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Il futuro prossimo dell’Afghanistan

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afghanistan rifugiati 768x480QuasimezzoGiorno – 20 gennaio 2019, di Lorenzo Peluso

Mi chiedo spesso, come sarà il futuro prossimo dell’Afghanistan; è necessario interrogarsi su questo considerando l’annunciato ritiro di oltre 4mila militari della coalizione internazionale che da 17 anni operano nel paese. Per comprendere il futuro prossimo di questo Paese è necessario, come sempre dare uno sguardo ai numeri, perché loro fotografano la realtà, nuda e cruda, fornendo uno spazio di riflessione immediata.

I recenti dati forniti delle Nazioni Unite sono drammatici: nei primi nove mesi del 2019 oltre 8mila civili sono stati vittime di violenze; 2.563 uccisi e oltre 5.500 feriti. Lo stesso governo di Kabul, secondo i dati del ministero della Sanità afghano, rappresentano un Paese sull’orlo del disastro totale. Dal settembre 2018 al settembre 2019 sono state uccise 3.300 persone, mentre i feriti sono stati quasi 15mila. Nonostante lo scorso mese di settembre il Paese sia tornato alle elezioni per eleggere il nuovo presidente, ancora continua lo slittamento dell’annuncio dei risultati che lasciano il Paese in un clima politico incerto. Si aggiunge che l’economia è praticamente ferma con il rischio concreto che i prezzi dei prodotti alimentari, possano aumentare nei mesi invernali. Non solo, come ogni anno infatti, il rigido inverno asiatico, purtroppo causa eventi meteorologici estremi, che passano dalla siccità alle inondazioni. 

Su tutto, chiaramente rimane la pressione dei talebani che hanno ripreso il controllo di oltre l’80% del Paese. La questione della presenza delle forze di sicurezza della coalizione internazionale purtroppo deve fare i conti con la mancanza di risultati eclatanti e con le casse dei singoli paesi finanziatori della missione. Pur vero è che lo scorso 3 dicembre, a Londra, i 29 paesi della Nato hanno riaffermato l’impegno per la sicurezza e stabilità a lungo termine dell’Afghanistan.
Il dubbio però rimane soprattutto per l’incoerenza di Donald Trump che a più riprese ha annunciato il ritiro dei suoi militari, per poi tornare sui suoi passi, facendo capire che forse, non nell’immediato. La tegola che è caduta di recente su Washington è la diffusione del rapporto sui costi dell’operazione, in essere da 18 anni. In operazioni belliche sono stati spesi almeno 1.500 miliardi di dollari, anche se la cifra è sottostimata considerando che non si conoscono i numeri relativi al costo dei contractors, reclutati dagli USA per la guerra ed attualmente circa 6 mila.

Per i contribuenti americani poi ci sono anche gli interessi finanziari maturati, pari a  500miliardi di dollari, con le banche che hanno finanziato a credito l’operazione, portando la spesa a 2.000 miliardi di dollari. Inoltre, quel che è certo è che gli americani hanno investito, ufficialmente altri 87 miliardi per addestrare le forze afghane; altri 54 miliardi per la ricostruzione del Paese. C’è poi la questione della lotta al narcotraffico, l’Afghanistan infatti esposta nel mondo l’80% dell’eroina. In questo caso gli Stati Uniti hanno investito risorse pari a 10 miliardi di dollari, ma il risultato è clamorosamente fallimentare. 

 Mi chiedono spesso, nelle conferenze, il vero scopo della guerra condotta dagli Stati uniti in Afghanistan. Non sempre chi ascolta crede alle mie parole, che continuano ad essere sempre e soltanto la fotografia di ciò che li accade. L’Afghanistan rimane per sua natura il centro della scacchiera internazionale,  un’area di primaria importanza strategica, crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. Un Paese che è strategico soprattutto per le pressioni che gli USA, ma anche i Paesi NATO che dal 2003 partecipano alla missione, possono esercitare su Russia, Cina e India. E’ questa la motivazione geopolitica che interessa le cancellerie occidentali. Chiaro è che anche il supporto alla popolazione ha il suo peso, ma di certo secondario rispetto agli assetti mondiali dello scacchiere politico. Cosa accadrà dunque nel futuro prossimo dell’Afghanistan? Difficile dirlo; quel che è certo è il concreto rischio che la coalizione commetta lo stesso identico errore che ha interessato il popolo curdo, usato e lasciato al propri destino, o forse meglio nelle mani di Erdogan.

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