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Afghanistan 2017: i conti con la morte.

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Dal Blog di Enrico Campofreda – 21 febbraio 2018

low res twiterL’ultimo rapporto Unama (la struttura delle Nazioni Unite che si occupa di Afghanistan) per l’anno che si è chiuso mostra una nota leggermente confortante: ci sono meno vittime civili rispetto al 2016 e a quella tendenza in costante crescita dal 2009. Otto anni nei quali si sono contati 28.291 morti e 52.366 feriti. Solo il 2012 era parso come un momento di flessione degli attacchi e delle vittime, poi i lutti sono progressivamente risaliti.

Ecco le cifre del 2017: 10.453 colpiti in vario modo (3.438 morti, 7.015 feriti) con una diminuzione del 9%. Le donne bersagliate sono 1.224 (359 vittime, 865 ferite) con un incremento dell’1%, mentre i bambini finiti nel mirino sono stati 3.179 (861 morti, 2.318 feriti) con una flessione del 10% rispetto al 2016. Descritte anche la modalità degli assalti. Gli scontri di terra hanno prodotto 823 morti, 2.661 feriti, una diminuzione del 19%; quindi attacchi suicidi: 605 morti, 1.690 feriti, incremento del 17%; Ieds: 624 morti, 1.232 feriti, diminuzione del 14%; uccisioni mirate: 650 morti, 382 feriti, diminuzione dell’8%; esplosione di residuati bellici: 164 morti 475 feriti, flessione del 12%; operazioni Usa: 295 morti, 336 feriti incremento del 7% sempre rispetto al 2016.

 

Gli autori delle carneficine. I Talebani hanno fatto 1.574 vittime, 1.574 feriti, diminuzione del 12%; Islamic State Khorasan Province: 399 morti, 601 feriti, incremento dell’11%; non identificati: 330 morti, 1.059 feriti; Afghanistan National Security Forces: 529 vittime, 1.164 feriti; gruppi pro-governativi: nessun dato di uccisione, 26 feriti; truppe Nato: 147 vittime, 99 feriti; attacchi non identificati: 43 morti, 34 feriti. Nel macabro elenco vengono fornite anche note sul decremento di civili uccisi indirettamente da armi pesanti (mortai, granate, missili), tale flessione è più significativa nelle province di Helmand, Baghlan, Kandahar, Kunduz, Uruzgan.

La diminuzione di morti civili causate da Ieds sta a indicare una diversa tattica della guerriglia che punta a colpire direttamente i propri obiettivi, sebbene gli assalti portati nei centri urbani col sistema delle auto-bomba e dei kamikaze producano egualmente molte vittime civili. Nelle aree rurali l’uso di Ieds è rivolto alle perlustrazioni dell’esercito governativo, ma ovviamente gli ordigni possono stroncare le vite di qualsiasi passante, compresi gli abitanti dei villaggi.

Invece crescono gli attentati suicidi nei luoghi simbolo. Kabul è un esempio eclatante: nel 2017 ha subìto 1.612 attacchi (440 vittime e 1.172 feriti) il 17% in più dell’anno precedente e raccoglie il 70% di tutti i civili colpiti con questo genere di aggressioni. L’attentato del 31 maggio 2017 (92 vittime, 491 feriti) ha fatto segnare più d’un terzo di tutti i civili colpiti in città durante l’anno. Inoltre c’è un incremento di esplosioni nei luoghi di culto.

Soprattutto le moschee sciite che nel 2017 hanno contato trentotto attentati con 202 morti e 297 feriti. In flessione il numero di civili uccisi con attacchi aerei. Tali decessi risultano provocati più da operazioni gestite dall’aviazione afghana, negli ultimi tempi incentivata dagli Stati Uniti per l’ottenimento d’un controllo territoriale seppure dall’alto, che da azioni dell’US Air Force. Quest’ultima attualmente agirebbe solo in alcuni distretti delle province di Kunduz, Helmand, Nangrahar. Ma c’è poco da gioire. Il nuovo anno s’è aperto all’insegna della corsa a chi semina più morte e terrore fra talib e miliziani dello Stato Islamico: una sequela di attentati nella stessa capitale e in altre città che già opziona tristi primati futuri.

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