaggio all’interno della Francia contro gli attacchi ideologici e politici che si sono verificati specialmente dopo l’elezione di Macron. Penso che molte cose stiano cambiando. A volte il sistema capitalista lancia attacchi in modo molto sottile. Spesso capiamo le cose solo dopo che sono accadute. Penso che la società francese sia stata radicale su molte questioni: è importante proteggere questa cultura, difenderla da tutti i tipi di attacchi e specialmente dagli attacchi ideologici che annullano la nostra coscienza.

Se torniamo alla tua prima domanda, quella in cui mi hai chiesto cosa possono fare le persone se vogliono dimostrare solidarietà, penso che prima di tutto dovrebbero proteggere la loro eredità rivoluzionaria. Dovrebbero difendere la loro storia rivoluzionaria in primo luogo perché se la difendono in Francia allo stesso tempo stanno difendendo la rivoluzione in Rojava. Se il movimento radicale delle donne protegge i suoi 250 anni di lotta per la liberazione delle donne, questo significa che allo stesso tempo sta dando il contributo più prezioso che potrebbero dare alla nostra lotta e alla lotta internazionale delle donne. Non è tanto il fatto di uscire in strada e mostrare sostegno. Dobbiamo farlo in modo dialettico. Difendere questa eredità a casa, ma anche difenderla all’esterno. Se facciamo queste cose insieme, penso che dimostreremo che cosa significa solidarietà nel 21° secolo. Se guardiamo alla rivoluzione francese, alla marcia delle donne nel corso della storia – non solo a Olympe de Gouges ma anche a molte altre donne che sono state uccise a causa delle loro posizioni radicali e poi al ruolo fondamentale delle donne nella Comune di Parigi – ci risulta chiaro che questo costituisce un grande patrimonio. Sappiamo anche che le donne hanno sempre lottato contro i loro compagni maschi, perché è risaputo che all’interno del movimento socialista francese e della sinistra in generale il patriarcato è sempre stato molto forte. Forse non ci avrebbero creduto nemmeno loro stesse, ma penso che anche questa sia stata una ragione importante per cui le rivoluzioni hanno fallito: l’approccio patriarcale dei cosiddetti socialisti o rivoluzionari maschi nei confronti delle loro compagne. Dovremmo imparare queste lezioni dalla storia e penso che così facendo i movimenti in Francia oggi potrebbero svolgere un ruolo importante per la lotta internazionale di liberazione delle donne.

tratto da: https://komun-academy.com/2019/03/13/the-womens-revolution-in-the-21st-century-from-solidarity-to-common-struggle/

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