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Afghanistan, allarme per gli italiani: la Cooperazione lascia Kabul.

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La Repubblica – di GIAMPAOLO CADALANU – 7 luglio 2017
Sempre meno occidentali nella capitale, dopo l’attentato del 31 maggio nella “zona verde”. La diplomazia: “Solo una misura di sicurezza”

164107070 c775f151 1036 446d ad91 0f750cea686eÈ massima allerta per gli italiani in Afghanistan: seguendo l’esempio delle altre rappresentanze occidentali, nelle prossime ore il personale della Cooperazione verrà evacuato quasi completamente, mentre il lavoro diplomatico è ridotto al minimo. All’origine della decisione ci sarebbe la segnalazione di nuovi possibili attentati contro le rappresentanze europee, dopo l’attacco del 31 maggio che ha devastato la “zona verde”, il quartiere delle ambasciate occidentali che si riteneva sicuro. In quell’occasione un camion bomba con 1500 chili di esplosivo ha fatto quasi duecento morti. Fra gli addetti si mormora a mezza voce che stavolta potrebbe esserci un allarme specifico per l’Italia.

Al momento, per la Cooperazione sono presenti nella sede di Kabul quindici persone: dovrebbero restarne solo un paio, con tutta probabilità un logista e un amministrativo, per le necessità insormontabili. Anche l’impegno diplomatico andrà ridotto, mentre la sicurezza della struttura sarà aumentata con nuove protezioni passive (in sostanza, muri più elevati). Agli Esteri parlano di “misure cautelative”, di carattere provvisorio: il personale rientrerà quando la situazione sarà più stabile.

Ma pensare all’Afghanistan come un Paese sulla via della pacificazione è quanto meno illusorio: negli ultimi mesi all’attività terroristica per così dire “abituale”, firmata dai Taliban, si è affiancata una serie di attentati di diversa matrice, di volta in volta attribuita alla rete Haqqani o a gruppi locali affiliati all’Isis. Caratteristica di questi attacchi è l’assoluta ferocia: mentre i Taliban seguono le indicazioni a suo tempo lasciate dal mullah Omar, con l’attenzione a non provocare vittime civili non necessarie, i “nuovi” attentatori non si fanno scrupoli di alcun genere, e il bilancio dei civili uccisi è sempre altissimo.

Nella capitale afgana, la tensione è alle stelle. Gli ultimi due-tre anni hanno dimostrato che il governo di Ashraf Ghani non è in grado di garantire nemmeno la sicurezza nel cuore di Kabul. Nei mesi scorsi la gente della capitale è arrivata a manifestare contro il presidente proprio chiedendo un impegno per la protezione dei civili, ma la reazione di Ghani si è limitata alla repressione violenta delle proteste, con la polizia che ha aperto il fuoco sui dimostranti, uccidendone almeno cinque. Anche avantieri c’è stata una grande manifestazione, per fortuna senza incidenti.

La presenza italiana è limitata: a parte la rappresentanza diplomatica e a qualche militare nei comandi della missione Resolute Support, resta il contingente schierato a Herat – circa 900 uomini – e un drappello di Organizzazioni non governative. Alda Cappelletti, di Intersos, sintetizza così: “La situazione della sicurezza di Kabul è la stessa da trent’anni. Nelle province è ancora peggio. Ma questo è l’Afghanistan”.

La risposta di Emergency
“È sconcertante che le rappresentanze diplomatiche lascino il paese per questioni di insicurezza mentre la Ue ci rimpatria gli afgani”. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, ricorda l’Ong italiana, nei primi tre mesi del 2017 sono stati uccisi o feriti oltre 2.200 civili.

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