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Attentati e corruzione, l’Afghanistan ostaggio dei suoi fantasmi.

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La Stampa – Mondo – 14 maggio 2015

AfghanistanJPEG 05385 1431586991 1771 kXKG U1050203686887lXB 700x394LaStampa.itL’attentato di Kabul conferma le difficoltà del processo di transizione.

L’attentato di Kabul, nel quale hanno perso la vita l’italiano Sandro Abati, la compagna di orgini kazake e altri dodici civili di diversa nazionalità, conferma le difficoltà del processo di transizione dell’Afghanistan. Il cambio di mandato della missione Nato, da Isaf, ovvero prevalentemente offensivo, a Resolut Support che prevede soprattutto attività di addestramento e assistenza, lascia progressivamente la gestione della sicurezza del Paese alle forze afghane.

Questo dopo tredici anni di conflitto e di presenza delle forze dell’Alleanza sul territorio, mentre l’offensiva dei taleban prosegue, sia da un punto di vista militare, sia con attentati, come dimostrano quello di ieri nella capitale e l’altro ad Helmand dove sono morte due persone.

A Kabul le violenze sono riprese da circa due anni con una serie di attacchi di piccole e medie dimensioni che hanno visto tra le vittime soprattutto civili e poliziotti.

Basti pensare che la Missione Onu per l’assistenza all’Afghanistan (Unama), solo dall’inizio dell’anno ha registrato un numero record di attacchi a civili (974 morti e 1.936 feriti), in aumento del 16% rispetto allo stesso periodo del 2014. L’inizio dell’anno è stato assai pesante anche per le forze di sicurezza del Paese che hanno registrato un aumento del numero di morti e feriti del 70% rispetto al 2014, e il bilancio, con l’inizio della stagione dei combattimenti, potrebbe farsi anche più pesante.

 

Occorre tuttavia precisare che mentre le perdite sono ben più modeste per quanto riguarda l’esercito, registrano invece valori più elevati per la polizia nazionale ma soprattutto per quella locale. Questo come spiega il ministro degli Interni, Noorulhaq Ulumi, a causa di lacune nelle attività di addestramento, nella logistica, nella mancanza di attrezzature (giubbotti antiproiettelli ed elmetti ad esempio) e nelle tattiche di impiego.

Sono proprio gli aspetti su cui la Nato, con la missione Resolut Support iniziata a gennaio, sta lavorando con un certo vigore, con l’obiettivo di riconsegnare il Paese al suo popolo, in vista del completo ritiro che avverrà non prima della fine del 2016. Tenendo tuttavia presente che l’Alleanza, e in particolare gli Stati Uniti, non sono più disposti a elargire denaro come avvenuto in passato, ad esempio dall’invasione del 2001 sono stati spesi oltre 62 miliardi di dollari per l’addestramento delle forze di sicurezza.

Questo impone quindi che il Paese si responsabilizzi con una gestione più razionale di mezzi e risorse e con una seria campagna di lotta alla corruzione, e al contempo ritrovi quella coscienza civile e patriottica diffusa, per troppo tempo è mancata in una nazione che ha vissuto gli ultimi 35 anni della sua storia tra guerre, violenze e gravi fragilità.

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