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L’Isis alle porte di Kabul. Gara di terrore con i taleban

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LA STAMPA – 19.4.2015

2015 04 18T073955Z 1128670772 GF10000063718 RTRMADP 3 AFGHANISTAN BLAST U10402938804153jaB U10402940244464vqD 384x285LaStampa NAZIONALEIl terrore nelle strade di Jalalabad subito dopo l’attentato rivendicato dall’Isis afghano

Rivendicato il primo attacco in Afghanistan: 33 morti a Jalalabad. E nelle valli tornano sharia e sequestri: “Mai stati così brutali”.

Kiran Nazish
Orovincia di Kunar (Afghanistan)

Sul fronte orientale della provincia del Kunar la tensione non fa che salire. Dall’inizio dell’anno Dangam, piccola città al confine con il Pakistan, trema per i colpi dei fucili automatici e dell’artiglieria pesante sparati negli scontri fra i taleban e l’esercito. I combattimenti stanno causando enormi perdite tra le fila dell’esercito afghano che, dopo il ritiro degli Stati Uniti, è rimasto a combattere da solo.

«Ormai non possiamo più spingerci in alcune zone di Kunar, è troppo pericoloso, perderemmo troppi uomini», dice Abdul Hadi, soldato dell’esercito che a gennaio ha combattuto a Dangam.

I miliziani anti-Stato stanno guadagnando terreno e forze e il loro numero continua ad aumentare: «Dalla fine dell’anno scorso un numero altissimo di foreign fighters è venuto in Afghanistan per unirsi ai ribelli», aggiunge Hadi. Ma non basta: ieri un attacco a Jalalabad (33 morti e 100 feriti) è stato rivendicato dall’Isis afghano, conosciuto anche come gruppo Khorasan. L’azione ha rimarcato la presenza sempre più capillare dell’Isis, che recluta miliziani nella regione sin dalla fine del 2014.

 

Tutto sotto controllo
Il governo sostiene di essere in grado di contrastare la crescente minaccia, nonostante il numero di perdite nei combattimenti sia il più alto mai registrato. Secondo l’Onu, il 2014 è stato l’anno più difficile: il numero di vittime civili – tra morti e feriti – è aumentato del 22% rispetto al precedente record del 2013, e ha superato per la prima volta quota 10.000 dal 2009, da quando le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare il numero delle vittime.
Ciononostante, i soldati afghani continuano a credere di poter contenere la minaccia: «Speriamo di prendere il controllo del Dangam nel prossimo futuro», dice il generale Mohammad Zaman Wazir. Ma le rassicurazioni non bastano a tranquillizzare gli abitanti di Kunar, che vedono che la presenza dei taleban non fa che crescere. Come spiega un soldato, Moshing Ali, «lo Stato è presente solo nelle città e nei grandi centri, mentre ha lasciato i villaggi più piccoli – la maggior parte dei quali nelle regioni montuose – alla mercé dei miliziani».
Ahmed Saadi, ex ufficiale di polizia a Kunar, dice che «le forze afghane non riusciranno a vincere finché non andranno a contrastare i miliziani fuori dalla capitale, nei piccoli villaggi in cui vivono».

Cosa hanno lasciato gli Usa 
Una delle missioni più incisive della coalizione guidata dagli Stati Uniti è stata a Kunar e Kandahar. Battaglie feroci avevano spinto i miliziani a nascondersi e – per un po’ – a mantenere un basso profilo, ma, dicono i testimoni locali, appena le truppe hanno lasciato la regione i ribelli hanno iniziato a ricompattarsi e riorganizzarsi. Il governo afghano nega: «Avremo presto il controllo, non c’è nessuna minaccia che incombe sull’Afghanistan», aveva detto a gennaio Sedi Sediqi, portavoce del ministro degli Interni. E, mentre i campi di battaglia raccontano un’altra storia, i funzionari pubblici elencano i successi della guerra contro i taleban durata 13 anni.
Ma la battaglia contro l’Emirato islamico dell’Afghanistan – il nome ufficiale dei taleban afghani – è tutt’altro che finita e solo ora il governo inizia ad ammettere che la situazione «potrebbe sfuggire di mano». «I taleban non sono mai stati così brutali», dice Ahmad Nawid Froutan, portavoce del governatore della provincia nordoccidentale di Badakhshan, dove alcune centinaia di combattenti taleban hanno assaltato le postazioni dell’esercito, uccidendo 18 soldati e ferendone 10.

Dangam è solo uno dei tanti piccoli distretti del Kunar in cui i combattimenti tra miliziani e esercito hanno spento la vita quotidiana. Ospedali, case e uffici sono stati attaccati, molte scuole bombardate. Quelle che restano in piedi sono vuote. Perfino entrare in una classe è troppo pericoloso. Gli ospedali non hanno più medici e i civili che possono permettersi di andarsene cercano disperatamente lavoro nelle grandi città, dove lo Stato c’è ancora. Chi resta vede un futuro difficile, sotto il dominio sempre più forte dei taleban e senza e la protezione del governo. La situazione più grave è in alcune aree del Kunar, come la Gunjgal Valley, dove molti anziani delle tribù sono stati uccisi: «Sono venuti nelle nostre case e hanno preso i nostri uomini, accusandoli di essere delle spie degli americani», ha raccontato Mohsin Khan, un capo tribù di Gunjgal.

L’esercito Usa ha iniziato il ritiro dal Kunar nel febbraio 2011, per concentrarsi sulle aree più popolate della provincia. È stato sostituito da truppe afghane mal addestrate, non in grado di competere con i terroristi: già allora si temeva che lo spostamento di truppe equivalesse all’abbandono di un territorio ai miliziani. Ora il timore è diventato realtà: i civili delle piccole tribù muoiono, mentre il governo scivola in una battaglia che rischia di perdere.

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