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IBRAHIM ABED, IL COMICO AFGHANO CHE SE LA RIDE DELLA MORTE (E DELLA CENSURA)

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Bianca Senatore linkiesta.it.it 8 novembre 2018

download.jpgIn Afghanistan la censura è ancora forte, ma il comico Ibrahim Abed, dalla sua trasmissione “Shabake Khanda” tiene incollati tutti ai televisori con i suoi sketch grotteschi sui mali del paese: dalla violenza ai rapimenti, dalla corruzione del governo al traffico di armi fino alla bigamia

Chi lavora nel settore del giornalismo, nel mondo della tv e dello spettacolo in Afghanistan, sa che ci sono molte cose che sono assolutamente vietate. Anche se dopo il ritiro delle truppe internazionali nel 2014 nel Paese sono stati sviluppati molti progetti editoriali e sono poi nate anche molte tv come Tolo, 1TV, Ariana News, Shamshad TV e Khurshid TV, la macchina della censura è diventata feroce: parole vietate, situazioni da non raccontare, luoghi inaccessibili perfino a giornalisti con l’accredito governativo. C’è un solo programma che, incredibilmente, sembra godere di un’illimitata quanto bizzarra libertà. 
Ogni venerdì alle 20, che sia stata una bella come una brutta giornata, la maggior parte degli afgani si sintonizza su Tolo tv, una delle emittenti più famose dello Stato, perché comincia “Shabake Khanda”, lo spettacolo satirico di Ibrahim Abed, cabarettista, comico per passione, divenuto in poco tempo uno dei personaggi più famosi della televisione. Quasi un divo, tanto che per le strade di Kabul lo riconoscono e lo fermano per una foto o un autografo.

La violenza, le minacce, i rapimenti, ma anche la corruzione del governo, il traffico di armi e perfino i tradimenti coniugali, oppure la bigamia, tutte queste situazioni sono affrontate con leggerezza, con battute ironiche, con situazioni grottesche che le trasformano in fonte di risate

Il segreto del successo dello spettacolo di Abed sta nell’affrontare sotto forma di sketch umoristici tutte le principali preoccupazioni dei cittadini afgani: la violenza, le minacce, i rapimenti, ma anche la corruzione del governo, il traffico di armi e perfino i tradimenti coniugali, oppure la bigamia, ancora diffusa in alcuni centri rurali. Tutte queste situazioni, alcune più evidentemente terribili e sconvolgenti delle altre, sono affrontate con leggerezza, con battute ironiche, con situazioni grottesche che le trasformano in fonte di risate. Le imitazioni che Abed fa del presidente Ashraf Ghani o del predecessore Hamid Karzai sono velocemente diventate “virali” anche nei villaggi più sperduti delle montagne dell’Hindu Kush. “Nessuno aveva mai osato – ha raccontato Ibrahim Abed – ma quando mi è venuto in mente di farlo, davvero non ci ho visto nulla di cui vergognarmi o di cui aver paura. E’ finzione, è gioco, è satira”. Dal Governo hanno fatto sapere di non gradire affatto gli scimmiottamenti del presidente né tanto meno dei ministri ma non c’è stata nessuna dichiarazione ufficiale o lettera di protesta all’emittente.

Si ride del nostro Paese e si ride di noi stessi – ha raccontato Rafi Tabee, che da oltre venti anni lavora come producer televisivo. “Le nostre difficoltà vengono interpretate in maniera diversa e l’idea di sdrammatizzare ha funzionato, tanto che adesso sono gli stessi cittadini che ci seguono a chiamare per raccontarcidi questi episodi terribili che vorrebbero vedere in scena con battute e satiriche. Se devono denunciare qualcosa – ha aggiunto Tabee – non avvertono la polizia, chiamano noi direttamente in redazione. E’ sorprendente”. Dicono che la gente metta in guardia i prepotenti avvisandoli che se fanno qualcosa di sbagliato, Shabake-Khanda farà una puntata su di loro.

Il successo crescente dello spettacolo di Ibrahim Abed, originario di Jalalabad e padre di otto figli, è cresciuto molto negli ultimi anni, paradossalmente man mano che la situazione e la libertà di stampa in Afganistan crollavano. Ora come ora, secondo la classifica di Reporter senza frontiere, il Paese è al 118 nella classifica della libertà di stampa e solo la settimana scorsa ilo giornalista Samim Faramarz e il cameraman Ramiz Ahmadi di Tolo tv sono stati uccisi da un attacco bomba mentre seguivano la cronaca di un attentato a una palestra di Karate a Kabul. Per questo c’è sempre molta paura a girare e a mandare in onda gli sketch, eppure nessuno dice niente. “Non ho paura, nemmeno dei talebani – ha raccontato al telefono Ibrahim Abed – perché sono convinto che anche loro mi guardano e ridono. Quello che faccio non è un’aperta critica ma è un voler ironizzare su queste situazioni quotidiane per noi afgani. Certamente ci sono dei codici sociali e politici che andrebbero rispettati, ma la satira non è proprio rompere queste regole?”

