Tra le giornaliste curde che sfidano il regime turco: «Erdogan non spegnerà la voce delle donne»
di Marta Ottaviani
da Uiki – 10 aprile 2018
Evrim, Beritan e altre 30 colleghe hanno aperto un’agenzia di stampa formata esclusivamente da donne (a cura di e). L’Obiettivo? Raccontare le storture democratiche del loro Stato. Che ha già cercato di farle CHIUDERE due volte e imprigionato una di loro.
«Lei ci Chiede se ABBIAMO paura? Certo, ce l’abbiamo tutte quante. Ma ci fa molta più paura non puoi continuare a scrivere quello che vediamo ». Recep Tayyip Erdogan, la vita è un’agenzia di stampa composta da circa 30 giornaliste, in breve tempo. Trattano temi riguardanti la violenza domestica, la parità di genere ei cambiamenti di una società sempre più conservatrice e religiosa.
L’obiettivo è solo uno: le differenze nelle donne nel Paese vanno al di là di differenze etniche e religiose e si potranno superare solista assieme. A partire dalla loro denuncia.
«HANNO PROVATO A CHIUDERCI DUE VOLTE»
«Abbiamo iniziato l’8 marzo 2012, nel giorno della Festa della Donna», racconta un Vanity Fair.it Mizgi Tabu, 28 anni, reporter e videomaker. «Il governo ha già provato un chiuderci due volte. All’inizio ci chiamavamo Jihna Haber Ajans. Quando l’agenzia è stata chiusa la prima volta abbiamo fondato il quotidiano Gujin. Quando hanno chiuso anche quello, abbiamo aperto l’agenzia Jinnews. Sempre con la stessa formula: donne che scrivono per le donne. Io lavoro nel sud-est. Vado nei villaggi più remoti per raccontare la quotidianità delle donne che vivono in quei luoghi, descriverne gli sforzi, le usanze, la cultura».
ZEHRA, GIORNALISTA DA UN ANNO A CARCERE
Vanno avanti così, con la resilienza di chi sa che il silenzio è la peggiore delle condanne. La redazione è giovane, hanno tutte fra i 20 e i 30 anni. Alcune di loro hanno avuto problemi con la giustizia e sono finite in carcere, anche se solo per pochi giorni. La più famosa di loro è Zehra Dogan, da oltre un anno dietro le sbarre, denunciata per adesione a organizzazione terroristica. Bansky le ha dedicato un murales e improvvisamente il mondo si è ricordato del sud-est della Turchia, piagato dalla decennale guerra fra Partito dei lavoratori del Kurdistan e Stato turco. Zehra, dietro le sbarre, ci è finita per aver ritratto in alcuni disegni la distruzione della città di Nusaybin. Ma c’è chi viene arrestato anche solo per aver criticato l’operazione «Ramoscello d’Ulivo», che la Turchia sta conducendo nel nord della Siria.
LE DONNE IN TURCHIA
«In Turchia le donne vengono uccise, sfruttate sul lavoro e violentate», racconta Beritan Canozer, un’altra giornalista della redazione. «Io vivo a Diyarbakir. Qui è pieno di polizia a ogni angolo. Le persone vengono aggredite per strada. L’unico ostacolo alla pace è il governo turco. Il popolo curdo è pronto da tempo ad aprire le strade alla pace». La Storia, quella della Turchia che da democrazia è diventata un regime autocratico, che si intreccia con le storie.
LA DIRETTRICE ROJDA
Fra queste c’è anche quella, drammatica, di Rojda Korkmaz, la direttrice di Jinnews. Suo padre nel 2015 fu una delle vittime della Strage di Ankara, quando due kamikaze legati all’Isis uccisero 102 persone, in larga maggioranza curdi e studenti. Il più grande massacro della Turchia moderna, accompagnato da accuse gravi, come la collaborazione fra Ankara e lo Stato Islamico in chiave anti curda.
«SOCIETA’ SEMPRE PIÙ CONSERVATRICE»
«Con l’accentramento dei poteri nelle mani di Erdogan, la Turchia sta cambiando, a spese anche delle donne», spiega Evrim Kepenek, corrispondente da Istanbul che si occupa soprattutto di cronaca giudiziaria e di violenza di genere. «La società sta diventando sempre più conservatrice e religiosa. L’estate scorsa una giovane è stata picchiata su un autobus perché aveva i calzoncini corti e l’autore del gesto è rimasto impunito. In alcune zone le bambine non vanno a scuola. Le aziende incentivano lo smart working, ma solo per fare rimanere le donne a casa con i figli. La differenza di salario è abissale».
«ANDIAMO AVANTI»
Situazioni poco raccontate, vista la censura dei media e lo stato di emergenza dopo il golpe fallito del luglio 2016. «Rischiano di spegnere la voce delle donne e quella della nostra agenzia», continua Evrim. «Quando vengono arrestati giornalisti turchi, nessuno dice mai la maggior parte dei giornalisti in carcere (circa 160, ndr) sono curdi. Se in Turchia è un giornalista è un reato, è un giornalista curdo è un reato doppio. Ma noi andiamo avanti. La nostra agenzia è la dimostrazione che le donne e le turche possono fare affari fianco a fianco, perché la violenza e le ingiustizie colpiscono tutte».
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