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IL LUNGO CAMMINO DEL PROGETTO VITE PREZIOSE.

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di Cristiana Cella – Cisda Firenze

HAWCALogo copyDa tre anni il progetto Vite Preziose sostiene la vita e le speranze di 28 donne afghane, vittime della violenza maschile fondamentalista. Da tre anni, donne e uomini italiani , con un contributo mensile di 50 o 25 euro, o con una donazione ‘una tantum’, sono al loro fianco nelle difficili battaglie quotidiane e sulla rischiosa strada del loro riscatto. Siamo fieri dei nostri sponsor, che con generosità ed entusiasmo continuano a seguirci, , e delle piccole/grandi conquiste che abbiamo ottenuto.

Il progetto portato avanti insieme alla Ong di donne afghane Hawca (Humanitarian Assistence of women and Children of Afghanistan), e al Cisda, ha trovato grande spazio e sostegno sulle pagine e sul sito dell’Unità, dove è stato lanciato nel 2011. Oggi, dopo la, speriamo provvisoria, chiusura, il nostro progetto sarà ancora più presente su Osservatorio Afghanistan, raccogliendo tutti gli aggiornamenti e le notizie che ci arrivano da Kabul.

In questi tre anni, la vita e le condizioni della popolazione civile afghana non hanno fatto che peggiorare. La guerra dimenticata continua il suo devastante corso. Miseria, droga, vittime di bombardamenti e attentati sono aumentate ogni anno. Mentre il fondamentalismo dilaga e si rafforza sempre di più, nelle famiglie, nel Governo, nelle Istituzioni e nella giustizia, le sofferenze delle donne sono tragicamente cresciute.

E il coraggioso lavoro di Hawca diventa sempre più difficile e pericoloso. Proprio per questo è importante che il nostro sostegno, questo piccolo ponte di solidarietà, continui con forza il suo percorso, aiutando, se possibile, un numero sempre maggiore di madri di famiglia, bambine, ragazze, vedove e affiancando le battaglie politiche di Hawca e delle altre organizzazioni democratiche che sosteniamo da anni. Perché ognuna di loro e l’Afghanistan stesso, possano avere un futuro.
Ecco le storie aggiornate di alcune delle donne che partecipano al progetto. Per ulteriori informazioni, notizie o dubbi, scrivete a: vitepreziose@gmail.com


SAFIA – LA STORIA
Ho 32 anni vivo alla periferia di Kabul. Sono nata quando i russi sono entrati nel mio paese. La pace non so cosa sia, è un tempo lontano, nei ricordi di mia madre. Sembra una favola, finta. Era il ’96 quando mio marito è morto. Da quattro anni i capi mujahiddin si sbranavano come cani rabbiosi intorno a un osso, Kabul. Si moriva anche solo per andare a cercare un po’ d’acqua. Vivevamo come topi, chiusi, terrorizzati, nelle nostre case. Allora sono arrivati i talebani, dicendo, come dicono tutti prima di sparare, di portare la pace.

Nel mio quartiere, eravamo tagiki, lì si era installato Massud per attaccare i talebani. I combattimenti erano feroci. Massud ha perso, è scappato nella sua roccaforte del Panshir. Lui e i suoi sono scappati. Ma noi siamo rimasti, da soli, a subire la vendetta talebana. Molte persone innocenti sono state massacrate, bastava la nostra faccia, bastava che venissimo dal Panshir. Mio marito è stata una di queste vittime. Ero giovane allora, e avevo già tre figli, molto piccoli. Per i bambini vivere era una scommessa. Il mio figlio maschio si è ammalto. Tubercolosi.