Anche prendere in giro la morte è una strategia comunicativa vincente in un Paese che è sempre più instabile. Sdoganare certi temi aiuta a sdrammatizzare le situazioni e questo Abed lo ha imparato sul campo quando, nel 2001 lavorava come infermiere in un ospedale

Lavora coraggiosamente Abed, incurante delle minacce che comunque ogni tanto riceve. Sono intimidazioni, insulti sulla sua pagina Facebook, lettere che promettono vendetta, persone che giurano di staccargli anche le restanti dita della mano, perché quando era piccolo Abed ne ha perse due nell’esplosone di una mina nascosta in un giocattolo. Tutto questo però, non sembra preoccupare il comico che, anzi, spesso prende spunto per nuove puntante. Insieme al suo staff scrive e programma le prossime scene decidendo insieme alla produzione decide dove girare.

“Alcuni non vogliono prestarci le locations – ha spiegato Abed – perché hanno paura di ritorsioni. Questo accade soprattutto nelle città più lontane da Kabul. Nella capitale sarebbe più facile girare, ma non voglio concentrare tutto qui, non sarebbe corretto. Io voglio rappresentare, sempre attraverso questo linguaggio leggero, le realtà di tutto l’Afghanistan, anche delle città più povere, anche quelle ancora controllate dai telebani”. E quando sei lì, non hai paura? La domanda sorge spontanea. “Mentre giriamo – risponde – non ci pensiamo, perché siamo concentrati sul lavoro, e quando abbiamo finito e andiamo via ci diciamo “anche oggi non siamo morti”. Ride al telefono.

Anche prendere in giro la morte è una strategia comunicativa vincente in un Paese che è sempre più instabile. Sdoganare certi temi aiuta a sdrammatizzare le situazioni e questo Abed lo ha imparato sul campo quando, nel 2001 lavorava come infermiere in un ospedale e aveva capito che il suo essere “un pagliaccio”, un comico dalle naturali doti, aiutava le persone nei letti di ospedali a guardare la situazione da un’altra prospettiva. “Ridere li faceva sentir meglio. – ha detto ancora Ibrahim Abed – Mi facevo spiegare cosa fosse successo e poi, in maniera istintiva, gliela ri-raccontavo in maniera diversa, ipotizzando situazioni assurde”.
In quegli anni Abed affina le sue capacità di mimica e di recitazione ma soprattutto raccoglie ricordi e storie di tante persone che custodisce come una miniera d’idee da cui tirar fuori qualcosa di buono. Ma erano solo idee.

Centinaia di episodi hanno letteralmente incollato allo schermo spettatori di ogni fascia d’età e anche questa è una novità per i programma afgani

La svolta arriva nel 2007 quando Tolo tv lancia il talent Khaanda Bazaar che vuole scoprire il miglior comico afgano. Abed si presenta al provino dopo un lungo viaggio da Jalalabad a Kabul in autostop. Bassino, evidentemente stanco da un viaggio difficile, non viene accolto dai giudici con molte aspettative e invece spiazza tutti con la brillantezza delle imitazioni e con le barzellette. Da lì è partita la sua carriera di attore professionista che sfida di giorno in giorno i dogmi e le restrizioni dell’Afghanistan.
“C’è bisogno di ridere in questo Paese e a volte c’è bisogno di capire cosa è giusto e cosa no” – ha puntualizzato Ibrahim Abed. Ogni episodio dura circa quarantacinque minuti durante i quali sono rappresentate differenti situazioni in cui Abed e gli altri attori, travestiti in maniera spesso surreale, trattano i vari argomenti. Centinaia di episodi hanno letteralmente incollato allo schermo spettatori di ogni fascia d’età e anche questa è una novità per i programma afgani. C’è chi li guarda con passione attenzione, chi con superficialità e distacco ma nonostante il dubbio si resta lì, irretiti dalle battute veloci e contagiati dalle risate che si sentono in sottofondo, in perfetto stile sit-com americana.

“Ora come ora – ha sottolineato Ibragim Abed – c’è bisogno di più persone che facciano il mio lavoro, per questo sto facendo scuola a tre ragazzi che mi seguono e che recitano in alcuni sketch. Gli spiego che è fondamentale la mimica, la fisicità, il garbo nella recitazione ma che è altrettanto importante la scrittura degli episodi. Il segreto è non prendere mai di petto i temi più scomodi ma di arrivarci lateralmente, non so se mi segui – scandisce bene al telefono ogni parola – e poi è necessario sfumare molto tra vero e verosimile.

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