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Il corpo delle donne, arma di guerra

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dal blog di Cristiana Cella su L’Unità – 9 maggio 2014

precious life 1 640x254Nell’assordante clamore dei nostri eventi nazionali, le voci del resto del mondo sono raramente ascoltate. Anche quelle che gridano allarmi. Si preferisce accontentarsi di silenzio e propaganda e concentrarsi sui fatti che ci toccano da vicino. Ma anche il silenzio può essere violenza.

Ogni tanto, alcune tragedie riescono a farsi strada nell’indifferenza. Lo è stato per la coraggiosa Malala, colpita dai talebani, due anni fa, per la sua battaglia di libertà, lo è oggi per le 276 ragazzine rapite in Nigeria, vendute per 12 dollari, destinate allo stupro e alla violenza perché volevano studiare.

La scuola, nella quale sono state rapite, era già stata chiusa in febbraio, per le minacce di Boko Haram e riaperta solo per gli esami finali delle ragazze. Il governo nigeriano non ha fatto nulla per proteggere la loro vita e il loro diritto allo studio. Speriamo che la mobilitazione mondiale riesca a salvarle e a mantenere viva l’attenzione su tragedie come questa, che non sono, purtroppo, sole. L’attacco ai diritti e alla vita delle donne, per mano del fondamentalismo islamico, della brutalità maschile o della guerra, non ha confini e dilaga nell’impunità.

L’ultimo rapporto dell’ONU, presentato il 25 aprile, denuncia l’uso sistematico della violenza sessuale come arma di guerra. Un’arma devastante, a costo zero. Una pratica comune in 21 nazioni, di tutti i continenti. ‘Questo grave abuso contro i diritti umani è distruttivo come una bomba.’ Ha detto Ban Ki- moon. Un ‘crimine globale’ lo ha definito Zainab Hawa Bangura, rappresentante speciale ONU sulla violenza sessuale nei conflitti, ‘ che mina la prospettiva della pace e dello sviluppo e getta una lunga ombra sulla nostra collettiva umanità.’

 

Violenze ampiamente sottostimate per l’insicurezza delle zone di guerra, per la paura di ritorsioni e per la stigmatizzazione che ricade sulle vittime. Nessuno paga mai. Nessuna giustizia, nessun aiuto. Un’arma a rilascio prolungato, crimini che innescano altri crimini, ferite aperte, mai rimarginate. Bangura cita la Bosnia, recentemente visitata, dove, durante la guerra, furono 50.000 le donne violentate. Ancora oggi, dopo 20 anni , nessuno ha pagato e i colpevoli vivono fianco a fianco con le loro vittime, spesso occupando posizioni di potere che li preservano da qualsiasi accusa. Ma non sono solo le donne a essere colpite, ci sono anche i bambini e gli uomini, chiunque si trovi in condizioni di vulnerabilità.

Il rapporto identifica 34 gruppi armati, milizie di vario genere, ribelli o forze di sicurezza governative, nei 21 paesi, responsabili di questi crimini di guerra che vengono usati sistematicamente anche per ottenere il controllo di zone ricche di risorse naturali. In alcune nazioni, come Congo, Somalia, Colombia, ci sono segni di miglioramento, la giustizia comincia a funzionare come l’assistenza alle vittime. In altre, la situazione continua a peggiorare.

In Siria, ad esempio, dove la violenza sessuale, nei posti di polizia, nei checkpoints, nelle incursioni nelle case di civili, nelle carceri, è stata ed è un aspetto persistente del conflitto, da entrambe le parti. Tra i rifugiati, la paura di stupri, rapimenti e violenze su donne e bambini è indicata come una forte motivazione per la fuga dal paese. All’interno dei numerosi campi, matrimoni precoci e prostituzione sono in aumento.

In Afghanistan, che continua a distinguersi per primati negativi, secondo la Afghanistan Indipendent Human Rights Commission, le violenze contro le donne, inclusi i matrimoni forzati di ragazze a bambine, sono aumentate nel 2013 del 25%. I responsabili comprendono membri della polizia e comandanti militari, warlords, leaders tribali e gruppi armati ribelli. Nelle province del Nord e del Sud è pratica comune tra i comandanti di milizie varie, come nella polizia nazionale e locale, il bacha bozi, una forma di schiavitù sessuale di bambini, rapiti per strada o alle loro famiglie.

Violenza sessuale e assassini sono usati dai talebani per impedire a ragazze e donne l’istruzione e la partecipazione alla vita pubblica. Spesso, raccontano le donne intervistate dall’ONU, nei posti di polizia nei quali cercavano aiuto, le donne sono state ulteriormente violentate. Bangura denuncia la grave insufficienza di strutture di aiuto, di centri legali, di giustizia, assistenza medica e psicologica. Le raccomandazioni dell’ONU sono molte e circostanziate ma sono poche le nazioni che ne tengono conto.

VITE PREZIOSE, IL PROGETTO.

Difendere i diritti umani, ovunque siano violati, è qualcosa che ci riguarda tutti e non è vero che non si possa fare niente. L’aiuto da persona a persona, da società civile a società civile, funziona e cambia le cose.

Il progetto ‘Vite Preziose’, nato tre anni fa sulle pagine dell’Unità, continua efficacemente la sua strada. Una goccia nel mare, si potrebbe dire, ma il valore di una vita umana non si misura con i numeri. In questi tre anni, in cui le condizioni di sicurezza e di vita della popolazione afghana sono progressivamente peggiorate, 27 donne sono state salvate dal disastro e sono accompagnate, giorno per giorno, sulla strada della ricostruzione delle loro vite. I loro sponsor, lettori del giornale, le seguono con affetto e generosità, con un sostegno a distanza di 50 o 25 euro mensili, aiutando direttamente anche le coraggiose donne di Hawca, ONG che si occupa di loro. Da questo progetto ne è nato un altro, finanziato dal nostro Ministero degli Esteri.

Partirà proprio in questi giorni e permetterà ad Hawca di riaprire i Centri Legali, a Kabul ed Herat, chiusi nel 2012 per mancanza di fondi, le uniche strutture dove le donne vittime di violenza possono trovare protezione e aiuto, legale, psicologico e medico. Proprio quelle di cui Bangura lamenta la mancanza. Ogni storia che ho raccontato (sono nel sito, digitando in ‘cerca’ Vite Preziose’) ha il suo percorso: per alcune il lieto fine è a portata di mano, per molte altre la battaglia continua, senza cedimenti, con la determinazione che è nella natura delle donne afghane.

Ma, per ognuna di loro, abbiamo ottenuto piccole, grandi, vittorie, di cui siamo fieri: salvarsi da un matrimonio forzato, da uomini violenti, da pericoli per la vita e la salute, dalla droga, dalla prostituzione forzata, scongiurare la vendita di una bambina, sfuggire i ricatti di famiglie soffocanti, ottenere un po’ di dignità, di autonomia, di giustizia, trovare un lavoro e riprendere la scuola, sposare l’uomo che amano.

Su questo blog pubblicherò, via via, gli aggiornamenti sulle loro vite che mi arrivano da Kabul. Chi volesse partecipare a questa ‘missione di pace’ o semplicemente saperne di più può scrivere a vitepreziose@gmail.com

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