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Afghanistan e IS: a che punto siamo?

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Il Caffè Geopolitico di Federico Zenari – 26 gennaio 2016.

flagChe il sedicente Stato Islamico (IS) si stia rafforzando in Medio Oriente sembra essere, agli occhi di buona parte dei media e delle opinioni pubbliche “occidentali”, un timore sempre più concreto – soprattutto dopo l’effetto mediatico degli attentati di Parigi. In verità in pochi contesti regionali il jihadismo nero sta guadagnando terreno. Uno di questi sembra essere l’Afghanistan, dove da mero reclutamento si è passati, da diversi mesi, alla presenza di cellule del sedicente Califfato attive sul campo.

UNA “NUOVA” MINACCIA – A conferma di ciò è stata proclamata nel Khorasan, un’area da sempre tristemente nota alle cronache di guerra, la Wilayat al-Khorasan (provincia del Khorasan), che da mesi addestra e coordina (ancora superficialmente) diversi combattenti jihadisti e anche dei gruppi di Talebani, sia afgani che pakistani, che hanno giurato fedeltà al Califfo. Le stime sul numero degli affiliati che operano nell’Est e nel Sud del Paese sono molto approssimate, e le opinioni sull’importanza di tale minaccia sono inevitabilmente contrastanti.

Dalle reazioni del Presidente afgano Ashraf Ghani si evince che il Governo è sinceramente preoccupato per la presenza di questo “nuovo” nemico, ancora più intransigente e intrattabile dei Talebani.
Non a caso IS non è benvisto neppure da molti leader talebani, che non condividono né l’ideale politico del califfato né parte dell’ideologia religiosa. Raramente i Talebani hanno sostenuto l’idea di espandersi al di là dei confini nazionali di Afghanistan e Pakistan, mentre il jihadismo sovranazionale ha come obiettivo primario la “riconquista” dei territori di massima espansione del Dar al-Islam e, successivamente, l’estensione territoriale anche al di fuori di questo.

Per quanto riguarda l’ideologia religiosa, anche se nessuno mette in dubbio l’intransigenza dimostrata dai Talebani, vi sono delle differenze legate alla specificità degli Islam autoctoni che, sebbene siano da anni assoggettati alle predicazioni wahabbite di provenienza saudita e influenzati dalla presenza di Al-Qaeda, mantengono ancora delle caratteristiche proprie, essendo legati a regole tribali e culturali diverse. Inoltre, il sostrato etnico in Afghanistan è infinitamente spezzettato, e un’ideologia allogena e totalitaria come quella dell’IS non può che cozzare con la frammentazione identitaria e culturale del Paese.

 LOTTA INTESTINA – “Fortunatamente” per la leadership afghana, le differenti vedute e gli interessi condivisi da Talebani e IS li hanno portati a scontrarsi apertamente in diverse regioni del Paese, aprendo un nuovo fronte interno agli oppositori del Governo di Kabul che, tra l’altro, si trovava ulteriormente diviso dalla morte del leader storico dei Taliban, il Mullah Omar. Inoltre, con la morte del leader storico del gruppo e la conseguente spaccatura interna si sono interrotte anche le trattative con il Governo afghano, che in certi casi ha assunto addirittura un ruolo di osservatore degli scontri tra il gruppo capeggiato dal Mullah Mansour – che si era “incoronato” come erede del Mullah Omar – e altri gruppi che non ne accettano la leadership.
L’IS si è innestato in questa divisione interna ai Talebani, appoggiando alcune fazioni nemiche di Mansour con l’intento di ritagliarsi il proprio spazio e di inglobare questi insorti figli di un Paese in guerra da circa 30 anni che, come hanno già ampiamente dimostrato, hanno maturato una certa esperienza nel fare guerriglia.
Le forze di sicurezza afghane hanno portato a compimento diverse operazioni contro questo gruppo ma, anche a causa della guerra contro i Taliban, non sono riuscite a debellare il problema IS, che sicuramente sta dimostrando un’ostinata resilienza in tutti i contesti in cui opera.

UNA SITUAZIONE COMPLESSA – Comunque, un elemento che sembra rimanere costante è la risposta degli Stati Uniti, ancora caratterizzata dai più che collaudati bombardamenti con i droni e da un più lento ritiro dei contingenti militari, una strategia che difficilmente porterà a dei risultati sostanziali nella lotta contro gli insorti e contro i gruppi jihadisti. Anche l’Italia ha rinnovato il proprio impegno nella missione, e l’auspicata ritirata dei militari italiani sembra dover aspettare ancora il 2017 (un dato significativo se si considera che le previsioni iniziali erano per una completa ritirata nel 2014).
In ogni caso, la situazione interna del Paese centro-asiatico è critica, e la crescente presenza del sedicente Stato Islamico è un elemento destabilizzante in un contesto già problematico come quello afgano. Sottovalutare questo attore non è un’alternativa da prendere in considerazione dopo quello che è successo in Iraq e Siria, a maggior ragione se si considera l’importanza che l’Afghanistan ha avuto come incubatore del jihadismo transnazionale.

La presenza del sedicente Stato Islamico assieme al rinnovato vigore dei Taliban hanno dimostrato che le forze di sicurezza dell’Afghanistan non sono ancora in grado di sostenere un impegno quale il controllo e la gestione del territorio afgano – che ha tenuto in scacco, per più di un decennio, eserciti molto più addestrati, meglio armati e con un’elevata esperienza di guerra in contesti complessi.
Purtroppo non è solo dal punto di vista militare che la Repubblica Islamica di Afghanistan ha ancora gravi problemi nel mantenere la propria indipendenza. Anche a livello economico e sociale le questioni rimangono ancora molte – dalla povertà all’emigrazione e all’educazione infantile. La presenza sempre più minacciosa dell’IS nel Paese è sicuramente un elemento destabilizzante, e sottolinea l’importanza di assumere definitivamente una visione di lungo periodo che necessita un impegno continuo e attento.
Federico Zenari

Un chicco in più
Il 17 dicembre, nella provincia di Nangarhar, a sud-est di Kabul, il sedicente Stato Islamico ha inaugurato la sua prima emittente radio – “La Voce del Califfato” – con l’intento di fare proselitismo e di attirare nuove reclute. La regione in cui è nata la radio, che si trova ai confini con il Pakistan, è stata da sempre un’ottima incubatrice per la formazione e l’indottrinamento di nuovi combattenti jihadisti.

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