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La denuncia di Malalai Joya: «Una pace con i criminali è peggiore della guerra»

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di Marta Bellingreri, foto di Alessio Mamo – 06 agosto 2019 – L’Espresso

Il governo tratta con i talebani. Ma le bombe non si fermano. «C’è un detto popolare che recita: una lotta tra cani per rosicchiare le stesse ossa. Lotta per il mantenimento del potere tra signori della guerra»

imageMentre in Afghanistan continuano gli attentati suicidi, a Doha, in Qatar, si sono svolti tra fine giugno ed inizio luglio il settimo round di negoziati di pace e riconciliazione tra Stati Uniti e leader talebani, inframmezzati da due giorni di dialoghi intra- afghani, ovvero tra governo afghano e talebani.

Sembrava un incubo scacciato via a fine 2001, dopo l’invasione americana, ma oggi più che mai quei leader estremisti religiosi che hanno tenuto sotto scacco l’Afghanistan dal 1996 al 2001, controllano metà del territorio, principalmente le zone rurali; le città di tutte le province sono invece sotto il controllo del governo centrale.

Quello che è ancora più grave è che spesso oggi gli stessi criminali di guerra, assassini ed ex-ministri di quello che si chiamava “Emirato Islamico dell’Afghanistan”, sono protetti e partecipano alla vita politica, rendendo pace e democrazia – senza giustizia – un miraggio lontano per il popolo afghano.

È quello che denuncia da oltre un decennio Malalai Joya, attivista e politica indipendente che, al contrario di alcuni suoi connazionali per anni nelle liste nere dei criminali di guerra e oggi a piede libero nel paese, è stata espulsa nel 2007 dal Parlamento afghano perché ha denunciato la presenza dei signori della guerra all’interno dello stesso.

Malalai Joya, allora ventisettenne, era stata infatti eletta in Parlamento nel 2005 dalla lontana provincia occidentale di Farah, dove godeva di un forte sostegno, in particolare da parte delle donne, per il suo attivismo sociale, diventato presto attivismo politico.

 

malalay joyaL’arredamento semplice e modesto della sua temporanea dimora a Kabul fa da sfondo alla forza delle sue parole, la rabbia ed il dolore che tutta la sua generazione (“war generation”, come la definisce lei) dopo quarant’anni di conflitti non risolti si porta dietro. Vestita di un abito tradizionale bianco che sembra avvolgerla nella sua purezza e proteggerla dal male attorno, Malalai vive sotto scorta da anni, una scorta non pagata dal governo, ma da lei stessa e dai suoi numerosi sostenitori, innanzitutto in Afghanistan, ed in tutto il mondo.

Oltre a numerosi riconoscimenti, il primo tra tanti in Italia, Malalai ha vinto nel 2007 il premio Sakharov per la Libertà di Pensiero del Parlamento Europeo e ha scritto un libro sulla sua storia pubblicato in Italia da Piemme “Finché avrò voce. La mia lotta contro i signori della guerra e l’oppressione delle donne afghane”, 2011. Sostenuta fin dal primo istante da intellettuali come Noam Chomsky, Joya è stata anche citata dal Time tra le cento persone più influenti dell’anno 2010, mentre il Guardian l’ha inserita tra le più grandi attiviste del 2011. L’Espresso ha ascoltato la sua voce per capire il momento politico attuale a ridosso delle elezioni presidenziali di autunno e per testimoniare che sebbene i conflitti in altri paesi vicini abbiano catalizzato l’attenzione dei media, non possiamo dimenticare l’Afghanistan oggi.

Che significato hanno queste negoziazioni di pace tra Stati Uniti e talebani in Qatar?
«Le negoziazioni in nome della pace e riconciliazione, iniziati il 29 giugno al loro settimo round, avvengono a Doha con i talebani, ovvero dei terroristi e fondamentalisti che hanno le mani sporche di sangue. Il primo punto che voglio evidenziare è che la pace senza giustizia perde di significato. Il nostro popolo dopo quattro decenni di guerre si sente estraneo a queste cosiddetti accordi con diversi gruppi che vorrebbero stare al potere e i loro padroni stranieri.
Non c’è fiducia in questi accordi, anzi una pace con i criminali è più pericolosa della guerra attuale perché i nemici della pace lavoreranno più facilmente per andare al potere e continueranno ad esercitare la loro barbarie; quelli che si siedono ai tavoli dei negoziati sono esattamente una fotocopia dei talebani, i creatori dei talebani o i signori della guerra, i padrini di questi terroristi talebani. Ma oggi anche l’Isis è presente in Afghanistan.
Se anche per un secondo credessimo che i talebani possano depositare le armi, che diciamo dell’Isis? Tutto sotto il cappello dei negoziati con gli Stati Uniti, ma anche con il sostegno politico e finanziario di diversi paesi come l’Arabia Saudita. Bisogna capire infatti che oggi ci sono diverse filiali dei talebani, non un unico ramo: ci sono i talebani americani, i talebani russi, quelli cinesi, pachistani, iraniani. Ognuno sostiene i propri gruppi secondo i propri interessi di controllo nel nostro territorio quindi non cambierà nulla».

