Skip to main content

Studiare Mozart a Kabul

|

Angela Calvini – Avvenire – 15 luglio 2016

kabul375 51923293 300 300x200Il sogno del professor Sarmast era quello di riportare la musica in Afghanistan, dove i taleban l’avevano vietata durante il loro regime, e c’è riuscito. Un impegno a favore delle nuove generazioni, il suo, che però stava per costargli la vita, quando nel 2014 un’autobomba esplose nella sala da concerti del centro culturale francese di Kabul, ferendo gravemente lui e uccidendo una persona. Ahmad Sarmast, non solo ce l’ha fatta (è stata necessaria una delicata operazione alla testa ed è rimasto parzialmente sordo) ma è tornato nel suo paese natale a proseguire l’opera iniziata nel 2006 con la fondazione prima del Revival of Afghan Music project e nel 2010 dell’Afghanistan National Institute of Music (Anim).

Questo è il primo conservatorio afgano, sotto la giurisdizione del ministero dell’Educazione e sostenuto anche dalle donazioni dei privati, dove i ragazzi svantaggiati, orfani e ragazzi di strada, vengono accolti con borse di studio e ricevono un’educazione musicale. E, cosa rivoluzionaria, sono ammesse pure le ragazze, che studiano in classi miste coi loro coetanei. Il lavoro di Sarmast per i taleban, «dissacra i valori islamici e fa propaganda contro il jihad», hanno dichiarato in un comunicato.

Ma per il professore di musica «i nemici dell’Afghanistan hanno sbagliato perché ci hanno resi più convinti, decisi e impegnati». La sua storia è degna di diventare un film, dove il “supereroe” è un tranquillo professore baffuto, scuro di carnagione e dalla determinazione di ferro. Ce lo ritroviamo davanti al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto, dove Ahmad Naser Sarmast ha ricevuto il Cultural Heritage Rescue Prize, il premio internazionale dedicato ai coraggiosi che salvaguardano, mettendo in pericolo la propria vita, il patrimonio culturale a rischio. Un premio ideato da Francesco Rutelli, presidente dell’associazione Priorità cultura. Sorride il professore, che poi ha incontrato il ministro dei Beni Culturali Franceschini con l’augurio di poter portare presto in Italia la sua orchestra di giovani talenti, che ha suonato anche alla Carnegie Hall di New York e alla Royal Albert Hall di Londra. «Sono onorato di questi riconoscimenti, spero che portino un po’ di attenzione su questo progetto che ha bisogno di aiuto» ci spiega.

Figlio del compositore afgano Ustad Sarmast (autore dell’inno nazionale), il musicologo 55enne, dopo la laurea in musicologia all’Università di Mosca nel 1993, richiese asilo in Australia – paese in cui tuttora vivono la moglie e i due figli – dove continuò i suoi studi laureandosi nel 2005 al Monash University (di cui ora è docente). Nel 2006, appena caduto il regime dei taleban, Sarmast tornò con un progetto studiato con la sua università: «Il progetto di una scuola di musica per 300 orfani a Kabul. Durante il regime dei taleban era reato insegnarla e proporla: si rischiavano punizioni pesanti, l’unica scuola è stata devastata e tutti gli strumenti, compresi quelli tradizionali, sono stati distrutti ». C’era da ripartire da zero, la cultura musicale afgana, rischiava l’estinzione. «Vogliamo ricominciare a insegnare musica sia per dare un’opportunità di crescita e anche di lavoro a piccoli sfortunati, sia per recuperare, accanto a quella classica occidentale, la musica tradizionale afgana – spiega ad Avvenire il maestro –. La musica, la cultura, l’arte ci rendono esseri umani e sono le cose che danno un senso alla nostra vita. E conservare le tradizioni è una delle cose più importanti per una società». Rivoluzionario, però, e anche l’insegnamento della musica occidentale, demonizzata dai taleban.

Per imparare a suonare Bach, Vivaldi e Mozart, i 250 giovani studenti rischiano in prima persona. «I veri eroi sono i giovani studenti, coraggiosi e determinati, che ogni giorno sfidano le difficoltà economiche e culturali in cui vivono e rischiano la vita per venire a scuola – aggiunge affettuoso Sarmast, che non ha voluto lasciarli soli –. La libertà di espressione li aiuterà ad aprire le loro menti, e vedranno che quello che quello che facciamo qui non costituisce una minaccia». A oggi, centinaia di bambini si presentano ogni anno alle audizioni per essere selezionati e ammessi alla scuola, dove non si paga una retta e che anzi, sostiene i più bisognosi con borse di studio, vitto e alloggio. L’istituto è diviso in due dipartimenti, in cui uno staff di docenti afghani e internazionali insegnano a suonare musica classica afghana, con strumenti quali il sitar, il sarod, il tamburi, e musica occidentale con l’insegnamento di piano, percussioni, chitarra, violino e strumenti a fiato. Le materie comprendono storia e teoria della musica afgana e occidentale, orchestrazione, tecniche di registrazione… Oltretutto gli studenti ricevono una educazione scolastica completa (studiando scienza, fisica, matematica, dari, pastho, arabo e inglese, studi coranici e islamici) a cura del ministero dell’Educazione afgano. I risultati, dopo 6 anni, si cominciano a vedere.

È nata l’Afghan Youth Orchestra (Ayo), la prima orchestra del suo genere nel Paese da oltre trent’anni, che combina strumenti occidentali con strumenti della tradizione afgana e indiana, sul modello della grande orchestra di Radio Afghanistan che restò in vita sino al 1980. Alla sua guida, il giovanissimo Milad Yousufi, diplomato nel 2013, è diventato il primo direttore d’orchestra dell’era post-taleban. E c’è di più: nel 2015 la 17enne Negin Khpalwak, pianista, si è aggiudicata il primato di prima donna direttrice d’orchestra in Afghanistan. «Nella scuola, nell’orchestra, nel coro e nei vari ensemble, maschi e femmine suonano insieme e questo è un passo avanti nell’eguaglianza sociale» spiega Sarmast. C’è però anche una chicca, il Girls Ensemble, composto da trenta bimbe musiciste tra i 6 e i 12 anni, che rappresenta una opportunità di indipendenza. «Io vedo nella nostra orchestra il domani dell’Afghanistan. Un Afghanistan che abbraccia la diversità e crea uguali opportunità per tutti. Il più bel mosaico multiculturale. Sono convinto che assicurando i diritti dei bambini e permettendogli di diffondere melodie di pace, costruiremo una società pacifica e vibrante. Ed è questo il lato positivo dell’Afghanistan di cui i media non parlano mai e che vorremmo far conoscere».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *