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La speranza nelle mani delle ragazze di Kabul

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Il Manifesto 9/3/2013 – intervista di Massimo Annibale Rossi

malalai joya bonn 400 150x150«Vorrei riunire le menti liberali per ricostruire il nostro paese, superando l’attuale servitù» «Nei media e nelle università, la presenza iraniana è sempre più aggressiva»
È una donna minuta, con uno sguardo intenso e un vestito di cotone colorato, che scandisce le parole, irrompendo in un gentile sorriso. È stata minacciata dai talebani quanto dai mujaiddin. Scampata a numerosi attentati, è divenuta un simbolo in questo Afghanistan senza requie.

È Malalai Joya, la giovane delegata che nel 2003 all’Assemblea del popolo di Kabul osò puntare il dito contro i Signori della guerra. Fu espulsa dal Parlamento nel 2006 ed ha continuato la sua lotta con un seguito senza pari nelle province di Herat e Farah, della quale è originaria. Sostiene che l’Afghanistan debba autodeterminarsi, chiede il ritiro delle “truppe di occupazione”, la fine della discriminazione delle donne e un pubblico processo per i War Lord che siedono in parlamento.

Cosa pensa dell’attuale Afghanistan?
Il nostro è un governo fantoccio e rappresenta interessi mafiosi: undici anni di false speranze hanno mutato il paese in un centro per la produzione di droga. La situazione della donna rimane catastrofica come al tempo dei Talebani e l’Afghanistan continua ad essere una delle più corrotte nazioni al mondo.

La maggior parte dei dollari ricevuti dalla comunità internazionale per la ricostruzione sono finiti nelle mani dei War Lord. Qui l’80% della popolazione è sotto la soglia di povertà e ci sono madri, come accaduto di recente a Kabul, che devono vendere i propri figli perché non possono mantenerli. Dietro la maschera della democrazia, Usa e Nato hanno ucciso migliaia di persone innocenti , hanno bombardato civili e mantenuto l’occupazione militare. Ora annunciano impunemente che i Talebani, che furono causa dell’ intervento, non sono più nemici.

Li fanno rilasciare dalle prigioni, trattano con loro, li accolgono a Kabul a spese del governo. Credo che questo tipo di pace sia più pericoloso della guerra, perché unisce i nemici dell’Afghanistan e consolida un falso governo. Grazie alle forze Nato, oggi è inoltre più semplice eliminare gli oppositori. Gli afgani stanno comprendendo di avere una grande responsabilità: la democrazia non si può esportare. Ogni popolo deve liberare se stesso.

 

Cosa pensa accadrà dopo il “ritiro” Nato?
Il loro sarà un ritiro simbolico. Intendono mantenere il controllo sul paese, in funzione degli oleodotti che lo attraversano e del gas che proviene dalle Repubbliche caucasiche. Hanno inoltre intenzione di rendere permanenti le basi militari. La propaganda Usa sostiene che ci sia il pericolo di una nuova guerra civile, da cui la necessità di continuare l’occupazione. In realtà il conflitto non è mai terminato e i paesi Nato hanno versato inutilmente il sangue dei loro soldati. In Europa milioni di persone soffrono a causa della crisi e devono sapere che i loro soldi pubblici finiscono nella mani dei Signori della guerra.
Ora i War Lord parlano di democrazia, hanno imparato a vestire all’occidentale e continuano a riempirsi le tasche. Al tempo della guerra contro l’Urss ingannarono il popolo, facendogli pensare che stessero lottando per la libertà. Ma la gente ne ha amaramente compreso l’ essenza criminale ed ha assistito al loro arricchimento tramite gli aiuti internazionali. I talebani sono l’altra faccia della medaglia e sono sostenuti dai servizi segreti pakistani e dalla Cia, che interferiscono pesantemente nella politica interna afghana. Credo che il ritiro definitivo delle truppe straniere e la fine delle ingerenze romperebbe la colonna vertebrale del fondamentalismo.

Lei è molto critica nei confronti dell’establishment: pensa di fondare un partito proprio?
Molte richieste mi arrivano in questo senso dalla gente comune, ma per come vedo ora la situazione, non penso che un nuovo partito rappresenti una soluzione. La gente sta sviluppando la propria coscienza politica e passo dopo passo si sta unendo. Io non supporto attualmente alcun deputato, ma tengo contatti con alcuni di loro per trovare soluzioni ai problemi diretti delle persone e in particolare delle donne. L’ultima elezione è stata una farsa pilotata in funzione di interessi privati.
In realtà i candidati indipendenti avevano grandi difficoltà a presentarsi e io decisi di non partecipare. Fui eletta nel 2003 all’assemblea costituente, con un vero sostegno popolare. Ho contatti con il Partito democratico della solidarietà afghano, che è formato da giovani. È molto attivo in tema di giustizia ed è presente tra la gente, organizzando manifestazioni popolari, ma i suoi membri corrono seri pericoli.

In che modo la situazione delle donne è cambiata negli ultimi undici anni?
Io non vedo cambiamenti sostanziali, e la violenza è in alcuni casi aumentata. Le donne continuano ad essere violentate, rapite, date spose bambine ma soprattutto a essere dipendenti. Per prima cosa dobbiamo riconoscere la nostra identità. L’anno passato si sono date fuoco 120 donne in Afghanistan, tuttavia penso che la via sia lottare, non auto distruggersi. Ora alcune donne stanno in Parlamento, ma sono come gocce nell’oceano. Dobbiamo resistere e in questo senso la Palestina costituisce un esempio.

Le donne devono unirsi, liberarsi e contribuire al cammino del paese verso la democrazia. Credo che l’educazione sia la chiave del futuro. Il vero problema è dare la possibilità a tutti di frequentare le scuole: in molte aree le lezioni si bloccano perché gli insegnanti non ricevono il salario. Nella Provincia di Farah si fa lezione sotto le tende, ma le notizie non vengono diffuse. Un altro grande problema è rappresentato dalle interferenze di Iran e Pakistan. Sono due paesi con regimi dittatoriali e misogini, che hanno sostenuto i signori della guerra e i talebani. Nella fase attuale si è fatta più aggressiva la presenza iraniana, in particolare dal punto di vista culturale. L’Iran ha propri agenti in Parlamento, nei media e nelle università.
Tentano di fare il lavaggio del cervello agli studenti e di introdurre ricorrenze estranee come l’anniversario della morte di Khomeini. Vorrei lavorare per unire le menti liberali per ricostruire il nostro paese, superando l’attuale servitù. Se la Nato, cosa che non mi appare possibile, lascerà realmente l’Afghanistan si apriranno nuove possibilità.
In Cile è accaduto che si processassero i militari dopo quindici anni; dovrebbe avvenire anche qui. Abbiamo bisogno del supporto dell’opinione pubblica in Italia, quanto negli Usa, perché si faccia pressione sui loro rispettivi governi. Gli attivisti per la libertà possono rappresentare la nostra voce nei loro paesi. C’è una grande differenza tra le persone e i loro governi ed è importante che si diffondano le notizie riguardo la nostra reale situazione. Gli interventi delle Ong internazionali sono benvenuti, in particolare in tema di educazione, ma devono tener conto delle generazioni future. Ciò che pare un piccolo aiuto oggi, può portare un grande cambiamento nel futuro dell’Afghanistan.

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