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Aisha e le altre donne lavoratrici: “Siamo noi a fare la differenza”

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La Stampa – Francesco Semprini – 29 Settembre 2019

donne kabulSono poche ma determinate. Sfidano i pregiudizi tribali e le minacce dei terroristi

«I nostri padri hanno combattuto contro gli invasori, i nostri mariti combattono contro gli oppressori, è nostro dovere essere qui, questa è la nostra linea del fronte». Zarghwan Wardak indossa il gilet azzurro della Commissione elettorale indipendente ed è presidente di uno dei seggi femminili della scuola Abozagghazari, nella periferia di Kabul.

Quando le chiediamo se non teme le ritorsioni dei taleban tira fuori il guerriero che è in lei: «Lo facciamo per le nostre figlie». Dinanzi alla desolazione delle urne sono le donne la vera «resistenza» afghana contro guerra e miseria.

Come Bahar studentessa di oftalmologia che una volta terminati gli studi vorrebbe andare in Canada per la specializzazione.
Ci guarda incuriosita mentre sta per attraversare la cancellata dell’università di Kabul, sul viso fard e rimmel: «Non è mica un reato», ci dice. È senza dubbio una sfida però, specie in certe aree dell’Afghanistan, come Ghazni la città controllata dai taleban che l’aspirante oculista ha lasciato per venire a studiare nella capitale. È determinata ad andare a votare, «per chi non ve lo dico, ma lo sento come un dovere nei confronti dei miei genitori che mi hanno permesso di essere libera in un posto dove a molte ragazze come me è vietato andare a scuola».

 

Non lontano da Ghazni, a Wardak, provincia ad alta intensità taleban, a combattere in prima linea è il comitato «donne ed elezioni» organizzata grazie all’aiuto del governatore Muzafarudin. Al suo fianco le attiviste che spiegano a ragazze e madri velate o col burqa che votare significa avere consapevolezza del proprio destino e di quello dei propri figli. Tra loro c’è Fatima, che il fronte lo conosce anche dal punto di vista militare: da circa venti anni, dall’11 settembre 2001, è nei corpi speciali della polizia afghana. «Sono un’abile tiratrice e sono stata impiegata in diversi missioni contro i taleban». È una quotidiana battaglia anche quella delle «Pink Shuttle», il manipolo di autiste che ha avviato il primo e unico servizio di trasporto per sole donne a Kabul, nell’ambito di un progetto pilota ideato e realizzato da Nove Onlus, con il supporto economico di Only the Brave Foundation e del Programma Promote – Women in Economy, finanziato da Usaid.

In Afghanistan, secondo le stime dell’Undp, il tasso di alfabetizzazione delle donne corrisponde appena al 31,7% e la maggioranza non ha il permesso di usare moto, bici, taxi o bus guidati da uomini.

Questo rende molto difficile per loro spostarsi liberamente, quindi studiare, lavorare, emanciparsi. A bordo di due minivan le navette rosa forniscono trasporto gratuito a cento donne della capitale per cinque mesi. «Mio marito è morto di cancro e tutti pensavano che sarei finita a mendicare come molte vedove. Ho deciso di rimboccarmi le maniche e dimostrate che ce la posso fare anche se sono una donna in Afghanistan», dice Mahjabin una delle nuove autiste di Kabul. «Mi hanno aggredito verbalmente, dicendo che devo vergognarmi, mi hanno minacciato di accoltellarmi – racconta – Ho chiuso il finestrino e ho fatto finta di nulla, per me è un orgoglio essere d’esempio ad altre donne». «Le passeggere sono felici e dicono di sentirsi libere con noi», chiosa Razia, 24 enne laureata in legge che, in attesa trovare la sua strada da avvocato, si è lanciata nella «navetta rosa». «Ho paura di saltare in aria, certo, ma vado avanti, i taleban non possono tornare al potere come prima».

E proprio per impedire questo spiega che voterà per Amrullah Saleh: «Ha usato il pugno di ferro contro terroristi e oppressori quando era capo dell’intelligence e ministro dell’Interno». Chi Saleh ce l’ha stampato sul cuore, e non solo simbolicamente, è Aisha, giovane donna col viso dai lineamenti profondi esaltati dal velo portato con moderna disinvoltura. Si presenta al seggio di Kart-e-Parwan indossando proprio la maglietta col volto di Saleh: «È fuori dalle logiche tribali che condizionano questo Paese con lui le donne avrebbero molte opportunità, sta a noi saperle cogliere».

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