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L’AFGHANISTAN DIETRO LE SPALLE: il rapporto di Human Rights Watch 2014 sul rispetto dei diritti umani

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L’Unità – 3 febbraio 2014 – di Cristiana Cella

afg jf copyIn Afghanistan prosegue la smobilitazione delle truppe internazionali e si fanno i bagagli. Del paese che si lasceranno alle spalle, dopo 13 anni di guerra, innumerevoli morti e miliardi  spesi, dà un quadro allarmante, a due mesi dalle elezioni presidenziali e con molte questioni politiche sospese, il report annuale 2014, sullo stato dei diritti umani, di Human Rights Watch, uscito in questi giorni.

Nell’anno appena finito, l’instabilità è cresciuta e il rispetto dei diritti umani, in particolare di quelli delle donne, è calato progressivamente. Il disinteresse dei media e della comunità internazionale sulle vicende afghane, sottolinea il rapporto, ha  fatto mancare, con la complicità del silenzio, la pressione politica sul rispetto degli impegni che il  governo Karzai si era assunto, dopo la conferenza di Tokyo.

Le preoccupazioni per la sicurezza della popolazione restano alte. Secondo l’ONU, le vittime civili sono aumentate del 23% rispetto al 2012, colpite, per la maggior  parte, da gruppi armati e talebani, o dagli attacchi aerei occidentali. L’instabilità e i combattimenti hanno spinto, nel 2013, 106.000 afghani a lasciare le loro case e ad ammassarsi nei disperati campi profughi delle città, portando, secondo l’UNHCR, il numero degli sfollati interni a più di 583.000. In aumento anche gli afghani che cercano, e in larga parte non trovano, salvezza all’estero.

 

Forti sono anche i dubbi sulla capacità effettiva di controllare il territorio da parte delle Forze di Sicurezza Afghane. Mentre si svolge il passaggio delle consegne, ogni mese, durante la stagione di scontri, 400 soldati afghani sono stati uccisi. Continuano i cosiddetti ‘insider attack’, uccisioni di uomini della sicurezza per mano dei loro colleghi, l’ultimo nella provincia di Herat, il 26 gennaio. Attacchi che colpiscono anche le forze della coalizione, noti come ‘green on blue’.

Preoccupante, secondo il rapporto, l’aumento degli abusi impuniti, omicidi, stupri, rapimenti ed estorsioni, di cui viene accusata la Polizia Locale Afghana, istituita dall’esercito americano in collaborazione col governo, che sfugge a un regolare controllo. Incerta sembra la possibilità di garantire la sicurezza nelle giornate elettorali. Metà dei 7000 seggi previsti per le elezioni, continua il rapporto, sono già stati gravemente minacciati, mentre il processo elettorale va a rilento, con scarsa registrazione dei votanti, minima quella delle donne.  L’Accordo Bilaterale per la Sicurezza, che dovrà decidere le modalità dell’impegno militare Usa dopo il 2014, resta ancora sospeso, nuovamente rinviato da Karzai a dopo le elezioni, aumentando l’incertezza politica sul futuro.

I candidati alle elezioni del 5 aprile, non sono meno scoraggianti. Gli afghani si ritroveranno in lizza, combinati in diverse coalizioni, ex militari e comandanti di milizie, seriamente implicati in abusi di diritti umani, e famosi warlords, protagonisti della guerra civile (‘92/’96), come Rasul Sayyaf, che invitò in Afghanistan Osama Bin Laden, Ismail Khan e Rashid Dostum.

Uomini, colpevoli di crimini di guerra, che hanno continuato, negli ultimi 13 anni, ad accrescere il loro potere e gli abusi contro la popolazione. Perfino Gulbuddin Hekmatyar, leader di Hezb-i-Islami, formazione estremista vicina ai talebani, ha presentato uno dei suoi leader. Com’è possibile che questi personaggi si candidino alle elezioni?

Eppure la Costituzione afghana impedisce a “individui condannati per crimini contro l’umanità e  atti criminali” di correre per la carica elettiva. Ma le condanne non ci sono mai state. Human Rights Watch ha lanciato l’allarme già in ottobre scorso, alla chiusura delle liste, chiedendo l’abrogazione dell’amnistia, concessa da Karzai nel 2010, per tutti i crimini di guerra commessi nei 30 anni passati, e delle leggi elettorali, approvate nel ’13, che impediscono alla Commissione per i reclami elettorali di bandire i candidati, responsabili di passate  atrocità. ‘ Per 13 anni, afferma Brad Adams, direttore HRW per l’Asia- il governo afghano e i suoi alleati internazionali hanno sostenuto comandanti implicati in gravi crimini, bloccando la giustizia a cui le vittime avevano diritto. Un futuro giusto e sicuro per l’Afghanistan non può essere costruito dalle stesse persone che lo hanno distrutto in passato.’

Sono cresciuti anche, scrive il rapporto, i rischi per i giornalisti indipendenti: 40 gli attacchi, solo nei primi sei mesi dell’anno, alcuni anche  da parte delle forze di sicurezza o di ufficiali governativi. Il calo dell’interesse internazionale sui diritti delle donne, secondo HRW, ha anche permesso, nello scorso anno, di mettere a serio rischio i limitati, ma fondamentali, diritti acquisiti. La legge EVAW (per l’eliminazione della violenza contro le donne), approvata da Karzai nel 2009, è stata messa in discussione in Parlamento, con decise richieste di abrogazione.

Secondo il nuovo codice penale, è vietato ai membri di una stessa famiglia di testimoniare in tribunale nei casi penali, clausola che renderà sempre più difficile perseguire i casi di violenza domestica e i matrimoni precoci. E, intanto, cresce l’impunità per questi delitti. I, già pochi, condannati vengono liberati dal carcere, come i suoceri della piccola Sahar Gul, torturata dalla famiglia del marito. Nell’anno passato, il parlamento ha inoltre deciso di ridurre il 25% dei seggi parlamentari riservati alle donne nei 34 consigli provinciali.

E sono continuati gli attacchi, omicidi e intimidazioni, contro donne impegnate nella vita politica e sociale. Saranno proprio i diritti delle donne ad essere il principale ostaggio nelle ‘trattative’ con i gruppi di taleban che, lungi dall’essere indeboliti, operano in gran parte del paese e sono pronti a prendere in consegna intere province.

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