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Afghanistan, l’Isis mette le radici

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Lettera 43 – 30.4.2015

Scissioni interne, vuoti di potere, disperazione: al Baghdadi trova terreno fertile. Nel Paese 6.500 combattenti. Usa in ritirata. E spuntano i primi campi di traning.
di Barbara Ciolli

Nelle terre di nessuno della Libia e, dopo le sconfitte in Iraq, in Afghanistan.
Dalle trincee siriane, il Califfato islamico si allarga e si ramifica dove il controllo del territorio è meno forte, come in un sistema di vasi comunicanti, regredendo dove è aggredito ma rispuntando lontano, con molte metastasi.
L’analogia del presidente americano Barack Obama tra il «cancro» e l’Isis era giusta, come dimostrano le impennate terroristiche in Kenya e Nigeria, di gruppi affiliati al cosiddetto Stato islamico come i Boko Haram o di rami dei qaedisti di al Shabab, in odore di passaggio all’Isis.

GUERRA TRA TALEBANI. Dell’Africa centrale e del Nord Africa, con le cronache dei morti (anche italiani) negli attentati in Libia e Tunisia, si parla molto.
Molto meno si parla, sottovalutando il fenomeno, dell’Afghanistan: uno Stato, come la Somalia, con scarsissima autorità statale, dove, con il ritiro americano entro il 2016, il vuoto da conquistare è in prevedibile espansione, con ampie possibilità di business criminali.
Per il capo dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi, le valli dei talebani o di gruppi ancora più fondamentalisti, in lotta intestina tra loro, sono seconde solo alla Libia per potenziale d’attrazione.

RECORD DI JIHADISTI. In fuga dal Kurdistan iracheno e da Tikrit, a Nord di Baghdad, i jihadisti si allargano verso la Siria, alle porte di Damasco, o a Est, verso Kabul.
I campi d’addestramento in Afghanistan esistono dagli Anni 90. L’ultimo rapporto dell’Onu sull’Isis e al Qaeda ha stimato 6.500 combattenti dal Paese, il numero più alto di jihadisti reclute o reduci di Siria e Iraq.
Capi locali e simpatizzanti afghani, ripresi dall’americana Cnn, hanno issato le prime bandiere nere d’affiliazione. Mentre, stando a fonti russe, dai narcotrafficanti afghani l’Isis ha entrate annuali pari a 1 miliardo di dollari.

 Al Baghdadi punta agli introiti del traffico di eroina.

L’abilità dell’Isis di saldarsi a network criminali transnazionali è formidabile.
È avvenuto con le reti globali di prostituzione, potrebbe accadere con il trafficking di esseri umani dal Nord Africa. E il reclutamento di combattenti stranieri, scoperto in Italia, attraverso canali albanesi, sembra confermare l’allarme lanciato da Mosca, anche nella sede dell’Onu, sulle mani del Califfato sul contrabbando di eroina che, attraverso il Medio Oriente, dall’Afghanistan arrivano ai Balcani, epicentro di vari traffici Isis.
Radicarsi in zone dell’Afghanistan fuori controllo gonfierebbe il business d’oro dell’oppio. Non solo i repubblicani guerrafondai americani hanno richiamato l’attenzione sulle mire del Califfato in Afghanistan, ma anche i russi che, nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, contano migliaia di foreign fighter tra i jihadisti (fino a 3 mila, secondo alcune stime), soprattutto dalla regione caucasica piagata dal fondamentalismo islamico e dai conflitti indipendentisti.
Dal Nord dell’Iraq, l’Isis è in ritirata e oltre il Mar Caspio, in Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, la repressione dei regimi filorussi non permette penetrazioni significative.

CONDIZIONI IDEALI PER IL CALIFFO. Le condizioni dell’Afghanistan sono invece ideali per i piani di al Baghdadi nell’Asia centrale e orientale, continente nel quale – dal Pakistan, alle Filippine, alla minoranza islamica cinese degli uiguri – esistono ampie sacche di proseliti da coltivare.
Nell’ex regno dei talebani – hanno governato a Kabul tra il 1996 e il 2001 delle stragi dell l’11 settembre – i jihadisti del Califfato contano di far presa, sfruttando la disperazione dei giovani e le scissioni interne.
A Sud di Kabul, un gruppo di giovani si è fatto filmare con una bandiera dell’Isis, dichiarando di aver «stabilito contatti con il Califfato, attraverso un amico dell’Helmand» e di parlare con i gruppi dell’Isis in Siria e in Iraq attraverso «telefoni satellitari».

PROCESSO DI RADICALIZZAZIONE IN CORSO. Un braccio armato vero e proprio è ancora inesistente. Ma nei villaggi si fanno campagne di reclutamento e con i talebani il dibattito è se unirsi in una sorta di matrimonio Isis-al Qaeda oppure, in alternativa, sfilare loro affiliati bene addestrati.
Alcune frange dei protettori di Osama bin Laden sono frustrate per le aperture alle trattative con il governo di Kabul e con gli Usa. E, in Afghanistan, è in corso da anni un processo di radicalizzazione in gruppi terroristici peggiori dei talebani.
La pubblicazione della biografia dell’inafferrabile Mullah Omar, per l’anniversario della sua nomina a leader dei talebani, è il tentativo di ricompattare il movimento in un momento di grande frammentazione.

L’invasione delle bandiere nere: l’allarme dei funzionari.
Nella cellula afghana dell’Isis è in via di designazione un capo.
Ma un loro leader, l’ex detenuto di Guantanamo Abdul Rauf Khadim, operava nel 2014, prima di cadere, all’inizio dell’anno, in un raid dei droni Usa. E il suo sostituto, Hafiz Waheed, signore della guerra migrato dai talebani all’Isis, è morto bombardato dall’aviazione afghana.
Anche nel Nord e nell’Ovest del Paese, nelle località fuori controllo anche durante la missione Nato come tra Khak e Safid, tra le province di Herat e Farh, l’Isis si starebbe allacciando alle reti tribali e criminali.
Come in Yemen, le campagne di droni sono inutili. Ucciso un capo o smantellata una cellula di estremisti locali, nasce un nuovo capo e rinasce una cellula peggiore.

ATTACCHI IN STILE IRACHENO. Rapimenti e brutali attacchi contro i civili (soprattutto sciiti), negli ultimi mesi, negati con veemenza dai talebani e in stile iracheno, hanno fatto sospettare azioni legate al Califfato e smosso il maggiore leader sciita afghano, deputato ed ex mujaheddin, Mohammad Mohaqiq, a puntare il dito contro alcuni ex leader talebani, ora «alleati all’Isis».
Con toni più e meno allarmistici, funzionari di cinque province (Zabul, Nangarhar, Farah, Wardak e Ghazni), hanno raccontato di «gente straniera dall’Asia centrale e dai Paesi arabi con vestiti e bandiere nere», arrivata in alcuni distretti. «Stranieri ricchi», bene equipaggiati di armi e mezzi, alcuni anche con «famiglie al seguito», «incluse donne».

CAMPI DI ADDESTRAMENTO A HERAT. Per alcuni è prevalente la componente degli «ex talebani», per altri dei «foreign fighter». Tra le montagne di Khak, a Herat dov’è di stanza il contingente italiano, un gruppo avrebbe creato un «campo d’addestramento vicino a case abbandonate».
In visita a Washington, il presidente afghano Ashraf Ghani si è definito in «prima linea contro una terribile minaccia», «terroristi che non riconoscono né confini, né passaporti». La missione Onu in Afghanistan (Unama) ha confermato le infiltrazioni dell’Isis, «potenziale punto di riferimento per insorti altrimenti isolati», denunciate dai diplomatici di Kabul e da Mosca.
Il 2014 è stato un anno record per vittime tra i civili (3.699 morti e 6.849 feriti, +22% rispetto al 2013). I 10 mila soldati Usa in Afghanistan rientreranno a fine 2016?

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