Due anni fa è morto. Finché c’era lui, vivere con la famiglia di mio cognato era sopportabile, mi difendeva. Ma da due anni, io e le mie figlie siamo prigioniere di questa famiglia. Mio cognato non vuole che vadano a scuola, né che io lavori fuori casa. Mia cognata mi grida tutto il giorno: ’Fino a quando dobbiamo darvi da mangiare?’ Minaccia continuamente di buttarci fuori casa. Quando mio cognato torna dal lavoro, ci accusa di qualsiasi sciocchezza e lui ci picchia, ogni sera. La mia speranza sono le mie figlie. Che possano avere un’altra vita, che non debbano sentirsi vecchie a 30 anni. Se avessi un po’ di soldi miei, potrei mandarle di nuovo a scuola, potrei lasciare questa casa, dove non ci vogliono, e cercare un piccolo lavoro. Trovare almeno la pace dentro.

GLI SVILUPPI
L’aiuto di Paola, che è al suo fianco da un anno e mezzo, comincia a cambiare la sua vita e a riportare un po’ di speranza. Con il sostegno che riceve, si libera dal ricatto economico della famiglia e può provvedere alle necessità sue e delle figlie. Non deve più subire gli insulti e le violenze che accompagnavano ogni sua richiesta, anche solo di sopravvivenza. Come sempre qui, la via della liberazione per le donne passa dalla scuola e Safia vuole fermamente che le sue figlie riprendano a studiare, per costruirsi una vita diversa dalla sua.

Con l’aiuto della sua sponsor e delle assistenti di Hawca, riescono a ottenere questo prezioso traguardo. Ma i guai non sono finiti. Il cognato si mette in mente di sposare la figlia maggiore, ancora bambina e la ossessiona con le sue pressioni. Safia lotta con le unghie e coi denti per proteggerla. Come spesso succede, il sostegno economico diventa un’arma di difesa.

‘Se le ragazze non vanno a scuola, il sostegno finirà’ così dicono ai loro uomini molte delle nostre amiche. E gli uomini si convincono. Il cognato molla la presa ma propone il figlio. Vuole assolutamente che la bambina sposi il cugino.
La ragazzina, che ha già imparato a combattere, rifiuta e grazie ad Hawca che l’appoggia, riesce a sventare anche il pericolo di questo matrimonio forzato. Continua a studiare con ottimi voti. Safia riesce anche a lavorare fuori casa adesso, come donna delle pulizie , e guadagna qualcosa. Il sogno è quello di andare a vivere da sola con le figlie, una cosa difficilissima in Afghanistan, ma ora che il percorso è cominciato e non è più sola , è convinta che ce la farà. Lasciare l’inferno di quella casa sarà la sua vittoria più grande.
Per questo cerca un lavoro migliore, per poter mettere da parte il necessario. La sua amica italiana, che ringrazia ogni giorno, è la sua principale alleata in questa difficile battaglia.

 

HAIYRA – LA STORIA
Ho 45 anni e sono di Bamjan. Sono stati i bombardamenti americani sul nostro paese, nel 2001, a portar via i piedi a mio marito. Gli hanno danneggiato gravemente anche le gambe e non può più camminare. Si sente inutile e ha sempre bisogno di medicine.

Da allora sono io a mantenere la famiglia. Faccio il pane per il mio quartiere, il nan, è molto buono. Ma i soldi se ne vanno quasi tutti per le cure di mio marito. Non ne ho più abbastanza per mandare a scuola le mie due figlie.

Ho dovuto ritirarle, con la morte nel cuore. So bene che l’istruzione è la sola porta che hanno per entrare in un futuro migliore. Mi sento in colpa verso di loro, vorrebbero tanto andare a scuola. E invece devono aiutarmi nel lavoro, da sola non ce la faccio. Sono molto stanca di questa vita, a volte sono disperata e mi viene il pensiero di farla finita. Ma poi vedo il sorriso delle mie ragazze e dimentico tutta la fatica. Avrei bisogno di un aiuto perché potessero finire i loro studi. Vorrei vederle ogni giorno con i libri sotto braccio, avviarsi verso il loro futuro, migliore del mio. Ne sarei davvero felice, nonostante tutto.

