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Allargamento della lotta

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Rete Kurdistan – 26 dicembre 2019

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Retrospettiva 2019. Turchia. Ankara punta sulla guerra per coprire spaccature in politica interna. Le elezioni comunali a livello nazionale del 31 marzo in Turchia, sono diventate un vero e proprio referendum sul dominio del partito di governo islamico-nazionalista del Presidente Recep Tayyip Erdogan.
Manipolazioni dei registri elettorali, in cui l’elencazione di elettori fantasma morti da più di cento anni erano solo l’apice della truffa, non hanno potuto impedire la sconfitta elettorale del blocco al governo costituito dall’AKP e dall’MHP fascista.

Il CHP kemalista sostenuto dalla scissione dell’MHP, IYI, ha vinto tutte le città importanti della Turchia occidentale comprese Ankara e Istanbul.

L’HPD di sinistra, radicato sopratutto tra i curdi, aveva rinunciato a propri candidati nelle grandi città della Turchia occidentale per contribuire a »far vacillare« il sistema-AKP, come ha dichiarato il suo ex-Presidente in carcere Selahattin Demirtas. Nel sudest l’HPD è riuscito a riconquistare la maggior parte dei comuni curdi in precedenza messi in amministrazione forzata. Nella provincia di montagna curdo-alevita di Tunceli (Dersim) a sorpresa è stato eletto sindaco della città capoluogo di provincia il comunista Fatih Mehmet Macoglu.

La perdita della metropoli da 15 milioni di abitanti Istanbul è stata un’amara sconfitta per l’AKP che da lì traeva una gran parte delle sue prebende finanziarie. Così l’Alto Consiglio Elettorale, su ordine di Erdogan ha annullato le elezioni di Istanbul vinte dal candidato dell’opposizione Ekrem Imamoglu (CHP) con il 48,8 percento a fronte del 48,6 percento per il candidato AKP Binali Yildirim per presunte irregolarità. Ma Imamoglu si è aggiudicato anche le nuove elezioni del 23 giugno con l’ora netto vantaggio del 54,21 percento.

Invano il governo aveva fatto entrare nel gioco il fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in carcere Abdullah Öcalan, per spingere all’astensione gli elettori curdi considerati determinanti a Istanbul. Per la prima volta dopo otto anni, Öcalan aveva potuto ricevere visite dai suoi avvocati sull’isola carcere di Imrali, dopo che migliaia di appartenenti al PKK in carcere nonché la politica HDP Leyla Güven ,con uno sciopero della fame durato mesi avevano chiesto la fine della carcerazione in isolamento. Il precursore del PKK aveva invitato i sostenitori dell’HDP a mantenere la neutralità rispetto al blocco di governo come rispetto a quello dell’opposizione, per costruire un terzo polo delle forze democratiche e rivoluzionarie. Questo orientamento strategico, che appariva incomprensibile nel momento delle elezioni a Istanbul, a fronte degli sviluppi dei mesi successivi si sarebbe rivelato profetico.

Repressione all’interno

Perché in agosto il Ministero degli Interni di Erdogan ha messo in pratica la minaccia proferita già in campagna elettorale, e nei mesi successivi ha fatto destituire i sindaci HDP delle più importanti città curde Diyarbakir, Van e Mardin e di altri comuni. Il CHP, pur condannando il »disprezzo della volontà degli elettori«, ha però rinunciato a partecipare alle proteste di piazza. Un immagine di Atatürk che il sindaco di Istanbul Imamoglu ha consegnato al suo collega curdo destituito Adnan Mizrakli a Diyarbakir come segno di solidarietà, è apparso addirittura come un regalo avvelenato.

