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KABUL: DAGLI HIPPIES AI TALEBANI, LA STORIA È ANDATA A MARCIA INDIETRO.

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Corriere della Sera – Dataroom, di Andrea Nicastro – 24 luglio 2018

GettyImages 3247128 ktSD U3000715735298bXH 4188x2847Corriere Web NazionaleA cavallo del 1970, l’Afghanistan era una meta turistica per tanti europei. Arrivavano in Land Rover o con i pullmini Volkswagen sulla via per l’Oriente.

Molti cercavano la spiritualità indiana, ma a volte si accontentavano della marijuana afghana. Si scrivevano guide turistiche, cataloghi sui tesori d’arte di Kabul. C’erano alberghi, ostelli, guest house e i viaggiatori raccontavano della straordinaria ospitalità ricevuta. Gli alberghetti di Chicken Street a Kabul, non avevano le sbarre alle finestre o i metal detector anti attentato come oggi, ma avrebbero dovuto proteggere meglio i parapetti dei terrazzi.

Senza aria condizionata, alla ricerca di frescura o di stelle, decine di europei si drogavano sui terrazzi e in preda alle allucinazioni cadevano di sotto. Il piccolo cimitero cristiano della città, prima che venisse profanato dai talebani, era pieno di lapidi di europei. Due i nomi degli italiani che si intravvedono ancora: Ottavio nel 1968 e Giovanni nel 1972.

Nell’epoca d’oro del turismo in automobile, 90mila stranieri riuscirono a percorrere i 6mila chilometri che separano Trieste da Kabul. Il pericolo allora era di rimanere senza benzina, non di venire sgozzati. Nella capitale afghana era donna il 40% dei medici, il 70% degli insegnanti e il 15% dei deputati. Nella guida Fodor, best seller del 1969, si legge: «L’Afghanistan è a soli otto giorni di macchina da Parigi, grazie alle nuove strade trans-continentali turche e persiane». E poi: «in Afghanistan la macchina della modernizzazione si è messa in moto e niente potrà fermarla».
La storia a marcia indietro
È passato quasi mezzo secolo e oggi le informazioni più utili a un aspirante turista in Afghanistan compaiono del sito della Farnesina viaggiaresicuri.it: «Si sconsigliano vivamente viaggi a qualsiasi titolo in Afghanistan in considerazione della gravità della sicurezza interna al Paese, dell’elevato rischio di sequestri e attentati a danno di stranieri in tutto il territorio nazionale». La guida Fodor si è sbagliata di grosso.

Guerra e islamismo
La rincorsa del futuro si è bloccata ai check point talebani. In questa marcia indietro della storia sono stati coinvolti tutti i Paesi lungo il tragitto. Perché ci sono state le guerre, ma c’entra anche l’islamismo come risposta ai fallimenti delle modernizzazioni che scimmiottavano l’Occidente

Da comunisti a nazionalisti
Negli Anni 70, i figli dei fiori europei attraversavano i Balcani sulle strade della Jugoslavia comunista, ma negli Anni 90 e 2000 quelle strade sono state a lungo vietate dalla Guerra Civile che ha generato Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Kossovo, Macedonia. I morti sono stati 100mila. Nell’ex Jugoslavia il comunismo di Tito è scomparso per far posto a vari nazionalismi. Bosniaci e kosovari sono stati bombardati e trucidati perché “diversi” e musulmani. Ma anche finanziati e sovvenzionati per lo stesso motivo religioso. Dai Balcani l’islamismo come sistema di valori e riferimento politico è ritornato in Europa. I petrodollari del Golfo hanno fatto spuntare minareti come mai prima, neppure sotto l’impero ottomano. L’Islam mondiale si è mobilitato per aiutare con volontari e armi e da lì, poi, sono partiti volontari per altre Guerre Sante nel mondo.