GLI SVILUPPI
I brutti pensieri se ne vanno quando Christiane entra nella sua vita. Da più di un anno si occupa di lei. L’aiuto economico le permette di andare avanti. Le figlie possono riprendere finalmente la scuola. Ma soprattutto, come sempre, sapere che qualcuno dall’altra parte del mondo pensa a lei è la consapevolezza più preziosa. Diceva Haiyra qualche tempo fa.

“Ringrazio tanto questa donna, che capisce i miei problemi e mi sostiene. Ora vedo di nuovo le mie ragazze andare ogni giorno a scuola. Per noi donne, è l’unica strada per un futuro diverso. Questa persona è per me un’amorevole sorella, ancora più preziosa in questi tempi in cui non riesci a farti aiutare nemmeno da una sorella di sangue.

Sono molto felice di ricevere, ogni mese, questo denaro che mi solleva nella mia difficile situazione. Purtroppo le cure per mio marito sono molto care. È un grandissimo aiuto per me che non dimenticherò mai. Sarò sempre molto orgogliosa del sostegno della mia sorella lontana.” Oggi, ancora, la sua vita è molto difficile ma non si perde d’animo. Oltre a vendere il nan, adesso vende anche uova bollite. Purtroppo però, in questi mesi, il prezzo della farina è salito molto e i guadagni diventano sempre più scarsi. Quando le assistenti di Hawca la vanno a trovare, ha spesso momenti di sconforto. Ma tiene duro, cerca altri lavori, accudisce il marito invalido e, grazie a Christiane, continua a mandare a scuola le sue figlie. Senza il suo aiuto non ce la farebbe.


BIBI KHADIJA – LA STORIA
Ho 49 anni, tantissimi qui. La guerra civile, la furia dei mujahiddin, signori della guerra, che ancora ci governano, è stata un incubo di quattro anni. Si è portata via mio marito e mio figlio maggiore. Io e mia figlia viviamo con la famiglia di mio cognato, siamo in 12. Non c’è giorno che non mi gridino addosso : ‘sei tu il problema, da anni ti diamo da mangiare gratis!’.

‘Certo, dico io, avete ragione. Io voglio lavorare e guadagnare il pane per me e per mia figlia.’ Allora loro urlano ancora di più, uno scandalo, mi dicono che sono una puttana, mi picchiano, tutti, e mi chiudono in casa. Ma io riesco lo stesso a procurarmi qualcosa, vado a fare le pulizie dai vicini, di nascosto, così quando non ci danno da mangiare, posso comprare qualcosa per noi. Difficile trovare un motivo per continuare. Forse è il sogno, ci penso sempre, mi dà forza, prima o poi ce la farò. Vorrei poter vivere da sola con mia figlia e lavorare insieme per decidere ogni giorno la nostra vita, come vogliamo, io e lei. Un sogno. Ma sono pronta a tutto per realizzarlo.

GLI SVILUPPI
Bibi è intrappolata da anni nel ricatto familiare. La dipendenza economica è la catena più forte che la costringe ad accettare gli abusi dei familiari. Il sostegno di Lucia le cambia la vita. Diceva, qualche mese fa: “Ora non devo più chiedere ai parenti di mio marito di darmi cibo, vestiti e di curarmi quando sono malata, posso procurarmeli da sola. Se mi davano qualcosa era sempre accompagnato da insulti e da botte. È un grandissimo sollievo. Grazie, non avrei mai nemmeno sperato che potesse succedere.”

