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L’Europa non dimentichi Demirtas, baluardo di democrazia nella Turchia di Erdogan

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Huffpost – 5 dicembre 2017, Arturo Scotto

http o.aolcdn.com hss storage midas 7428d0462f9c81d4b59fa531650935bc 205920932 RTX2SH5UDemirtas. Sono finiti i giorni in cui tutte le cancellerie europee facevano a gara per incontrarlo, per conoscere una personalità democratica che stava provando a costruire un’alternativa reale al lungo inverno erdoganiano fattosi regime. Avvocato dei diritti umani, curdo, ambientalista e laico: il leader dell’Hdp oggi è in carcere e rischia di perdere definitivamente la libertà in un processo tutto politico che si svolge lungo la frontiera orientale dell’Europa.

Sono passati sedici mesi dal mio ultimo incontro con lui e la leadership del suo partito: eravamo a pochi giorni dal golpe di operetta che aveva rimesso in sella Erdogan, dando il via a una svolta autoritaria senza precedenti. 113000 arresti circa dal luglio 2016: magistrati, funzionari pubblici, giornalisti, sindacalisti, parlamentari. Demirtas nel colloquio blindato che avemmo – alloggiavamo in una Instanbul surreale, cupa e militarizzata con gli autocompattatori che sigillavano le caserme e la piazza Taksim assediata dai vessilli del regime – mi disse a chiare lettere: hanno tolto l’immunità parlamentare, tra poco tocca a noi. Pochi mesi e la cosa si verificò puntuale, con poche e timide prese di distanza da parte dell’Ue, senza però alcun atto concreto.

Sono 400 giorni che è in carcere e rischia 124 anni. L’Hdp è stato decimato, arrestati una ventina di deputati, un centinaio di sindaci e oltre 70000 militanti per presunto fiancheggiamento al Pkk. Tutti elogiano i curdi dopo la liberazione di Raqqa, ma nessuno si occupa della loro condizione in un paese alleato, membro strategico della Nato. Al contrario, abbiamo dato 7 miliardi a Erdogan, senza imporgli alcuna clausola democratica e umanitaria, per frenare i rifugiati siriani e tenerli lontani dall’Europa. Lontani dagli occhi, lontani dal cuore.

 

Nel frattempo, si celebrava un referendum farsesco, che trasformava la fiammella della democrazia turca nell’incendio di un sultanato con vocazioni imperialistiche su scala regionale e repressive su scala interna. Erdogan padrone assoluto, regnante sulla magistratura, sull’esercito, sulla stampa. Questa è la Turchia di oggi che celebra il Processo Demirtas il 7 dicembre ad Ankara. Non mi voglio avventurare in paralleli storici arditi con i grandi tribunali politici: da Mandela a Sacco e Vanzetti, passando per Gramsci il cui cervello non avrebbe dovuto funzionare per almeno 20 anni. Ma quello che rischia di consumarsi la prossima settimana sembra un déjà vu, nel silenzio dei grandi media e della comunità internazionale.

Sarò a Ankara la prossima settimana esattamente per questo, insieme a delegazioni politiche da tutta Europa – dal Pse ai Verdi alla Sinistra europea – per testimoniare che, se si toglie la libertà a un parlamentare in nome di un’idea politica, prima o poi questa cosa succederà anche a te, anche in quella porzione di globo dove tu pensi che la democrazia sia un valore acquisito per sempre. Per questo il processo Demirtas parla al mondo intero. E parla soprattutto a questa Europa: doppia, tripla e quadrupla. Che rischia di perdere ancora un volta l’anima e il senso della democrazia

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