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Il documentario, la rivoluzione è donna: la forza di tre attiviste

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Il Corriere della Sera – di Massimo Gaggi

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Tre donne pronte a ogni sacrificio che combattono in tre Paesi — Afghanistan, Iraq e Siria — nei quali la condizione femminile è drammatica, raccontate da «I Am the Revolution». Il documentario di Benedetta Argentieri, regista e produttrice, è stato girato da un team tutto al femminile.

 

Prodotto da Possible Films e da Rai Cinema, e presentato per la prima volta in autunno a New York al festival americano dei documentari, «I Am the Revolution» ha avuto la sua prima italiana l’altra sera a Milano al teatro Plinius. Seguiranno altre presentazioni a Milano e in molte città italiane, da Roma a Torino, da Bologna a Brescia.

Inserito da Metro Usa tra i 15 documentari più importanti del 2018, il film (ora distribuito in America da Women Make Movies) racconta la storia di tre attiviste che cercano di cambiare la società rischiando ogni giorno la vita. Paradossalmente, nota la Argentieri presentando il film, sono le guerre — una disgrazia per tutti ma soprattutto per l’universo femminile, più esposto alle violenze — ad aver offerto una possibilità reale di cambiamento: «Il caos crea anche vuoti nei quali chi ha coraggio cerca di creare un ordine nuovo».

È quello che ha tentato di fare in Afghanistan (dove l’87% delle donne subisce violenze e solo il 14% sa leggere e scrivere) l’attivista politica Selay Ghaffar, portavoce del Partito della Solidarietà: Selay, a Milano per la presentazione del documentario, da anni sfida le continue minacce di morte girando in lungo e in largo un Paese controllato al 72 per cento dai talebani per istruire le donne sui loro diritti. Protetta da una scorta armata, cambia ogni giorno dimora. Ora teme che un accordo Usa-talebani porti sì a una riduzione dello spargimento di sangue, ma anche al blocco di ogni progresso civile per le donne, tra Sharia e impossibilità di accedere all’istruzione.

Yanar Mohammed, una delle 100 donne più influenti al mondo per la Bbc, si batte per le donne irachene dalla caduta del regime di Saddam. In un Paese nel quale le donne, spesso rapite e vendute in tempo di guerra, si vedono negare diritti elementari e col delitto d’onore ancora diffuso, Yanar ha creato vari shelter nei quale si rifugia chi fugge dalla schiavitù e dagli abusi.

Rojda Felat, comandante delle truppe curde che un anno fa hanno riconquistato Raqqa, la città siriana divenuta la capitale dell’Isis, è una stratega militare di 37 anni con un forte impegno a tutela delle donne: nei territori liberati le riforme partono dall’abolizione della poligamia e dei matrimoni tra minori.

Tre donne indomite raccontate da una troupe italiana e americana: oltre alla Argentieri, giornalista italiana basata a New York, la cinematografia di Lea Khayata, Arianna LaPenne e Francesca Tosarelli, la coproduttrice Elizabeth Panker e la editor Elena Toccafondi). Tutte col coraggio di girare il documentario in zone di guerra o in territori sconvolti da guerre civili.

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