La sua nuova autonomia le dà coraggio e pretende di poter lavorare fuori casa. All’inizio, la risposta del cognato è scoraggiante. Che vada pure a lavorare, basta che i soldi li dia a loro. Bibi si ribella. Non vuole lavorare per i suoi carcerieri ma per la sua piccola famiglia e per realizzare il sogno di andarsene per sempre da quella orribile casa. L’aiuto di Hawca e il sostegno di Lucia hanno finalmente avuto la meglio. Vive ancora lì, per il momento, ma va a lavorare, fa le pulizie in una casa di vicini e riesce a tenersi i suoi guadagni che, uniti, al sostegno mensile, le garantiscono l’autonomia. È già un passo importante, il resto verrà. Ha ancora molto bisogno di aiuto per non ricadere nella trappola familiare e trovare la forza di andarsene.


HUMAIRA – LA STORIA
Ho 21 anni. La scuola era la cosa più bella della mia vita. L’ho seguita fino all’ 8° classe, ero brava. Poi tutto è finito. Mio padre mi ha dato in moglie a un uomo di 49. Vedovo, la moglie morta in gravidanza, forse, penso, per colpa sua. Aveva già 4 figli, poi, un anno fa, è nato anche il mio. Uno dei suoi figli ha la mia età. È il più feroce con me.
Io non mi sono rassegnata a perdere la scuola, continuo a chiedere che mi ci lascino andare. Ogni volta mi picchiano, soprattutto lui, il figlio, che è giovane e forte. Mi ha picchiato così tanto che non riesco più a muovermi bene. Così sto in casa, sto seduta e cucio i vestiti per le persone del quartiere. Guadagno qualcosa, per me, quando riesco a non farmelo portar via. Ma non basta per cambiare vita. Vorrei il divorzio da quest’uomo, avere un po’ di libertà, un’autonomia economica, vivere con il mio bambino, magari a casa dei miei o di qualche parente. Ci credo ancora che possa succedere.

GLI SVILUPPI
L’aiuto di Maurizio è il suo più grande tesoro. Con questi soldi riesce a curarsi e andare all’ospedale di nascosto dal marito che non glielo permette. Il sogno, il divorzio, allontanarsi per sempre, con il suo bambino, da quell’uomo violento, è ancora difficile da realizzare.
Non ha il coraggio di annunciare questa decisione, ha paura delle conseguenze, immaginabili, di un simile affronto. Negli ultimi mesi, per fortuna, il figlio e la figlia maggiori del marito si sono sposati e se ne sono andati via. È stato un grande sollievo per Humaira, perché erano loro i suoi peggiori aguzzini. Pian piano, con gli interventi costanti delle assistenti di Hawca, anche il marito ha cominciato a cambiare il suo comportamento aggressivo. Ma, ancora, non le permette di andare in ospedale, cosa che continua a fare di nascosto. Riesce anche a comprarsi le medicine per i suoi seri problemi di stomaco. Forse, quando starà meglio fisicamente, arriverà anche il coraggio di rifugiarsi nella casa protetta di Hawca per iniziare una nuova vita, libera dalla paura.


SABIRA – LA STORIA
Ho 19 anni e sono di Kunduz. Due anni fa mio padre mi ha detto che mi aveva dato in moglie. Non c’era modo di sapere chi fosse, speravo almeno che fosse giovane. Aveva 52 anni, più vecchio di mio padre e, davvero, li portava male. L’ho visto la prima volta il giorno maledetto del mio matrimonio. L’ho sbirciato dalla porta e mi ha preso il panico. Ho pianto e urlato così tanto da farmi venire la faccia gonfia come un melone.
Tra le braccia di mia madre. Ma lei mi diceva: ’Figlia mia, lo so, ci siamo passate tutte. Ma non c’è niente da fare, dobbiamo accettare, non abbiamo scelta. Lui è un uomo potente, ci ucciderà tutti se diciamo di no.’ Adesso vivo con lui, sua moglie e i suoi cinque figli.

