Skip to main content

Altro che ritiro, la Nato rilancia in Afghanistan

|
TAG: ,

Il Manifesto – G. Battiston – 19 giugno 2016

Sgrena Ubaid 300x189Resolute Support. Brutte notizie per i civili, l’Alleanza intende mantenere truppe e basi. La decisione al prossimo summit di Varsavia. L’Italia resta primo paese europeo per numero di soldati.

La Nato intende mantenere e rilanciare la propria presenza in Afghanistan: tenere aperte le basi militari, rivedere la programmata riduzione delle truppe presenti sul terreno e continuare a pagare milioni di dollari per il sostegno alle forze di sicurezza afghane, almeno fino al 2020.
Sono le notizie annunciate alla stampa mercoledì, dopo un incontro a Bruxelles tra i ministri della Difesa dell’Alleanza atlantica. Numeri certi non ce ne sono. Le decisioni verranno prese formalmente l’8 e 9 luglio, nel corso del vertice Nato di Varsavia.

Il segretario generale della Nato, il generale Jens Stoltenberg, in conferenza stampa ha dichiarato che sul numero dei soldati che rimarranno in Afghanistan nel 2017 e negli anni successivi la discussione è in corso, ma ha insistito molto sulla necessità di mantenere le basi militari – anche a fronte di un’ulteriore riduzione delle truppe – per «avere un approccio regionale flessibile». Tra queste, anche la base gestita dagli italiani a Herat, nella provincia occidentale afghana, al confine con l’Iran.

Tra le questioni più delicate da affrontare, quella finanziaria: Stoltenberg si aspetta di uscire dal vertice di Varsavia con l’impegno formale dei 28 paesi membri della Nato per un impegno finanziario fino al 2020 incluso. Le forze di sicurezza afghane (352.000 uomini in totale) costano circa 5 miliardi di dollari ogni anno. L’impegno maggiore ricade sugli americani: dei 5 miliardi complessivi per il 2016, gli Stati Uniti ne hanno sborsati 3.6, il resto i singoli paesi coinvolti nella guerra, inclusa l’Italia, e in parte il governo afghano, che comunque non sarà in grado di auto-sostenere le proprie forze di sicurezza prima del 2024.

Secondo i dati resi noti venerdì nell’ultimo rapporto del Dipartimento della Difesa Usa, Enhancing Security and Stability in Afghanistan, l’Italia è il primo paese europeo per numero di soldati che fanno parte di Resolute Support, la missione Nato con compiti di addestramento delle forze afghane che dal 1 gennaio 2015 ha sostituito la missione Isaf. Il primo paese europeo e il terzo in assoluto, subito dopo gli Stati Uniti e la Turchia. Al quale Stoltenberg e il segretario della Difesa Usa, Carter, chiedono un impegno conseguente.

Anche se i singoli parlamenti non hanno ancora deliberato sull’impiego di tali risorse, Carter già si è detto sicuro che, come gli Stati Uniti, anche gli altri partner della Nato siano disposti a mettere mano al portafogli. Mentre ha lasciato intendere che saranno possibili delle revisioni sulla riduzione delle truppe americane, annunciata dal presidente Barack Obama nell’ottobre 2015. Per ora è previsto che dei 9.800 uomini presenti oggi in Afghanistan, ne rimangano 5.500 a inizio gennaio. Ma le cose potrebbero cambiare, come lascia intendere la recente decisione del presidente statunitense di garantire maggiore operatività alle forze americane.

Il citato rapporto del Dipartimento della Difesa Usa non lascia presagire nulla di buono: nel periodo preso in esame, che va dal 1 dicembre 2015 al 31 maggio 2016, l’Alleanza atlantica ha registrato una riduzione degli attacchi nelle principali città afghane, ma un aumento della mortalità generale: inoltre, si riconosce che, mentre le forze anti-governative rimangono un pericolo serio, difficile da eliminare, le forze afghane sono ancora fragili.

Secondo un sondaggio realizzato nelle 34 province del paese dagli uomini del Dipartimento della Difesa Usa, la popolazione si sente molto più insicura di prima. Soltanto il 20% degli afghani intervistati si sente sicuro (rispetto al 39% dell’anno scorso), mentre il 42% ritiene che la sicurezza fosse migliore ai tempi dell’Emirato islamico d’Afghanistan. Quando al governo c’erano i Talebani. La strategia adottata dalla comunità internazionale, dunque, non ha funzionato. Eppure l’alternativa – il processo di pace – è ancora lontana.

Il 21 maggio mullah Mansour, leader dei Talebani, è stato ucciso dagli americani con un attacco aereo, nel Belucistan pachistano. E il suo sostituto, Abaitullah Hakundzada, non può permettersi di sedersi troppo presto al tavolo negoziale, non prima di essersi guadagnato sul campo la leadership.

Per ora, dunque, gli afghani non possono che aspettarsi un conflitto ancora più cruento. Provocherà nuove vittime civili e un aumento dell’emigrazione verso l’Europa. Nel quartiere generale della Nato, proprio su questo si insiste: senza un impegno ulteriore, dicono a Bruxelles, i paesi europei verranno «invasi» dagli afghani. Fino a oggi le truppe servivano, sulla carta, per combattere i Talebani. Domani c’è il rischio che servano per fermare i migranti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *