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UN’ALTRA VITA È POSSIBILE.

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di Cristiana Cella (Cisda Firenze), 23 luglio 2014 – L’Unità

IMG 3831 640x254Il progetto Vite Preziose ha compiuto tre anni, cambiando, con il sostegno mensile dei lettori, la vita di 28 donne afghane, vittime della violenza maschile fondamentalista. L’Unità è stata ed è, in questo lungo tempo di battaglie, un ponte di solidarietà straordinario. Sono orgogliosa della qualità umana dei lettori del giornale su cui scrivo.

Persone che fanno molto, con semplicità e affetto, inventandosi sempre nuove strategie per aiutare chi vive ogni giorno in condizioni insostenibili. Persone che ci ringraziano per aver dato loro la possibilità di entrare nella vita di donne lontane, sì, ma che vivono in un paese nel quale i nostri soldati, le nostre armi e i nostri soldi, stanno stabilmente da 13 anni. Un paese, quindi, che dovrebbe riguardarci da vicino. Sono quei civili afghani di cui nessuno parla e che vivono sulla loro pelle le devastazioni della guerra, dell’occupazione e del fondamentalismo misogino sempre più dilagante.

Quello che conta soprattutto, per i nostri sponsor, è la possibilità di cambiare le cose, di essere il diretto motore della trasformazione, verso una vita di dignità. E, inoltre, l’opportunità di stare al fianco delle coraggiose donne della ONG Hawca (Humanitarian Assistence of women and Children of Afghanistan), sostenendone il difficile lavoro quotidiano, sempre più rischioso. ‘La sicurezza , anche a Kabul, è molto critica- ci raccontano- Ogni giorno vediamo e sentiamo le esplosioni dei continui attentati.’

L’ultimo, nella provincia di Paktika, ha fatto 90 morti in un mercato. Mentre si dovrebbero ricontare più di 8000 schede elettorali, la lotta tra i due candidati alla presidenza è sempre più dura e rischia di trascinare il paese sull’orlo di un baratro. Le vittime civili continuano a salire, seminando incertezza e paura intorno alla ‘transizione democratica’, tanto decantata dall’Occidente.

Tra difficoltà sempre più grandi, il nostro piccolo cammino di solidarietà continua la sua strada. Qui di seguito, aggiornate dalle notizie che arrivano da Kabul, alcune delle storie di donne e bambine che, tra conquiste e ostacoli, grazie a questo prezioso sostegno, stanno provando a vivere di nuovo. La lunga guerra dentro la guerra, quella delle donne contro la violenza, la miseria, la droga e la sopraffazione continua, è sempre più dura. Le necessità delle donne che fanno parte del progetto e di quelle che si rivolgono, oggi, ad Hawca, sono sempre più pressanti.

Chi volesse partecipare e diventare parte di questa comunità solidale, può scrivere una mail a: vitepreziose@gmail.com. Riceverà tutte le informazioni che desidera.

BASERA

La storia di questa ragazzina è stata una delle prime a uscire sul giornale. Difficile anche da raccontare.Basera, a 14 anni, è violentata da un amico del padre. Non dice niente ai suoi per paura di essere picchiata o uccisa dal padre. In Afghanistan, la colpa e la vergona dello stupro ricadono sulla vittima, il colpevole viene raramente punito. Ma Basera è incinta e, a un a certo punto, non può più nascondere la gravidanza, già avanzata.

Madre e fratello la fanno abortire nella stalla, con un coltello da cucina. Rischia di morire prima che il padre si decida a portarla in ospedale. Le avvocate di Hawca riescono a fare arrestare lo stupratore. Con molta probabilità, resterà poco in prigione, in Afghanistan funziona così, ma è già qualcosa. Rimane due anni nella ‘casa protetta’, mentre madre e fratello subisco anche loro una condanna.

L’aiuto di Ciro e Michela le permette di curarsi e di seguire la scuola. Con il lungo e paziente lavoro di Hawca, la famiglia capisce il male che le ha fatto. Ora Basera ha accettato di tornare a vivere con loro, sotto lo stretto controllo delle assistenti sociali di Hawca. La sua vita continua a migliorare. I problemi fisici sono ormai dietro le spalle ma deve essere ancora seguita dallo psicologo per il trauma subito. È cambiata, è felice della sua vita, è una ragazza allegra, ha ritrovato se stessa. Segue la scuola con profitto e, oltre a questo, cuce vestiti per le persone del suo quartiere, sogna di aprire un negozio. E’ sempre più brava ed è fermamente decisa a diventare una grande stilista. Pensa ogni giorno ai suoi sponsor e prega per il loro successo.


NELOFAR

Nelofar è vedova con quattro figli e, come moltissime altre donne nella sua condizione, è costretta a vivere nella casa del cognato, un uomo brutale e violento. Le impedisce di lavorare. Se lo farà, la caccerà di casa e non rivedrà più i suoi figli. Il ricatto la imprigiona nell’incubo delle continue violenze del cognato. I figli non vanno a scuola ma a mendicare, l’unico ‘lavoro’ concesso. Il figlio maggiore impara presto il comportamento dello zio.

Si droga e diventa violento anche con la madre. L’aiuto di Laura, Stefania, Martin e Emma, si rivela subito fondamentale. Il denaro che riceve ogni mese spezza la dipendenza dal cognato e le dà la forza di reagire. Ora Nelofar è libera, vive con i figli per conto suo, a casa di parenti. I ragazzi hanno ripreso la scuola con successo e lei ha trovato un buon lavoro come donna delle pulizie in una famiglia.