Ma già lo stentato avvicinamento dei partiti di opposizione per Erdogan ha illuminato di rosso i fanali di allarme. E come sempre quando nella storia della Repubblica di Turchia i dominanti si sono visti sfidati da movimenti popolari, è stata giocata la carta dell’ostilità nei confronti dei curdi. Così un »meccanismo di sicurezza« concordato in agosto con la mediazione degli USA che impegnava le unità di difesa popolari YPG allo smantellamento delle fortificazioni di confine e ha reso possibile all’esercito turco pattugliamenti congiunti con gli USA nella zona di confine siriana, è servito alla preparazione della guerra di aggressione iniziata il 9 ottobre contro la zona autonoma curda in Siria del nord. Le truppe di invasione hanno occupato una striscia di territorio lunga 120 chilometri e profonda 30 chilometri. Al posto dei curdi, arabi e assiri cristiani che da lì sono stati scacciati, vuole insediare milioni di profughi arabo-siriani provenienti dalla Turchia.

Dal punto di vista della politica interna, il piano di Erdogan ha funzionato. Tutti i partiti rappresentati in Parlamento eccetto l’HDP, si sono schierati fucile alla mano con il governo. Anche il »portatore di speranza democratico« Imamoglu non è voluto apparire come un senzapatria e ha assicurato la sua approvazione della guerra. Manifestazioni di donne, che da ultimo alla fine di novembre in occasione della »Giornata contro la Violenza sulle Donne« nonostante il divieto sono accorse nelle strade di Istanbul, provano che esiste ancora un’opposizione extraparlamentare contro lo Stato autoritario islamista. Ma a fronte delle ondate di arresti di politici HPD, socialisti e oppositori della guerra, ci sono a stento possibilità legali di esprimersi. Nella zona montuosa curda è continuata la resistenza della guerriglia del PKK, mentre nelle città della Turchia occidentale si è verificata un’ondata di attacchi incendiari contro imprese vicine al governo. Queste azioni di sabotaggio sono state rivendicate dall’alleanza di guerriglia HBDH. Appartenenti a questa alleanza di partiti turchi marxisti-leninisti con il PKK, combattono anche in Siria del nord al fianco delle YPG contro le truppe di invasione turche.

Pressione dalle proprie file

Il Presidente turco intanto si vede attaccato dalle proprie file. L’ex Presidente AKP e Presidente del Consiglio dei Ministri Ahmet Davutoglu, a dicembre ha fondato un Partito del Futuro religioso-conservatore, mentre l’ex Ministro dell’Economia Ali Babacan e l’ex Presidente dello Stato Abdullah Gül vogliono essere eredi dell’AKP con un nuovo partito filo-occidentale e economicamente liberista. Mentre diventa più forte il grido per elezioni anticipate, la situazione economica compromessa si è solo stabilizzata su un livello basso. Che intere famiglie a causa di problemi economici abbiano commesso suicidio, negli ultimi mesi ha fortemente scosso il Paese.

Per coprire le spaccature in politica interna con la mobilitazione nazionalista, Erdogan punta sulla guerra. Truppe turche non si trovano solo in Siria del nord, ma avanzano anche in Iraq del nord. Nel Mediterraneo orientale navi da guerra turche danno vigore alle pretese di Ankara in violazione del diritto internazionale sui giacimenti di gas davanti a Cipro. Il rapporto con il partner della NATO USA resta teso per via dell’acquisto dei razzi antimissile russi S-400. Dopo che il Senato USA aveva deciso sanzioni contro la Turchia, Erdogan ha contrattaccato con l’annuncio di chiudere la base NATO di Incirlik.

Dopo un accordo con il governo di unità libico a Tripoli sulla collaborazione militare e pretese comuni nel Mediterraneo orientale, la Turchia non solo arma le milizie dei Fratelli Musulmani libici, ma ha anche prospettato l’invio di propri soldati. La Russia invece sostiene l’esercito del signore della guerra generale Khalifa Haftar in marcia verso Tripoli. Non solo in Siria, ma anche in Nord Africa il flirt di Ankara con il Cremlino presto potrebbe essere esposto a una seria prova di carico.

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