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Afghanistan: l’ennesimo passo indietro di Obama.

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Panorama – 7 luglio 2016 – di Rocco Bellantone

Saranno 8.400 e non 5.550 i militari americani che rimarranno nel Paese nel 2017. Un aumento dell’impegno che riguarda direttamente anche l’Italia.

Numeri forniti da Barack Obama sull’avanzamento dell’exit strategy americana dall’Afghanistan ormai non fanno quasi più notizia. Per l’ennesima volta il presidente degli Stati Uniti è tornato sui suoi passi rimangiandosi la road map tracciata sul finire del 2014 e presentando un nuovo piano d’azione che però difficilmente contribuirà a migliorare lo stato della sicurezza in un Paese perennemente in balia della minaccia talebana. Per la cronaca nel 2017, quando da gennaio Obama terminerà il suo secondo e ultimo mandato da presidente, dagli attuali 9.800 militari attualmente dispiegati in Afghanistan – principalmente nelle basi di Bagram (vicino a Kabul), Jalalabad (nell’est) e Kandahar (a sud) – si passerà a 8.400 e non a 5.550 come era stato inizialmente stabilito.

Obama ha spiegato che le forze afghane non sono ancora pronte per assumere in modo del tutto autonomo il controllo della sicurezza nazionale, motivo per cui i consiglieri americani continueranno ad addestrare gli agenti della polizia e i soldati dell’esercito di Kabul e saranno in prima linea nelle operazioni antiterrorismo che verranno pianificate contro i talebani e altri gruppi terroristici che operano nel Paese.

Iniziato nel 2001 dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre, l’intervento militare americano in Afghanistan è dunque destinato a protrarsi molto più a lungo del previsto. E il bilancio dei soldati statunitensi uccisi – 2.300 negli ultimi quindici anni – potrebbe farsi ancora più tragico.

Il ruolo dei servizi segreti pakistani
Intanto all’ombra dell’incerta strategia di Obama, e in attesa di conoscere quale direzione prenderanno gli USA in Afghanistan quando ci sarà un nuovo inquilino alla Casa Bianca, sono altre potenze a incidere in maniera molto più influente sul Paese.

I servizi segreti più attivi sono quelli del Pakistan. Dal momento in cui, lo scorso 25 maggio, Haibatullah Akhundzada ha assunto la guida dei talebani, il potente servizio segreto pakistano ISI (Inter-Services Intelligence) ha gradualmente ristabilito i contatti con i vertici dell’organizzazione. L’ex leader Akhtar Mohammad Mansour, succeduto nel luglio del 2015 al Mullah Omar, nei suoi dieci mesi di mandato aveva infatti provato a voltare le spalle a Islamabad cercando sostegno a Teheran e Mosca. Per affrancarsi dal Pakistan Mansour aveva deciso di trasferire il consiglio della Shura dei talebani da Quetta, città situata nella provincia pakistana sud-occidentale del Baluchistan dove negli ultimi dieci anni ha avuto la propria sede, in Afghanistan.

 

Ma il progetto di rendere più autonoma l’organizzazione dall’intelligence pakistana è di fatto naufragato con la sua morte, avvenuta nel corso di un blitz di droni americani nel maggio scorso nei pressi di Ahmad Wal, proprio nella provincia del Baluchistan.

Da allora l’ISI ha ripreso le redini del gioco e Quetta è tornata a essere il centro delle attività dei talebani. Secondo fonti di intelligence accreditate, il nuovo capo Haibatullah Akhundzada vivrebbe a Kuchlak, a nord di Quetta, e molti uomini di vertice dell’organizzazione risiederebbero nei pressi del campo profughi di Surkhab. I servizi segreti pakistani garantiscono copertura e protezione all’establishment dei talebani, a patto che essi limitino al massimo gli spostamenti all’interno di Quetta e accettino di viaggiare scortati se devono raggiungere altre aree del Paese.

Afghanistan, una questione che riguarda anche l’Italia

Anche se il Pakistan appare al momento padrone assoluto della situazione, è verosimile che nei prossimi mesi Russia e soprattutto Iran cercheranno di avvicinare Haibatullah Akhundzada e stabilire una relazione con lui. È in questa fitta rete di contatti e accordi segreti che si decide il futuro dell’intera regione dell’AF-PAK. Piuttosto che badare ai rapporti con il presidente afghano Ashraf Ghani, la cui presidenza finora non ha segnato alcuno scatto in avanti rispetto a quella del suo predecessore Hamid Karzai, è questa zona grigia che gli USA dovrebbero tentare di penetrare. Altrimenti l’exit strategy dall’Afghanistan, se e quando si concluderà, si confermerà come una delle pagine più buie della politica estera americana degli ultimi vent’anni.

Si tratta di una questione che interessa direttamente anche l’Italia. In Afghanistan le nostre forze armate impiegano uno dei contingenti più numerosi (secondo solo all’Iraq) sebbene alla fine nel 2014 sia iniziato il lento ritiro del contingente ISAF (International Security Assistance Force) della NATO. Tra Kabul ed Herat al momento sono operativi 950 soldati italiani con compiti di addestramento nell’ambito della nuova missione Resolute Support, subentrata all’inizio del 2015 a ISAF. L’Italia ha infatti accolto la richiesta degli Stati Uniti di mantenere ancora per alcuni mesi le proprie truppe in Afghanistan oltre il termine previsto dell’ottobre 2015. Adesso che Obama ha cambiato nuovamente le carte in tavola, il nostro governo potrebbe doversi adeguare ancora una volta alle scelte di Washington. Ma siamo sicuri che questo impegno sia prioritario per gli interessi del nostro Paese?

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