Golam Azrat, il figlio maggiore, è stato curato in un centro di recupero, ha smesso completamente con la droga e le violenze e segue con profitto un corso d’inglese. Il sostegno economico e psicologico continua a nutrire la fiducia necessaria a organizzare un futuro contando sulle proprie forze.

 


HABEBA

L’inferno di Habeba comincia presto. Il padre la fa sposare a 12 anni. Sceglie davvero bene il marito. È malato di mente e sfoga, da subito, la violenza che ha dentro su di lei. Ma non basta, tutta la famiglia si accanisce sulla piccola Habeba. Ha due figli, ancora adolescente.

Regolarmente la cacciano di casa e Habeba si ritrova sola per strada. Un posto pericoloso, dice, dove una giovane donna non dovrebbe stare. Non sa dove andare. Il padre la rifiuta e la rispedisce dal marito.

Lui, intanto diventa completamente pazzo, è ricoverato in ospedale, scappa e non dà più notizie per tre anni. Purtroppo, un brutto giorno, torna a casa e allora è Habeba a scappare con il figlio più piccolo. Si rifugia nello ‘shelter’ di Hawca, dove trova protezione dalla violenza e dalla paura. Da tre anni un gruppo di lettrici di Pavia la sostiene ogni mese. Habeba ha potuto curarsi per i numerosi traumi subiti, si è rimessa in forze e ha scoperto con determinazione che può costruirsi una vita diversa. Le avvocate di Hawca continuano a occuparsi del suo divorzio, difficile per l’ostilità della famiglia.

Adesso, sembra, sono arrivati alla fine del lungo processo e il divorzio dovrebbe arrivare a breve. Intanto il fratello, grazie all’autonomia economica, ha accettato di farla vivere a casa sua e sostiene la sua decisione di divorziare. Cosa piuttosto rara in Afghanistan. Sta meglio, anche se deve continuare a curarsi e manda regolarmente il figlio a scuola. E’ molto affettuoso con lei e ha successo negli studi, cosa che le dà un grande conforto e la speranza che in futuro diventi un uomo diverso da suo padre. L’altro figlio se l’è preso il cognato e non l’ha più rivisto. ‘Quando avrò avuto il divorzio- dice- sarò una donna libera e non sarò mai più la schiava di nessuno! Senza l’aiuto di Hawca e delle mie sponsor non ce l’avrei mai fatta a salvarmi da quella vita. Grazie.’


HOMA

Homa vive da sola con la figlia, da quando il marito fu ucciso nella carneficina della guerra civile. Non ha una famiglia che la sostenga. Si arrangia come può. Fa le pulizie in una scuola, affitta una stanza presso alcuni parenti ma è malata di una grave forma di epatite. Quando non ce la fa, va a mendicare con la sua ragazza per le strade di Kabul, come molte altre vedove.

La paura è sempre lì, ogni mattina, racconta con sincerità i tetri pensieri con cui si sveglia Ha paura di morire, di lasciar sola la figlia, che anche lei venga contagiata. Entra nel progetto tre anni fa e con l’aiuto di Giovanna, la sua vita cambia. Smette di mendicare, si cura regolarmente, mangia meglio, può pagare l’affitto e mandare a scuola la figlia che ha potuto prendere tutte e dosi di vaccino per proteggersi dalla malattia della madre. È molto brava, passa tutti gli esami con ottimi voti. La sua salute continua a migliorare ma deve prendere con regolarità le medicine. È molto debole ma con l’aiuto della nostra lettrice, può rallentare il ritmo e sta cercando un lavoro migliore per lei e per la figlia.’

Benedico ogni giorno la mia amica italiana. Senza di lei sarei bell’e morta. Ci ha ridato la vita e la speranza, soprattutto per il futuro di mia figlia. Spero tanto che abbia una vita diversa dalla mia.’


NAHIDA

Nahida ha sei anni quando, tre anni fa, chiede aiuto per una grave malattia alle orecchie che avrebbe compromesso il suo futuro, rendendola completamente sorda. Curare Nahida è impossibile, i soldi bastano appena per sopravvivere. Alla famiglia provvede la madre, facendo il bucato per i vicini, perché il padre, vittima di un attacco suicida, è invalido e non può lavorare. Chiede aiuto ovunque, senza successo.

Poi si rivolge ad Hawca, entra nel progetto e, da tre anni, Albalisa si occupa di lei, sostenendo tutte le spese necessarie alla sua vita e alla sua salute. La situazione della famiglia cambia e la bimba può essere operata alle orecchie.

Le sue condizioni migliorano, comincia a sentirci quasi normalmente e riprende la scuola. È brava, e affronta con successo gli esami. Ma le ultime notizie sono cattive. Purtroppo, dopo l’ultimo duro inverno, Nahida riprende a stare male e a non sentire. Il suo dottore, nel frattempo, lascia l’Afghanistan. Il nuovo medico scopre che Nahida ha un tumore al cervello che minaccia, ora, la sua vita e che diventa il problema più urgente. L’operazione, come tutte le cure mediche, costa molto.
La madre non ce la può fare da sola e, di nuovo, chiede aiuto ad Hawca. Aiuto che abbiamo sempre trovato all’interno del nostro progetto e della comunità di lettori che ci ha sostenuto. Spero che qualcuno possa darle una mano.

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