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Afghanistan: il funesto “rumore di fondo” di una guerra spesso dimenticata che dura da 13 anni

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Repubblica.it – 18.7.2014

181331494 3a882086 5666 4dae b99c 6133915c7b20Un report di Emergency da Kabul dove nell’ospedale dell’organizzazione sono stati ricevute 23 persone ferite nell’ultimo attentato avvenuto nella mattinata di qualche giorno fa nella provincia di Paktika, vicino al confine col Pakistan. Un’autobomba nel mercato affollato ha provocato 89 morti e decine di feriti.

Tra i 23 feriti c’erano 3 bambini che hanno dovuto affrontare un viaggio in ambulanza di 7 ore. I miliardi di aiuti nelle tasche dei corrotti del governo, le migliaia di morti, l’oppio che fiorisce più di prima dell’inizio del conflitto e la gente che non ne può più.

KABUL – Un continuo, incessante rumore di fondo accompagna gli eventi della cronaca internazionale: quello della guerra che ancora insanguina l’Afghanistan dopo 13 anni dal suo inizio. Nonostante le decine e decine di miliardi di dollari di aiuti versati dalla comunità internazionale, dal 2001 ad oggi, le condizioni di vita della popolazione afgana non solo non sono migliorate, ma sono peggiorate rispetto all’inizio della guerra.

La povertà assoluta è salita di una decina di punti percentuali; l’aspettativa di vita è scesa da a 44 anni (in Italia è di 81 anni), la mortalità infantile è aumentata fino ad arrivare al 150 per mille (in Italia è 3 per mille), il tasso di alfabetizzazione si aggira attorno al 30%.

Miliardi di aiuti, ma agli afgani molliche di pane. Come purtroppo si è costretti a verificare spesso, da reportage, inchieste, rapporti ufficiali, la quasi totalità degli aiuti internazionali piovuti in questi anni in Afghanistan è finita nel gigantesco pozzo nero della corruzione, costruito dai governanti di Kabul, oppure è tornata indietro sotto forma di profitti alle aziende occidentali, dedite soprattutto alla sicurezza e alle consulenze, o anche ai laudi stipendi degli operatori stranieri delle organizzazioni internazionali e di alcune Ong. Alla popolazione afgana, dunque, sono molliche di pane.

 

Del resto, anche la popolazione civile – più o meno organizzata – non può che prendere atto di tutto questo, tanto che oggi completamente disillusi e apertamente contrari sia all’occupazione straniera (a causa dei crimini di guerra e degli abusi delle forze Usa e Nato), sia al regime di Karzai (dominato da signori della guerra e della droga che sono saliti al potere con sfacciati brogli e che lo esercitano in maniera mafiosa e autoritaria).

E l’oppio coltivato è ancora di più di prima. In tredici anni di occupazione, la produzione di oppio in Afghanistan ha surclassato quella dell’epoca talebana. Quando il Mullah Omar bandì la coltivazione nel 2000 erano coltivati a papavero 82mila ettari. Nel 2007 erano saliti 193 mila; oggi sono 123mila (un calo da sovrapproduzione imposto dalle regole di mercato). Oggi inoltre l’Afghanistan esporta direttamente eroina (400 tonnellate l’anno) e la consuma (350mila tossicodipendenti e conseguente esplosione dell’Aids). Il business mondiale dell’eroina vale 70 miliardi di dollari l’anno.

Un report di Emergency. Martedì scorso – si legge in un report dell’équipe di Emergency dall’Afghanistan –  al nostro ospedale di Kabul abbiamo ricevuto 23 persone ferite nell’attentato avvenuto in mattinata nella provincia di Paktika, vicino al confine col Pakistan: un’autobomba è stata fatta esplodere in un mercato affollato, facendo 89 morti e decine di feriti. I 23 pazienti arrivati da noi, di cui 3 bambini, hanno dovuto affrontare un viaggio in ambulanza di 7 ore.

Dopo 13 anni la situazione peggiora. Dopo 13 anni di guerra, fino a 130 mila soldati stranieri presenti nel Paese e 4,2 miliardi di dollari spesi ogni anno per le forze di sicurezza afgane – pari al 50% della finanziaria locale – la situazione del Paese peggiora di giorno in giorno. Gli attentati e i combattimenti sono quotidiani: nei primi 6 mesi del 2014 abbiamo registrato un incremento del 20% dei feriti di guerra nei nostri ospedali.

Un punto di vista anche su Gaza. Fedele alla sua missione umanitaria di associazione indipendente e neutrale, nata nel 1994 per offrire cure medico-chirurgiche gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà, testarda nel promuove una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani, e forte del fatto di aver curato oltre 6 milioni di persone in 16 Paesi, Emergency sente di proporre il suo punto di vista su quanto sta accadendo a Gaza. A 8 giorni dall’inizio dell’operazione “Confine protettivo” – si legge in una sua nota – a Gaza sono 194 i morti, più di mille e quattrocento i feriti. I bombardamenti non hanno risparmiato le scuole, gli orfanotrofi, le moschee e nemmeno gli ospedali che sono diventati un obiettivo degli attacchi.

Oltre 20 mila persone – prosegue il comunicato – hanno lasciato le loro case in fuga dalla minaccia di un massacro che conoscono bene. La guerra è iniziata 66 anni fa e ancora continua: la violenza genera altra violenza, una nuova guerra evidentemente non è la soluzione al conflitto israelo-palestinese.

La guerra non è mai la soluzione. Lo vediamo tutti i giorni nei nostri ospedali, da vent’anni: la guerra non è mai la soluzione. A Gaza, come a Kabul, come a Bangui, come a Baghdad, la guerra è sempre e solo sopraffazione di altri esseri umani. Ad entrambe le parti – è l’appello di Emergency – chiediamo il cessate il fuoco immediato per la salvezza delle popolazioni civili e alla comunità internazionale di lavorare a un processo di pace che garantisca il rispetto dei diritti umani per israeliani e palestinesi. Possiamo ancora decidere di rinunciare alla guerra: solo il rispetto e la pratica dei diritti possono fermare la deriva di violenza che stiamo vivendo.

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