Da nazionalisti a islamisti
La Turchia di Ataturk era il Paese più laico del Medio Oriente.
La modernizzazione post-ottomana la portò nel 1999 ad essere ufficialmente «Paese candidato» all’ingresso nell’Unione europea. La Turchia venne lasciata alla porta e cominciò la progressiva islamizzazione del presidente Erdogan con la sua politica neo-ottomana e il «diritto delle donne a velarsi».

Oggi il confine turco con la Siria è terreno di guerra e quello con l’Iran sorvegliato contro le infiltrazioni di migranti e trafficanti di droga. Non un bel posto per assaggiare un kebab.
Da modernizzatori a rivoluzionari
La Persia si è allontanata ancora di più da quello che credevamo sarebbe stata la marcia inarrestabile della Storia. Dal 1979 è diventata Repubblica Islamica d’Iran. Invece dello scia che amava il caviale di Chez Maxim’s e i poliziotti in Harley Davidson è arrivato il turbante dell’Ayatollah Khomeini. L’Iran è oggi la success story anti- occidentale per tutto il mondo islamico.

La cravatta o le minigonne sono diventate simbolo di oppressione mentre il velo obbligatorio per legge è il vessillo di identità riconquistata. Risultato: negli ultimi 4 decenni l’Iran è rimasto chiuso al mondo esterno, figurarsi ai pullmini degli hippies.La Rivoluzione più la Guerra con l’Iraq hanno causato oltre un milione di morti e 38 anni di sanzioni internazionali. Ma l’Iran è riuscito comunque ad espandere la sua area di influenza con le armi, la religione e il prestigio fino al Mediterraneo e all’Oceano Indiano.
Dai rivoluzionari ai terroristi
L’Afghanistan degli Anni Settanta è oggi irriconoscibile.
Nel 1979 i sovietici invasero il Paese per domare la rivoluzione anti comunista e da allora è praticamente sempre stato in guerra. I primi dieci anni distrussero il 95% della capacità agricola e uccisero 2 milioni di persone; 1,2 milioni furono gli invalidi e oltre 6 milioni i profughi. La Guerra Civile afghana (1992-1996) ha fatto altri 30mila morti e 500mila rifugiati. La guerra internazionale al terrorismo (dal 2001 a oggi) ha prodotto altri 300mila morti e 2 milioni di sfollati interni. Scomparse le coltivazione di grano, frutta secca e melograni, le uniche fonti di guadagno vengono oggi dai papaveri per l’eroina e dalle armi. I talebani pagano un loro soldato circa 600 dollari al mese, l’esercito filo occidentale di Kabul circa 500. Non c’è tempo e spazio per essere ospitali con i turisti, bisogna combattere se si vuole mangiare, qualche finanziatore dal Golfo o dall’Occidente si troverà

La storia dall’alto…
È possibile che un giorno si ritorni a viaggiare in auto da Trieste a Kabul. La via della modernizzazione dall’alto, quella imposta da Ataturk, dallo scia di Persia o anche dal comunismo in Afghanistan, non ha dato risultati proprio brillanti, ma il giovane erede al trono dell’Arabia Saudita, Mohammad bin Salmān la sta ora comunque tentando di nuovo: donne che guidano, che vanno allo stadio, sudditi che lavorano, esercito che combatte. C’è l’appoggio americano e israeliano. La scommessa è in corso. Potrebbe andar bene oppure portare semplicemente all’ennesima guerra. Con l’Iran in questo caso.

La storia dal basso…
Resta però anche la speranza di una modernizzazione dal basso. Dov’è la gente a chiedere più diritti, più benessere, più libertà. Le Primavere arabe sono andate come sono andate, ma sono state un indizio potente di un bisogno diffuso. La politica però non è stata all’altezza.
Altri segnali sono ovunque e forse il futuro entrerà nella regione attraverso un cambio nei rapporti privati, familiari prima che politici. Nell’ultimo film della regista afghana Roya Sadat la protagonista risponde con uno schiaffo alle botte del marito. Durante la proiezione, a Kabul, qualcuno ha applaudito. E questo è un passo avanti.

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