Quali sono comunque le condizioni per un accordo con gli Stati Uniti?
«I talebani seduti a questi tavoli hanno posto una condizione: che tutte le truppe americane vadano via dall’Afghanistan. Ma ancora i negoziati continuano, non si è arrivati a un accordo finale. Possono anche acconsentire e rispettare le condizioni, ma cosa succede agli altri gruppi, alle diverse filiali? Cambiano nomi e colori di bandiera, come per esempio l’Isis, ma la natura è la stessa e continuerà anche il supporto da paesi stranieri. Esiste una grandissima contraddizione in tutto questo: oggi parlano a Doha, in Qatar, o in Russia – diversi gruppi di talebani in diversi paesi – ma dall’altro lato in meno di due settimane ci sono stati attentati a Kabul, poi altri nelle province di Ghazni, di Nangarhar durante una festa di matrimonio e di Badghis. Le vittime sono sempre il nostro povero popolo. I talebani hanno una strategia a lungo termine e una cosa è certa: non hanno a cuore i desideri degli afghani (pace, giustizia, diritti umani).
Gli Stati Uniti vogliono mantenere i loro interessi strategici, tagliare la spesa e ridurre il numero dei propri soldati uccisi. Khalizad (rappresentante speciale per la riconciliazione tra Usa e Afghanistan) ed altri rappresentanti del governo statunitense sanno bene che il risultato delle trattative non sarà la pace».

Durante i negoziati ci sono stati anche due giorni di dialoghi tra talebani e governo afghano in guerra da diciotto anni, sponsorizzati da Qatar e Germania. Il governo chiede l’immediata sospensione di attacchi a civili, in scuole, ospedali, luoghi pubblici spesso target degli attentati suicidi. Che cosa ne pensi?
«Sì, ci sono stati dialoghi tra talebani e rappresentati politici afghani selezionati dal governo. La maggior parte di essi, in giacca e cravatta, non rappresentano il popolo afghano. Hanno baciato le mani sporche di sangue dei talebani, implorandoli di fare pace.
Non si è mai visto nella storia finire una guerra implorando la pace. C’è un detto popolare che recita: una lotta tra cani per rosicchiare le stesse ossa. Lotta per il mantenimento del potere tra signori della guerra».

Come si può allora costruire pace? Hai un partito che porta avanti la tua lotta per il popolo afghano?
«No, non voglio e non posso far parte oggi di un partito politico, anche per ragioni di sicurezza ed i costi legati ad essa. Lavoro come politica indipendente e ci sono tante persone che sostengo. Alcuni sono attualmente membri del Parlamento, come Belqis Roshan, anche lei originaria della mia provincia, Farah, che non sta in silenzio. Nonostante guerra, corruzione, crimini, violazioni di diritti delle donne e dei diritti umani, non dobbiamo scordare uomini e donne coraggiosi di questo paese che fanno un lavoro enorme, in politica e nella società, e che del resto hanno una tradizione alle spalle di persone che hanno fatto grande questo paese e lottato, fin dalla guerra contro gli Inglesi di fine Ottocento.
Voglio ricordare il padre della nostra libertà, il Re Amanullah Khan che ha unito questo territorio per dire che siamo tutti afghani. La vera pace può venire solo da grandi persone, democratiche, contro l’occupazione degli Stati Uniti/Nato e i loro fantocci come i talebani. È una lunga strada e battaglia, ma non c’è alternativa. Non vedo una prospettiva di pace futura vicina, potremmo essere testimoni di giorni ancora più bui».

L’attenzione della comunità internazionale si è spostata verso Siria, Libia, Yemen, Iraq e non c’è un interesse verso l’Afghanistan, perché?
«Ci sono diverse ragioni di questa minore attenzione all’Afghanistan, di nuovo, come in passato. Quello che gli Stati Uniti volevano ottenere nel nostro paese, lo hanno già ottenuto. Hanno messo su un governo mafioso e corrotto, hanno nove basi militari, oltre a quelle segrete. Possono controllare facilmente dall’alto l’Afghanistan, anche senza truppe, nel futuro prossimo. In questa propaganda e silenzio sull’Afghanistan conta il fatto che soprattutto in America non si vuole più sentire parlare della guerra e di questo fallimento chiamato “guerra al terrorismo” che io chiamo la grande bugia del secolo. Ci sono criminali che erano nella lista nera degli Stati Uniti, come l’assassino Gulbuddin Hekmatyar, che addirittura in passato – è divertente a pensarci – boicottava le elezioni per ragioni religiose, dicendo che non sono islamiche, mentre oggi viene accolto a Kabul come un re. Rimosso dalla lista nera, senza giustizia, le spese del suo ufficio sono pagate dall’Unione Europea.
Ed altri personaggi protetti come Mullah Rahmatullah Hashimy, ex-portavoce dei talebani che ordinò la distruzione dei Buddha a Bamiyan. Anche solo per la distruzione dei Buddha e della nostra storia, gli Afghani non perdoneranno mai i talebani. I media hanno giocato un ruolo negativo nel far credere che dopo il 2001 l’Afghanistan sia diventato un posto migliore, mentre in realtà la catastrofe attuale è paragonabile all’epoca buia dei talebani al potere».

A proposito di elezioni, sono vicine.
«Purtroppo in Afghanistan si dice: non è importante chi vota, ma chi conta i voti. Sono finte elezioni: l’Afghanistan è nella lista dei paesi più corrotti al mondo, non ci possono essere elezioni vere. Il voto viene espresso solo per legittimare il prossimo presidente supportato dagli Stati Uniti».

Come ci può essere allora speranza?
«La speranza c’è ed è tantissima: viene dai bambini che dopo esser stati feriti ad un attentato a scuola, vogliono tornare presto in classe. Dalle donne, che dopo lo scandalo sessuale di stupri delle giocatrici di calcio, continuano a giocare a calcio. Tanti altri esempi dalla generazione di guerra e di costruzione della generazione futura. E viene dalle persone grandi del mondo, attivisti per la pace, amanti della giustizia: sono quelli che non ci dimenticano, come i giornalisti coraggiosi che scrivono affinché l’Afghanistan non sia di nuovo terra abbandonata».

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