Sua moglie non capisce, mi odia, dice che sono una puttana e che ho voluto io sposare quel brutto vecchio di nostro marito. Non mi parla mai, m’insulta solo, tutto il giorno, mi fa mille dispetti, aizza i suoi cinque figli contro di me.
Tutti insieme sono un esercito. Se parlo di scuola, fanno a gara a picchiarmi. Ma il dolore più grande è fuori dalla finestra. Vedo passare le ragazze della mia età, che, beate loro, non sono sposate, che vanno a scuola insieme, ridono, camminano. Le invidio tanto che mi viene voglia di morire, solo per uscire di qui. Ma poi mi dico: ‘Se lo vuoi davvero, Sabira, devi crederci. Devi combattere per questo.’ Non posso farlo da sola, così ho chiesto aiuto ad Hawca. Vorrei continuare a studiare e raggiungere quella vita lì, che passa fuori dalla finestra.

GLI SVILUPPI
La vita di Sabira è davvero insopportabile. Ma quel barlume di speranza, dentro di lei, cresce e si rafforza da quando Costanza e Adriana si occupano di lei. Come per altre ragazze, i bisogni elementari della sopravvivenza diventano il pretesto per la violenza.
È questo il primo risultato del sostegno delle nostre lettrici. Sabira ha un piccolo gruzzolo solo suo, un piccolo spazio che le appartiene in quella vita opprimente. Può procurarsi quello che le serve senza chiedere niente. L’autonomia economica è la sua protezione dalla violenza. Diceva , qualche mese fa:’ Ringrazio tanto le persone che mi sostengono. Un giorno vorrei anch’io poter aiutare le ragazze che, come me, soffrono, ogni momento della loro vita, per la violenza domestica.’ Certo, potrà ritrovare la sua salute mentale e fisica, solo lontano da questa casa.

Ma, ancora, ci sono grossi ostacoli per il divorzio. Tempo fa, Sabira aveva chiesto consiglio alla madre. Sperava nel suo appoggio per il divorzio. La risposta era stata davvero deprimente. ‘ Guardatene bene, risponde, tuo padre non lo permetterà mai e ti ucciderà se farai una cosa del genere. Noi donne dobbiamo sopportare di essere schiave nella casa del marito.

Non permetterti di portare la vergogna sulla nostra famiglia, davanti agli altri e alla tribù. ’Ripetutamente, ogni volta che vanno da lei, le assistenti sociali di Hawca provano a convincerla a rifugiarsi nella Casa Protetta. Ma la ragazza ha paura della reazione della famiglia, che il suo inferno possa ancora peggiorare. Chiede che qualcuno l’aiuti a far cambiare il marito. Un’impresa apparentemente disperata, ma Hawca ci ha provato, con la determinazione che la distingue. In un primo tempo, le cose sono addirittura peggiorate.

Sabira non rimane incinta e questo fa ulteriormente infuriare il marito ed è continuo pretesto per le violenze. Ma, adesso, un risultato importante è stato ottenuto. Con l’insistenza di Hawca e con la somma del sostegno che riceve, il marito le ha dato finalmente il permesso di frequentare un corso di alfabetizzazione. Di questo Sabira è felice, quelle ore passate a scuola sono la sua ragione di vita. L’aiuto che riceve le permette di pagarsi i libri, le spese e i trasporti. In questa situazione, una delle più drammatiche, è già molto. Tutti speriamo che questo momento di libertà e di speranza le dia la forza di scappare e di trovare rifugio e tranquillità nello shelter di Hawca, per iniziare davvero il cammino del suo riscatto.

Le battaglie di queste donne sono molto dure e hanno ancora bisogno del nostro sostegno. Alcuni sponsor hanno dovuto interrompere il loro prezioso impegno dopo un anno e cerchiamo qualcuno che possa raccogliere il testimone della loro solidarietà. Chi è interessato ad unirsi alla nostra avventura, per dare una mano a queste donne e ragazze afghane, può scrivere una mail all’indirizzo: vitepreziose@gmail.com.  Su questo sito troverete tutte le informazioni sul progetto. Prossimamente pubblicheremo i nuovi aggiornamenti che ci arrivano da Kabul.

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